Prima di uscire di casa per un impegno mattutino, mentre è ancora buio, penso a questi giorni che si snocciolano così uno dopo l’altro. Adesso sarebbero i giorni della merla, i più freddi dell’anno secondo la tradizione, ma non è vero, non fa molto freddo. Anzi.Mi è venuta in mente, svegliandomi alle cinque, una poesia scritta prima dei trent’anni, quando ero in parte altr’uom da quel ch’i sono, e la rileggo e mi domando perché non mi permettevo certe cose, perché non la pensavo sanamente lussuriosa, quella ragazza là, perché mi rifugiavo nel goccio di vino, quali tarli di malizioso buonismo avevo in testa, quali blocchi. La poesia, riletta oggi, mi sembra una specie di compassato e rassegnato vorrei ma non posso e quindi faccio che non volere, un adeguarsi pseudosereno al ruolo di spettatore e basta. Chissà che cosa mi spingeva così in disparte? Solo timidezza? Domande sciocche, e adesso devo uscire. Ma voglio mettere qui quella poesia d’allora. Era molto bella davvero quella ragazza. Aveva due o tre anni più di me, quindi adesso sarà una signora già più vicina ai sessanta che ai cinquanta, e non riesco a immaginarla. E la sua bambina, quella che cullava (quintultimo verso), avrà circa trentacinque anni. E questa poesia, già quando la scrissi, era una poesia dopo, una poesia dopo che lei si era sposata con qualcuno lì del paese e aveva fatto una bambina. Il tempo, il tempo.Ma pensiamo alle cose da fare oggi, sono in ritardo, vado che così per le nove, massimo nove e un quarto, sono di ritorno a casa.IL GOCCIO a Luisa ArataAll’osteria del paesinonon già per il goccio di vino– che era comunque discreto –la sera fermavo la moto.La bimba dal bel portamento laggiù mi attirava, contento.Del fresco sembiante bevevo, ché altro non mi permettevo: né mai la pensai lussuriosa,malgrado l’età maliziosa.Lisetta dietro il bancoversava il mio goccio di bianco. Come il mio cuore batteva, quando quel goccio mesceva!Mentre inghiottivo saliva, non una sillaba usciva.Soltanto un’occhiata al turchese del suo sogguardarmi cortese: turchese ben più trasparente del mare vicino lucente.(Tu mi dovrai perdonare questo rozzo verseggiare. Non sono un poeta precoce e troppo tremava la voce. Stagioni poi sono passate lasciando parole immutate.)Però come ancora è carina cullando la sua Valentina!Che importa se a un altro congiunta?La semplice sua esistenza cullava la mia adolescenza. (da La parola rinvenuta, pag. 52)
Poesia degli anni Settanta (scritta intorno al 1978, credo)
Prima di uscire di casa per un impegno mattutino, mentre è ancora buio, penso a questi giorni che si snocciolano così uno dopo l’altro. Adesso sarebbero i giorni della merla, i più freddi dell’anno secondo la tradizione, ma non è vero, non fa molto freddo. Anzi.Mi è venuta in mente, svegliandomi alle cinque, una poesia scritta prima dei trent’anni, quando ero in parte altr’uom da quel ch’i sono, e la rileggo e mi domando perché non mi permettevo certe cose, perché non la pensavo sanamente lussuriosa, quella ragazza là, perché mi rifugiavo nel goccio di vino, quali tarli di malizioso buonismo avevo in testa, quali blocchi. La poesia, riletta oggi, mi sembra una specie di compassato e rassegnato vorrei ma non posso e quindi faccio che non volere, un adeguarsi pseudosereno al ruolo di spettatore e basta. Chissà che cosa mi spingeva così in disparte? Solo timidezza? Domande sciocche, e adesso devo uscire. Ma voglio mettere qui quella poesia d’allora. Era molto bella davvero quella ragazza. Aveva due o tre anni più di me, quindi adesso sarà una signora già più vicina ai sessanta che ai cinquanta, e non riesco a immaginarla. E la sua bambina, quella che cullava (quintultimo verso), avrà circa trentacinque anni. E questa poesia, già quando la scrissi, era una poesia dopo, una poesia dopo che lei si era sposata con qualcuno lì del paese e aveva fatto una bambina. Il tempo, il tempo.Ma pensiamo alle cose da fare oggi, sono in ritardo, vado che così per le nove, massimo nove e un quarto, sono di ritorno a casa.IL GOCCIO a Luisa ArataAll’osteria del paesinonon già per il goccio di vino– che era comunque discreto –la sera fermavo la moto.La bimba dal bel portamento laggiù mi attirava, contento.Del fresco sembiante bevevo, ché altro non mi permettevo: né mai la pensai lussuriosa,malgrado l’età maliziosa.Lisetta dietro il bancoversava il mio goccio di bianco. Come il mio cuore batteva, quando quel goccio mesceva!Mentre inghiottivo saliva, non una sillaba usciva.Soltanto un’occhiata al turchese del suo sogguardarmi cortese: turchese ben più trasparente del mare vicino lucente.(Tu mi dovrai perdonare questo rozzo verseggiare. Non sono un poeta precoce e troppo tremava la voce. Stagioni poi sono passate lasciando parole immutate.)Però come ancora è carina cullando la sua Valentina!Che importa se a un altro congiunta?La semplice sua esistenza cullava la mia adolescenza. (da La parola rinvenuta, pag. 52)