Carlo Molinaro

Periferie


Stamattina mi sono svegliato tardi. È domenica. Mi sono fatto un caffè, poi sono uscito per fare una passeggiata o corsetta verso il parco della Pellerina. Giunto alla Pellerina mi sono un po’ rotto le balle di passeggiare o corsettare sempre nel parco, per quanto bello e rigoglioso, e ho deviato per via Pianezza, verso Lucento, alle spalle dell’ormai famigerata ThyssenKrupp. Come periferia non è nemmeno così brutta. Fra le periferie che conosco, quella di Torino è forse la migliore. C’è dello spazio vivibile, c’è qualche tocco di [non rinuncia alla] bellezza, pure lì fra le brutture, c’è del verde e c’è persino della memoria. Ce n’è abbastanza, di memoria, da attirare nemici: su un manifesto commemorativo del 25 aprile, nel quartiere, ho trovato scritto con la bomboletta spray nera: «BASTA CON LA STORIA!» Vuol dire, se non altro, che la storia c’è. Tornato a casa, ho collegato nel pensiero questa mattina di oggi alla mattina di due giorni fa a Roma, e ho scritto questa specie di poesia, che potete, se volete, leggere qui sotto. Buona domenica.PERIFERIE«La nostra civiltà si estingue perché della vitabadiamo più alla durata che al contenuto»dice sul balcone di un albergo di Romauna giovane laureata in filosofiache per vivere fa la barista e la bagninae vende aspirapolvere o balla sui cubi.«Cioè: vogliamo campare cent’annima non pensiamo: cosa ho fatto di buonoe di bello? che cosa ho combinato?»spiega e mi chiede di prendere in bagnoil bicchiere di plastica con un dito d’acquaper spegnere la cicca che ha finito di fumare.«È vero» dico guardando sotto noistendersi la consumabile periferia romanadove l’unico segno che potrò ricordareè il disco giallo di un ufficio postale.«Costruiamo palazzi con trascuratezzasicuri che fra pochi decenni saranno abbattutiperché non più funzionali: non abbiamola passione secolare di una cattedrale goticasorretta dal sogno di essere eterna.Morti noi – morti dopo strazianti accanimentiper vivere di strazio un giorno ancora – morti noi, ma che cosa ce ne frega?Così non faremo più nulla di bello:al bello serve un futuro collettivo,serve crederci. Senza bellezzaspariremo ed è giusto, naturale».La ascolto mentre il sole del mattinobenché pallido riesce a ravvivareil rame dei suoi riccioli e l’azzurrodegli occhi. Dice che ha studiato storiaperché ha creduto che potesse servirea non rifare le stesse cazzatedel passato, ma che è stata ingenua a crederlo.Vorrei dirle: «La bellezza c’è ancorae la difenderemo e ne faremodell’altra» – invece dico: «Abbiamo tempoprima del treno». Penso che ierimi ha tenuto per mano – ma era soloper non perderci nel caos della piazza.Sono talmente piccole le cose!Mi piace tanto chiamarla per nome,mi piace dire il suo nome al vocativoe posso farlo, questo posso farlo:dunque il mondo non è da buttar via.Stamattina – sono passati due giorni,è domenica e sono a Torino, da solo –ho passeggiato giù verso Lucento,via Pianezza, zone antiche industriali.Ci sono ancora molte ciminiere:qualcuna lasciata a ricordo in rettangolidi piazza trasformati in giardinetti:la semplice colonna di mattonirossi che dice: qui c’è stata fabbrica.Altre, più moderne, che funzionanodentro grandi recinti luccicanticome quello davanti alla chiesettadi Santa Brigida, dove sono entratotrenta secondi e c’era l’Agnus Deicosì ho stretto la mano, «pace a te»,a un forestiero con giacca e cravatta.Su un fabbricato basso e lungo è rimastal’insegna incisa: FORNITURE FERROVIARIEE TESSUTI. Forse facevano qui le tendineper i vagoni di legno rimorchiatidalle locomotive. La bellezzac’è e c’è anche l’amore e lotteremoperché la vita non sia un intervallodi tempo inutile fra nascere e morire.Scrivo questa mattina per non perderequei due toni di rosso: i mattonidella ciminiera e i riccioli di leinel sole pallido. È roba da nulla.Sono talmente piccole le coseche sorreggono il nostro sogno eternodi ragazzini di periferia.Non ci diamo per vinti.