Carlo Molinaro

La legge Bacchelli per Ceronetti


Leggo oggi su un giornale che a Guido Ceronetti è stato assegnato il vitalizio previsto dalla «legge Bacchelli» per gli scrittori in miseria. Diciottomila euro all’anno, millecinquecento euro al mese, una cifra che farebbe ridere certi artisti «ricchi», certa gente di successo; una cifra che però io non sono mai arrivato a guadagnare, in tutta la vita (il mio ultimo stipendio alla Utet, con 26 anni di anzianità aziendale, impiegato di prima categoria, cinque anni fa, era sui 1300 euro; adesso va come va, precariamente).Ceronetti è molto bravo. Ho idee diverse da lui su molte cose, ma abbiamo intrattenuto una sia pur rarefatta corrispondenza amichevole, qualche lettera, soprattutto una quindicina di anni fa. È capace di gesti che rivelano una sensibilità sorprendente: dirò solo che, dopo aver letto un mio libretto di poesie dedicato a una ragazza morta, a lui del tutto ignota, si mise in viaggio, cercò il cimitero, cercò la tomba di quella ragazza e vi depose un mazzo di fiori. Segretamente, non lo sapeva nessuno fino a un attimo fa; ora ve l’ho detto, tanti anni dopo, e spero che a lui non dispiaccia. E nemmeno a lei. «Quelle cose della gioia e della paura / quelle / son cose nascoste», come dice Alessandra (Nostra signora dei calzini, pag. 102).Ora questa cosa della legge Bacchelli mi stupisce e mi addolora. Ceronetti mi sembra troppo onesto per averla chiesta e ottenuta immotivatamente. Dunque, dev’essere proprio mal messo. Sì, è vero che non c’è poi da stupirsi troppo se si pensa che quella legge si chiama «Bacchelli» proprio perché fu inventata per aiutare Riccardo Bacchelli, ridotto alla fame pur essendo uno dei più importanti scrittori italiani del Novecento. La società (stavo per scrivere «l’Italia», ma in verità non è solo l’Italia, è un po’ tutto il mondo) non è generosa verso gli artisti: preferisce premiare i cialtroni, gli imbroglioni e i rompicoglioni: quelli che passano la vita a chiedere ad alta voce di essere premiati, magari senza neanche spiegare il perché. I veri artisti raramente chiedono: si vergognano. Quelli falsi no, non si vergognano mai.Eppure Ceronetti ha pubblicato presso grandi editori, ha scritto libri che hanno anche venduto migliaia di copie, non solo libri di poesia; ha collaborato e collabora ancora a diversi giornali. Ma già, editori e giornali pagano agli autori una miseria, e anzi spesso vogliono che tu riempia gratis lo spazio che loro, con infinita benevolenza e misericordia, si pregiano di concedere alla tua voglia di esprimerti – e li devi pure umilmente ringraziare. Va così, perlopiù. È un mondo difficile. È così.Magari uno di questi giorni vado a cercare quelle due o tre lettere di Ceronetti, dovrebbero essere ancora in uno scatolone nella soffitta della casa dove stavo allora, mescolate a lettere fors’anche sgrammaticate di ragazze diciottenni più o meno amorose. C’è qualcosa anche di Mario Soldati, di Primo Levi, e altri nomi «noti», tutto alla rinfusa. Sono ben disordinato... Ma penso che Ceronetti sia più contento così, piuttosto che di vedere le sue lettere messe in un bell’album e mostrate agli amici come a dire «vedete con che persone importanti ho rapporti». Per me la diciottenne sgrammaticata conta come Primo Levi: ciascuno mi dona a suo modo bellezza e verità: vita, insomma.Che poi è così, sì, alla fine è così: quelli seri, scusate, non curano i rapporti utili, non scherzano quando dicono che un bel bacio di ragazza vale più di un premio Nobel, e finiscono a chiedere, nella migliore delle ipotesi, la legge Bacchelli. Nella peggiore, non se li caga proprio nessuno, altro che legge Bacchelli – salvo poi magari riscoprirne le opere dopo che sono morti. E forse è meglio così. Va bene così. Denaro e potere sono un veleno pericoloso per la bellezza e la verità. Belzebù dice che il potere logora chi non ce l’ha... Forse! Chi ce l’ha è talmente duro, di solito, talmente di pietra, che non si logora, e tantomeno vive.Sì, credo che Ceronetti sia d’accordo su questo – però non voglio arrogarmi l’arbitrio di mettere magari pensieri miei in una testa altrui, quindi gli scrivo per domandarglielo... Buon pomeriggio! [Nell’immagine, cose sul letto, illuminate dal sole di stamattina.]