Carlo Molinaro

Ritrovare Catherine


Credo di avere già raccontato più volte di essere nato grafomane. A quattro anni costrinsi mio nonno a insegnarmi a leggere e a scrivere, e il mio amore per la corrispondenza epistolare cominciai a materializzarlo a nove anni quando, sfruttando una rudimentale conoscenza dell'inglese, intrapresi una corrispondenza con una ragazzina giapponese il cui indirizzo avevo trovato su Topolino (che aveva all'epoca un'apposita rubrica: La segretaria per tutti, impersonata da Paperina). Che emozione ricevere quelle lettere dal Giappone, scritte su carta leggerissima (la tariffa aerea scattava ogni cinque grammi), e rispondere su carta dello stesso tipo, attento a non lacerarla con la punta della mia stilografica! Correva l'anno di grazia 1962.Da allora ho avuto centinaia di amiche di penna, trovate nei modi più disparati: annunci su giornaletti, rubriche di posta anche splendide come il mitico «Personalmente» di Linus, o il «S.O.S. Amici» della rivistina trimestrale di Smemoranda, cose così. Molte sono rimaste amiche di penna, mai viste di persona, e si sono perse poi nel logorìo del tempo; altre le ho conosciute dal vivo; alcune sono diventate amiche; alcune sono diventate amori; alcune lo sono ancora. A volte era una fatale combinazione di casi a far nascere una nuova corrispondenza: una (con cui poi feci bene l'amore) la contattai perché sotto una sua interessante lettera su L'Unità (giornale che compravo due o tre volte all'anno, e proprio quel giorno lo comprai) c'era, probabilmente per un errore di redazione, non solo il suo nome ma il suo indirizzo completo. Un'altra mi scrisse dopo aver letto una mia poesia in un'antologia, e diventammo compagni o fidanzati o qualcosa così per più di dieci anni. Il destino. Insomma, poteva succedere in tutti i modi che uno scambio di lettere cominciasse.Una sola volta una corrispondenza iniziò in un modo che potrei definire «istituzionale». Al liceo studiavo francese e la scuola, attraverso non so che associazione internazionale, aveva un collegamento con licei francesi per scambi culturali. La professoressa mi chiese se ero interessato a corrispondere con uno studente francese coetaneo, «per esercitare la lingua e conoscere meglio la cultura». Potete immaginare la mia risposta. Mi diedero l'indirizzo dello studente, che era fortunatamente una studentessa, e scrissi subito. Cominciò così, nel 1969, la correspondance con Catherine.All'inizio le letterine erano in effetti un po' scolastiche. Ma poi prendemmo confidenza. Catherine abitava in un paese di campagna del brumoso Nord della Francia, verso il Belgio, i paesaggi delle canzoni di Jacques Brel. Prendemmo confidenza e nell'estate del 1970 io presi la moto, una Gilera 125, scavalcai le Alpi su stradine impervie ad alta quota (la 125 non poteva, e non può, accedere alle autostrade), traversai la Francia e giunsi fino alla casa di Catherine. In tre giorni, dormendo dove capitava, con addosso una maglia e una giacca a vento, senza guanti: mica mi vestivo da motociclista!L'arrivo di quel diciassettenne assolutamente lercio (i fumi dei camion rendevano il viso completamente nero - chissà i polmoni - ma nessuno ci badava), lacero e allampanato fu preso con buon animo dai genitori di Catherine: «Ah, ehm, bonjour, je suis un ami de Catherine». Mi spedirono subito in bagno. Ripulito, ebbi i miei primi contatti con la fanciulla. Dolce, bionda e tutta bene agghindata, come una brava ragazza di campagna: molto carina, con i capelli che le scendevano in treccioline ai lati del viso. Mi fermai un po' di giorni. Facemmo amicizia, nulla di più, eravamo uno più timido dell'altra. Mi fece vedere i campi, le stradine, il tram che portava in città, il fiume. Fu bello. Si cenava tutti insieme e si stava bene; io parlavo con molta attenzione e loro si complimentavano per il mio francese.Continuammo a scriverci per due o tre anni, poi il ritmo della corrispondenza diminuì. Dopo altri due o tre anni ripassai per il paesello francese, questa volta in auto, e tornai a quella casa. Catherine non c'era, si era trasferita a Parigi. Sua madre mi disse che era molto cambiata, e mi mostrò sospirando la foto di una monellaccia urbana, che chissà con chi girava e dove dormiva, i capelli scompigliati, il sorriso blasé, l'occhio impertinente: bellissima. Notando il mio sguardo sulla foto, aggiunse che sì, comunque, era sempre carina, quand même. Io notai lo sguardo della donna matura (tale allora m'appariva!) su di me, c'era qualcosa che mi turbava, però ancora oggi non so ben dire come fosse. Mi diede l'indirizzo della figlia, ma Catherine non rispose più alle mie lettere.Non rispose per alcuni anni. Poi mi scrisse, invece, per dirmi che era tornata nella campagna del Nord e si era sposata. E poi aveva fatto una bambina. E poi che suo padre era morto, e poi che era morta anche sua madre. Dopodiché smise nuovamente di scrivermi. Eravamo ormai sulla soglia degli Anni Ottanta. M'ero sposato anch'io, ci perdemmo di vista.La rete informatica ha dato un duro colpo alle lettere di carta: oggi ne scrivo e ne ricevo ancora, ma pochissime, scritte apposta per il gusto della carta e del francobollo, quando proprio ci si satura di e-mail. Ma non demonizziamo la modernità: in questo momento sto scrivendo su un blog e va bene. E poi, un paio di giorni fa, mi è venuta un'idea: «E se su quella diavoleria di Facebook ci fosse... Certo adesso sarà una signora ultracinquantenne... Ma anch'io sono ultracinquantenne e ci sono... E allora proviamo... Ricerca amici... Catherine Xxxx... Trovata! È sicuramente lei... Aggiungi agli amici... Richiesta inoltrata».Il giorno dopo, «Catherine ha accettato la tua richiesta di amicizia su Facebook». E ci siamo scambiati i primi messaggi. Ma non ci siamo dilungati molto. Perché abbiamo avuto un'idea. L'indirizzo di casa, e facciamo come allora: carta e penna. «Ti scriverò tante pagine, ci vorrebbero interi tomi per dire la mia vita», mi ha detto lei. «Scrivimi quelle pagine, Catherine», le ho detto io. Con gioia!Ecco, mi sembra un buon uso della tecnologia. L'ho ritrovata su Facebook, la ragazza dei paesaggi del Nord. Ma non siamo rimasti lì dentro il computer. E adesso aspetto, contento, che il postino mi lasci nella buca una lettera con anni e anni di vita scritti in inchiostro, un francobollo francese, una busta da aprire come quelle prime timide lettere del 1969. Je m'appelle Catherine, j'ai quinze ans et je fréquente le lycée. Et maintenant? Sono passati poi solo quarant'anni. E che sarà mai!