Carlo Molinaro

Tre parole sulla solitudine


Piove, ma è stato un finesettimana buono. Poi adesso verso sera mi sono sentito un po’ solo, sarà anche il grigio del cielo, o chissà perché. Sì, non so mai bene il perché. Allora mi è venuto di scrivere una poesia d’indagine sui perché. Sono saltate fuori tre parole, ma alla fine non significa niente. Meglio uscire a mangiare un chebab qui sotto dai turchi. E buona serata!TRE PAROLE SULLA SOLITUDINEOgni tanto mi sento solocosì senza motivo,senza un valido motivo, perchédirei che ho relazioni umaneabbastanza buone e frequentisia come amiciziasia con il sessosia a livello familiare:non è che io mi possa lamentare,tuttavia ogni tanto mi sento solocosì senza motivoe allora ho pensato che forse è il casodi indagare un attimosui possibili motivi.Mi sono venute in mente tre parole:la morte, l’incompletezza, la differenza.Probabilmente sono collegate.La morte è la più stupida ma c’entra,sono sicuro che c’entra:nel mio sentirmi solo c’è un presagiodella solitudine totaledi chi è morto e non può più parlarené ascoltare– e del periodo precedente la morte,quando i vecchi incomincianoad abituarsi a morire: ci avete fatto casoche spesso i vecchiè come se si allontanassero già,gli passa la voglia di dire le cose,è come se stessero già in un altro mondoseparato, che non si può piùcomunicare? Ci avete fatto caso?Io sì. E a volte mi vedogià vecchio, dunque solo.L’incompletezza è questione d’amoreche manca sempreperché s’allontana o perché non s’avvicina:è lei che prende il treno mentre piovee dopo si comunica soltantocon i messaggi sul telefonofinché ritorneràed è anche lei che m’ha sorriso un pocoma non m’ha dato il numero di telefononé l’indirizzoe la vedo ogni tantoma se sparisce sparisceed è anche lei che facevamo l’amoree poi più niente, non so più nemmenodov’è, che fa, e se sta bene o no:trovarsi e perdersi o nemmeno trovarsiè la vita normale, lo so– ma che vuol dire? La sopporto malequella vita normalee nell’incompletezzami vedo monco, strappato, mi sentosolo.La differenza è questione che si parlae non ci si capisce, le parolenon sono un combaciare ma un segnaledi fumo, da collina a collina,vago, arbitrario, mutevole: parlassi cent’annie scrivessi un milione di poesienon saprò mai se davvero t’ho dettoquel che volevo dirti, né se hocapito quel che mi volevi dire.E non è solamente le parole:anche gli abbracci, anche le carezzesono un toccarsi sì però imperfetto,perché fra la mia pelle e la tua pelleresta del vuoto, un’intercapedineper cui non sono sicuro se il brividoche sento in te sia davvero il tuo brividoo il brivido che credo di sentiree invece era diverso. Perciò quandola percepisco, questa differenza,mi sento solo come uno stranieroche fa gesti e non sa nemmeno luiche gesti sono.Ecco, ho fatto la mia brava indaginesui motivi per cui io certe voltemi sento solo. Se fosse una tesidi laurea il relatore mi direbbe:«Ma le sembra una tesi? Questo è tuttogià stato detto e ridetto nei librie nei convegni, lei crede di cavarselascopiazzando qua e là? Guardi, ripassifra un mese o due, ma veda di portarmiqualcosa di più nuovo e originale:com’è la vita lo sappiamo già».Ha ragione. È questo che succedea fare indagini stupide. Megliose dico molto più semplicementeche certe volte, così, mi sento solo,così, senza un perché;e poi mi passa.