Carlo Molinaro

Afasìa


Forse sono troppo perfezionista, troppo diligente, esigo troppo dalla scrittura, dall'espressione: e questo a volte mi blocca (o mi fa prolissamente sbrodolare). Praticamente non tollero che siano veicolati sensi paralleli contrari a ciò che voglio dire: la frase deve essere pulita, senza rumore di fondo, senza disturbo. E lo so che è impossibile. Eppure, se sento un rumore di disturbo, butto via tutto. Anche una poesia. Ma faccio un esempio più banale. Ieri stavo per scrivere nel mio «stato» su Facebook quest'arguta proposizione: «Meglio avere le pezze al culo che il culo a pezzi». Abbastanza divertente, morale, adatta come satira al clima politico che va in direzione opposta, pantaloni di lusso su rottissimi culi.Ma ho aspettato un minuto, e poi non l'ho scritta. Perché ci ho sentito un brusìo non morale ma moralista, ci ho sentito la piccola borghesia, quella di Claudio Lolli, che se la prende con le puttane, ci ho sentito un'eco di sagrestia e/o sezione PCI, ci ho sentito del vecchio, mi sono accorto che la metafora è scivolosa, perché il culo a pezzi può avercelo anche una simpatica ragazza amante di sesso plurimo e anale, per esempio, e non è mica una cosa criticabile (se non da un talebano). E può avercelo, il culo a pezzi, un gay dopo una notte con il suo amore, nella placida gioiosa spossatezza di un mattino. E poi, alla fine, il culo ognuno se lo gestisce come vuole e può.E allora la frase non m'è piaciuta più. Certo - si obietterà - appare evidente il valore figurato, appare evidente che ci si riferisce ai politici che si fanno rompere il culo in cambio di poltrone, ai servi del potere, ai venduti, ai portaborse, e così via. Evidente, evidente. Ma non abbastanza per me. Sento il fastidioso rumore di fondo, sento la stupidità che assedia, non posso lasciare spiragli. Tutto deve essere perfettamente chiaro. Ma «perfettamente» è parola che porta dritto in manicomio.Il problema è che questo mi succede, mi succede sempre di più, sia quando scrivo, sia quando leggo, sia quando parlo, sia quando ascolto. Ogni giorno di più. E mi rendo conto che è un rischio forte, è una malattia, devo trovare un rimedio. Altrimenti, presto resterò muto a occhi chiusi davanti a un foglio bianco, con le orecchie tappate. E non capirò più un cazzo. Peggio ancora di adesso. Abisso di follìa. Afasìa.