IL SENSO DELLA MORTE Dopo il caldo di ieri stamattina è nuvolo e cade qualche goccia di pioggia e mi sono svegliato col senso della morte - nessun problema, mi succede ogni tanto e non c'è nessun motivo particolare - la città è silenziosa perché è domenica, la gente dorme o forse fa colazione come nella pubblicità. Il senso della morte è un po' sinonimo del senso del nulla: quando muore qualcuno gli altri, ancora vivi, dicono delle cose e lui non può sentire e già questo mi sembra poco tollerabile: a volte mi sembra che parlare dei morti sia sempre uno sparlare, un parlare alle spalle, come quando si spettegola di qualcuno senza farglielo sapere. Da morti non si esiste e non esistendo non si può rettificare, né spiegarsi meglio. Ma non so se è questo il problema principale. Il problema è che la morte ti fa smettere di esistere, questo è il problema. E a me sembra che sia proprio inammissibile che mio padre e Fabrizio De Andrè e il Correale e Monica e il Vispo non esistano, mentre prima esistevano: come si fa a esistere e poi non esistere più? È un concetto filosoficamente aberrante, che non riesco a farmi entrare nella mente. Capisco come è stato facile inventare le religioni, e ricavarne inganno e potere: però dell'aldilà non c'è né c'è mai stato indizio alcuno, e spesso mi domando se gli antichi ci credessero davvero o anche loro facessero finta. Gli egizi, dico gli egizi, grande civiltà, ma non soltanto loro, mettevano nelle tombe un casino di roba per il viaggio del morto all'oltretomba: io mi domando - e nessun antropologo ha mai dato risposte decenti - mi domando se mentre mettevano gli oggetti nella tomba pensavano davvero che servissero o erano consci che era un gioco simbolico. Che poi non c'è bisogno di arrivare fino all'antico Egitto: la madre di Monica ha messo nella bara della figlia una bambola e un quadernetto e un mio libro di versi: le cose che Monica teneva con sé. E l'ha vestita da sposa, tutta in bianco, con un vestito da sposa preso usato, di quelli classici, lunghi col pizzo. E quando finalmente all'obitorio di mattina presto sono rimasto solo, ho sollevato quel velo che mettono sulle bare aperte e ho dato un bacio a Monica - dovrei dire al corpo di Monica senza vita - dovrei dire al cadavere di Monica, se fosse possibile dire le cose come stanno - ma non è possibile: quando arriva il momento non è possibile dire le cose come stanno, perché le cose come stanno non stanno mica bene. Non è ammissibile che stiano così. Dunque non c'è proprio bisogno di arrivare all'antico Egitto: la morte è inammissibile anche oggi e qualcosa bisogna inventare: pur sapendo che è una fantasia, qualche cosa bisogna inventare. Certo è uno strano universo in cui le cose così come stanno non sono ammissibili e bisogna inventare le fantasticherie. Se Dio esistesse vorrei chiedergli delle cose - ma anche questa è una fantasticheria. Ma comunque adesso il senso della morte mi è passato abbastanza perché mentre scrivevo questa poesia mi ha telefonato una donna amata ed è subito entrato dalla finestra il senso della vita, lei era in riva al mare ed è entrato nella stanza il senso della vita. Dunque basta una telefonata: sarebbe meglio smettere di tormentarsi con tutti questi sensi: ma quando prende prende, non c'è niente da fare perché il senso della morte - come la morte - quando arriva arriva. Poi c'è da dire che i poeti seri forse mentre poetano non rispondono al telefono, ma io non sono un poeta serio, non sto neppure poetando e mi contento di essere così. [Corollario aggiunto dopo rileggendo: forse non tutti lo trovano così inammissibile che si esista e poi non si esista più: forse è un problema mio particolare: no, ecco, lo pensavo perché mi è venuto in mente l'amore - come al solito - e ho la sensazione che per molti non sia affatto inammissibile che si ami e poi non si ami più: io invece non riesco ad ammettere che non si ami più, che un amore finisca (a volte non riesco neppure ad ammettere che un amore non cominci) - ma per altri è naturale, allora anche la morte probabilmente la sanno prendere meglio: sono io che sono poco provveduto.]
Il senso della morte
IL SENSO DELLA MORTE Dopo il caldo di ieri stamattina è nuvolo e cade qualche goccia di pioggia e mi sono svegliato col senso della morte - nessun problema, mi succede ogni tanto e non c'è nessun motivo particolare - la città è silenziosa perché è domenica, la gente dorme o forse fa colazione come nella pubblicità. Il senso della morte è un po' sinonimo del senso del nulla: quando muore qualcuno gli altri, ancora vivi, dicono delle cose e lui non può sentire e già questo mi sembra poco tollerabile: a volte mi sembra che parlare dei morti sia sempre uno sparlare, un parlare alle spalle, come quando si spettegola di qualcuno senza farglielo sapere. Da morti non si esiste e non esistendo non si può rettificare, né spiegarsi meglio. Ma non so se è questo il problema principale. Il problema è che la morte ti fa smettere di esistere, questo è il problema. E a me sembra che sia proprio inammissibile che mio padre e Fabrizio De Andrè e il Correale e Monica e il Vispo non esistano, mentre prima esistevano: come si fa a esistere e poi non esistere più? È un concetto filosoficamente aberrante, che non riesco a farmi entrare nella mente. Capisco come è stato facile inventare le religioni, e ricavarne inganno e potere: però dell'aldilà non c'è né c'è mai stato indizio alcuno, e spesso mi domando se gli antichi ci credessero davvero o anche loro facessero finta. Gli egizi, dico gli egizi, grande civiltà, ma non soltanto loro, mettevano nelle tombe un casino di roba per il viaggio del morto all'oltretomba: io mi domando - e nessun antropologo ha mai dato risposte decenti - mi domando se mentre mettevano gli oggetti nella tomba pensavano davvero che servissero o erano consci che era un gioco simbolico. Che poi non c'è bisogno di arrivare fino all'antico Egitto: la madre di Monica ha messo nella bara della figlia una bambola e un quadernetto e un mio libro di versi: le cose che Monica teneva con sé. E l'ha vestita da sposa, tutta in bianco, con un vestito da sposa preso usato, di quelli classici, lunghi col pizzo. E quando finalmente all'obitorio di mattina presto sono rimasto solo, ho sollevato quel velo che mettono sulle bare aperte e ho dato un bacio a Monica - dovrei dire al corpo di Monica senza vita - dovrei dire al cadavere di Monica, se fosse possibile dire le cose come stanno - ma non è possibile: quando arriva il momento non è possibile dire le cose come stanno, perché le cose come stanno non stanno mica bene. Non è ammissibile che stiano così. Dunque non c'è proprio bisogno di arrivare all'antico Egitto: la morte è inammissibile anche oggi e qualcosa bisogna inventare: pur sapendo che è una fantasia, qualche cosa bisogna inventare. Certo è uno strano universo in cui le cose così come stanno non sono ammissibili e bisogna inventare le fantasticherie. Se Dio esistesse vorrei chiedergli delle cose - ma anche questa è una fantasticheria. Ma comunque adesso il senso della morte mi è passato abbastanza perché mentre scrivevo questa poesia mi ha telefonato una donna amata ed è subito entrato dalla finestra il senso della vita, lei era in riva al mare ed è entrato nella stanza il senso della vita. Dunque basta una telefonata: sarebbe meglio smettere di tormentarsi con tutti questi sensi: ma quando prende prende, non c'è niente da fare perché il senso della morte - come la morte - quando arriva arriva. Poi c'è da dire che i poeti seri forse mentre poetano non rispondono al telefono, ma io non sono un poeta serio, non sto neppure poetando e mi contento di essere così. [Corollario aggiunto dopo rileggendo: forse non tutti lo trovano così inammissibile che si esista e poi non si esista più: forse è un problema mio particolare: no, ecco, lo pensavo perché mi è venuto in mente l'amore - come al solito - e ho la sensazione che per molti non sia affatto inammissibile che si ami e poi non si ami più: io invece non riesco ad ammettere che non si ami più, che un amore finisca (a volte non riesco neppure ad ammettere che un amore non cominci) - ma per altri è naturale, allora anche la morte probabilmente la sanno prendere meglio: sono io che sono poco provveduto.]