ONE MAN TELENOVELA
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Post n°492 pubblicato il 30 Novembre 2008 da molinaro
Ieri sera al Teatro della Caduta sono stati tutti davvero bravi nel mettere in scena Avrei preferito essere Jacques Cousteau, ovvero l’arte del documentario a teatro. Uno spettacolo non classificabile in un piccolo teatro non classificabile: quindi, presumibilmente, qualcosa di veramente nuovo. Il teatro è come il vino: quello migliore non ha etichetta. E, nonostante il dilagare delle normalizzazioni, delle standardizzazioni e delle norme UE che impongono etichette dappertutto (*), se ne trova ancora. Poco, ma se ne trova. D’altronde non ce ne vuole molto: basta quel poco. Avevo già visto quasi tutti i «documentari» contenuti nello spettacolo, e mi erano piaciuti fin da subito, ma in questa rassegna completa ci sono stati ulteriori miglioramenti. Ottimo l’accordo fra musicisti, manovratori di effetti speciali, attori e voce narrante. La formazione completa: Andrea Roncaglione (narrazione e regia), Mayumi Suzuki (violino, canto, sorriso contagioso ed effetti speciali), Andrea Gattico (narrazione, pianoforte, canto ed effetti speciali), Vito Miccolis (percussioni ed effetti speciali), Ambra Senatore (nella parte dell’uragano e dell’oca – entrambe le cose in senso proprio, non figurato), Manuel Bruttomesso (nella parte dell’uomo falena e del «selvaggio» cacciatore di oche), Marco Bianchini (nella parte del ghepardo e del soldato Cousteau). L’ho già detto altre volte e non voglio ripetermi troppo, ma trovo prezioso il piccolo Teatro della Caduta (cioè, soprattutto, le persone che gli danno vita): sperimentazione vera e gioiosa, libera, senza sponsor. Serate dinamiche in cui si impegnano anche dieci persone, mentre in altri teatri ho sentito dire che se in scena ci sono più di due attori la faccenda è economicamente insostenibile... Andateci, alla Caduta. L’ingresso è sempre gratuito: solo alla fine dello spettacolo passa fra il pubblico un cappello nel quale ognuno può mettere il suo contributo. E qui lancerei un appello agli spettatori futuri (oltre al naturale consiglio di esserlo, spettatori futuri intendo): non voglio fare cifre, ma, salvo casi personali disperati, mettere nel cappello meno di dieci euro secondo me vuol dire proprio non tenerci, alle cose belle. (*) Anche assai cretine, come «questo non è un giocattolo» scritto su un sacchetto di plastica: allora perché non scrivere pure «questo non è un cornicione» su una penna biro o «questo non è un bidè» su un paio di occhiali da sole? [Nell’immagine, il bidè di casa mia: vi sembrano occhiali da sole?] |
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