Mondo contadino

AL FIUME A LAVARE I PANNI


     
  Era una gioia quando la mamma mi proponeva di accompagnarla al fiume  dove lavava i panni. Munita di ampia conca, posta sulla testa con la “spara” per sopportarne meglio il peso, ci portavamo lunga la ripida discesa della Ripitella per raggiungere il fiume, nei soliti posti dove l’acqua scendeva lenta e dove le grandi “lisce” di pietra permettevano strofinare quei panni consunti dallo sporco.       Era uno dei luoghi d’ incontro e di lavoro piu ’ frequentati. Lontano o vicino che fosse, veniva raggiunto dalle donne di buon mattino. In quell ’acqua fredda e pulita si portavano a lavare tutti i panni accumulati, a volte , per mesi.          Io l’aiutavo,  portando in una mano, il canestro con il pesante sapone scuro e quadrato, fatto in casa con il grasso del maiale, soffice ed abbondante.  Nell’altra mano, portavo la “ mappina” della colazione e la ciotola d’acqua, quantunque a volte bevevamo anche in alcuni  rivoli isolati, la stessa acqua di fiume.            Le donne sistemavano il lavatoio con  pietre su cui inginocchiarsi ad una ruvida, ma non troppo, su cui passare i panni, qualcuna  preparava la “lisciva” (una soluzione acquosa ricavata dai componenti solubili della cenere) con la quale questi ultimi venivano trattati.            Quelle poche postazioni di lavaggio erano molto ambite, per cui vi era sempre ressa in alcuni tratti del fiume. Era,  quello del lavare i panni al fiume,  rito antico ed oneroso, ma reso piacevole dallo scambio fra le donne, di ogni tipo di pettegolezzo: vaghe  voci di amori e tradimenti o semplici  battute per  ridere.             Vi era inevitabile rissa solo quando qualcuna, imprudente o incurante di una possibile parentela o amicizia con la protagonista e  vittima del pettegolezzo, non ne assumesse le difese di quest’ultima , allora erano guai: strilla acutissime, strappo di capelli e minacce e controminacce. Altra insidia per inevitabili liti era quella di accaparrarsi il cespuglio o le tante piante di salice che si trovavano nei dintorni per  distendere ed asciugre al sole il bucato.            Comunque era un lavoro che si faceva con gioia, non sentendone fatica.  Avevo imparato, che, anche se munite ancora di una congrua scorta d’acqua da bere, verso “ventunora” mi madavano comunque ad attingere acqua nel lontano  pozzo  sulla  Ripitella. Era il momento in cui, lavati i loro panni, madide di sudore, lavavano se stesse, esponendo le loro nudità con circospetta prudenza perché i curiosi non mancavano lungo il fiume. Timide e circospette, con addosso una veste o una sottana che arrivava fin sotto le ginocchia, le donne entravano lentamente nell’acqua e dopo aver insaponato, con lo stesso sapone dei panni, capelli, collo, faccia, e braccia si immergevano, rabbrividendo, nel freddo del fiume.        Qualche volta, la più anziana restava fuori a vigilare affinchè  il rito del bagno avvenisse lontano da indiscreti occhi maschili. Nascosto tra i salici poteva esserci sempre qualche pescatore o giovane pastore che, lasciate le pecore incustodite, aggiungesse alla sua fantasia la concreta conoscenza di forme femminili, particolarmente risaltate dalle vesti bagnate.           A sera le donne, con i panni piegati, asciugati e posti in cesti portati sulle testa, inebriate dal profumo profondo di acqua e sapone da essi emanato, prendevano la strada del ritorno stanche ma felici.