Città-ragnatela

SWEET MAY


Ci ho pensato appena entrata a casa. Dovevo telefonarle. Poi mi sono lasciata cadere sul divano. Che macabra esigenza, quella di chiedere chissacché. O di sentirmi rispondere con la dolcezza gessosa di chi, più che appagato, é inasprito. Forse non mi andava per invidia, in fondo. Così l'ho fatto. Non desiderare la vita altrui, soprattutto se non ne vale la pena. Mi ha risposto il marito, ancora con la voce stropicciata di chi s'é stiracchiato nel tragitto fra il letto e il cesso e viceversa. Lei non c'era e lui non riusciva a trovare il bambino. Lo sentiva piangere da un quarto d'ora ma non lo vedeva, non é che mi trovavo da quelle parti e potevo passare ad aiutarlo e magari cambiargli il pannolino? Ho simulato una tempesta di meteoriti e riagganciato.Non é previsto che le vicende seguano percorsi alternativi. A quel punto dovevo sentirla. Un sovraccarico di domande sulla vita intima e dintorni si era fatto bolo e cercava di tornare su. Ho riprovato nei successivi venti minuti, e dopo quaranta ancora. Non tornava, dov'era andata, tutti la cercavano perché io avevo bisogno di parlarle, dopo due anni di silenzio un buon motivo l'avrò pur avuto.Volevo fortemente quella frenesia attorno al suo ritardo, agognavo il pianto di suo figlio perduto in un qualche anfratto domestico. E volevo la sua casa, anche.Finché persino suo marito non ha smesso di rispondere al telefono, certo in cerca di lei, e allora ho cominciato a desiderare l'assenza. Ma, prima di sparire ed essere finalmente amatissima e compianta, ho ricordato di avere il suo numero segreterrimo pasticciato col sangue da qualche parte."Eccoti, avevo bisogno di parlarti. Ma dove sei?""Qui, là, un po' dove capita.""Ma tuo marito ti cerca, e tuo figlio piange. La tua casa é vuota, come puoi vivere sapendo di infliggere tanto dolore?""Sai. Non é che la famiglia sia questo granché."..