Creato da erinn78 il 28/11/2004

Città-ragnatela

Sospesa sull'abisso, la vita degli abitanti di Ottavia é meno incerta che in altre città. Sanno che piú di tanto la rete non regge.

 

Buona notte

Post n°768 pubblicato il 25 Febbraio 2009 da erinn78

La locanda alle porte del paese aveva chiuso.
Non passava più la notte, senza neppure una luce alle finestre, come se Ottavia non fosse mai stata abitata.
Bianco si era ritirato come un paguro e non aveva voglia di dar legnate alla sua vecchia, quella sera. Lei beveva per non pensare a C., che non sarebbe più rinato, e il mattino dopo la trovarono morta nel suo vomito. "Ma aveva un colorito roseo e fresco," avrebbe detto qualcuno.

Un corteo di fiaccole passò oltre la porta di Bianco fino ad uscire dal paese, e lui scosse la testa. "Non basterà a farla riaprire," e col moncherino scompigliava il dorso rognoso di Stella.
Muto dormiva, finalmente, guarito dall'influenza, e da fosse nella neve venivan fuori gli elfi-lucerna a conciliare il bei sogni.
Solo Mura non ci provò neppure. Scesa a piccoli passi dalla montagna, s'era nascosta finché non era svanito in lontananza l'ultimo lumicino.
Guardava l'insegna spenta, e rimase a guardarla finché non fu giorno. Ad occhi asciutti.


 
 
 

Quanto dura febbraio

Post n°767 pubblicato il 23 Febbraio 2009 da erinn78

Non si può aspettare che passi febbraio per scendere in paese, lo sanno anche i bambini. L'aria é azzurra e ferma, e così la porta, bloccata dalla neve e dal ghiaccio. Muto ha la febbre da un mese e devo uscire per andare da Bianco. Lui respira salsedine, mescolando le alghe ai coralli con le sue dita tutte bitorzoli.
Per fortuna a Natale mi hanno regalato un paio di assi di legno da legare ai piedi e un giaccone fatto coi cartoni del sanbitter incollati, ma dove li ho messi? Pazienza, prendo il piumino e gli scarponi ed inizio a scivolare e rotolare finchè non intravedo il mare.

Inspiro. Espiro. Amo questi luoghi. Peccato per le rocce appuntite di questa montagna di merda.
Bianco non è sul molo. E nessuno sa dirmi dove sia.
"E' molto importante, Muto sta male," dico. "Se é così... Lo trovi al nuovo caffé. Ma perché sanguini?"
Finalmente, eccolo. "Bianco, Bianco! Ho bisogno di te."
"Ciao cara, che t'é successo? Muto ti picchia ancora?"
"No, sono venuta a piedi da casa."
Bianco annuisce, poi tossisce e sputa, una parabola elegante color del miele.
"Che volevi chiedermi di tanto urgente? Cof, arrrh agrrh... bah," gorgoglia.
"Ehm. Non ti trovo tanto in salute," dico.
"Questa maledetta influenza. Febbraio non vuol passare più e non ho avuto neppure il tempo di raccogliere le bacche di biancospino marino prima che i pesci si mangiassero l'ultimo banco rimasto," risponde, come intuendo il motivo della mia visita.
"Oh. Stammi bene, allora. Verrò a trovarti a marzo-é-pazzo."
"Meglio ancora ad aprile-dolce-dormire, questo inverno si preannuncia lungo, già già. E salutami Muto!" mi urla dietro, ma io sono già lontana.

Abbiamo una maga, in paese, ma nessuno la interpella mai. Un po' perché ci si fida tutti di Bianco in quanto Anziano. Un po' in quanto Uomo. Un po' perché le maghe a Ottavia non sono viste di buon occhio da quando bruciarono i cavi che reggevano la città perché Patti Pravo non venisse a tenere il "IV convegno botulino vs magia nera".
Ma io sono disperata, così busso alla sua porta, che si apre con un miagolio sinistro.
"Stai pestando la coda a Felix."
"Cacchio, scusi," sollevo il piede.
"Sanguini e sei tutta pesta. Quel Muto ti picchia ancora?"
"Come conosce Muto? E perché tutti pensate che mi picchi?"
Agita una mano, come a dire Non chiedermi cose di cui non comprenderesti la risposta. Poi inizia a tossire e tenersi la pancia. La vedo sudare, corre in bagno.
"Ma lei ha la l'influenza!"
"Che dolce sei a prendertela tanto per me, e nemmeno ci conosciamo... sì, ce l'ho anch'io, non ho avuto neppure il tempo di preparare..."
Già sono fuori. Guardo il cielo di un azzurro tenue e malvagio. Mi vibra la borsa, é Muto che chiama.
"Ma dove sei finita, brutta vacca? La febbre mi sta uccidendo, se non ti sbrighi a tornare giuro che ti spezzo entrambe le gambe e ne faccio..."
"Torno subito, amore," e riattacco.
Passo oltre la croce verde e luminosa di una farmacia e inizio a risalire verso casa.


 
 
 

Pigrizia

Post n°766 pubblicato il 11 Febbraio 2009 da erinn78

Periodicamente pensavo - do un'occhiata ai messaggi privati e poi scrivo due righe. C'era sempre qualcosa a scocciarmi, o semplicemente distrarmi. Una parola, un punto. Volevo cancellare tutto, in un solo colpo, ma mi suonava scioccamente come una carognata, e poi perché questo luogo scompaia non c'é bisogno della dinamite, basta il silenzio. 
Chiudevo tutto e mi dicevo che non era quello il momento buono, avevo tante di quelle cose da fare. Programmare, ad esempio. Ma questo al punto 3.
Dunque, perché?
1) Fa parte della mia natura attendere, benché sia una cosa detestabile - come quando rimani per ore in pigiama a ripeterti che tutti i bagni del mondo alle sette del mattino sono gelidi, per poi accorgerti che non sono più le sette e devi spogliarti subito rantolando - così alla fine é diventata la cosa che so fare meglio.
Comincio ad attendere le vacanze estive non appena smontato l'albero di Natale, e onestamente sono la migliore organizzatrice di feste di compleanno perché comincio il giro di telefonate due mesi prima e scelgo i regali dopo aver stilato una lista in cui ho elencato tutti i più intimi desideri del festeggiato durante l'anno precedente,  e se si vuole proprio uccidermi, basta darmi un appuntamento e tardare di soli cinque minuti, che vanno a sommarsi ai quaranta d'anticipo. Comunque, per farla breve, c'é il momento perfetto per ogni piccolezza. Basta aspettare.
2) E fa parte della mia natura rimandare. Ovviamente vale solo per le questioni di carattere non pratico, dato che queste ultime vanno nella lista delle cose da far subito, come da punto 1. Cosa si può rimandare... (mettere questi puntini di sospensione é una trasgressione, avrei potuto rimandarla ma ho 30 anni, cavolo)... (toh!) Telefonare. Ecco, si può procrastinare una telefonata, e che diamine, se si ha voglia di veder qualcuno si esce e si va. Ma con tutte quelle cose che ci sono da fare a casa, e fuori, e insomma, se proprio avesse voluto vedermi sarebbe uscita lei, perché devo farlo sempre io?
3) Programmare. Non mi va di parlarne, tanto non funziona.
Tutto ciò ha un nome, ma é il vostro pensiero contro il mio. E mi scoccia discutere.
Volevo solo dire che questo posto azzurro mi manca sempre, perché mi manca un pezzettino di quasi ognuno di voi, che mi conoscete così bene. E' vero che sono cambiata, ma in quasi cinque anni ci starà pure e, se non vi sta bene, potete sempre aspettare un altro lustro.

 

 

 
 
 

Granchi

Post n°765 pubblicato il 05 Ottobre 2008 da erinn78

- E non sai un bel niente. Taci.
C'era quel tuo odore, quello che ti fa amare, e poi é finito. Ti ho aspettato.

Mi pareva bello, tutto quell'azzurro attorno ai piedi, quando il sole era alto e i pescatori si lasciavano dietro i granchi, tirando le reti, come non fossero buoni, non avessero un cuore soffice. Con gli alluci suonavo sulla sabbia grossa e scura, finché non sembravano conchiglie scolorite.
La casa di Bianco era da quelle parti, poco più o poco meno; portavo i granchi e li facevamo saltare in padella con gli spaghetti. Tirava su la pasta in un unico risucchio e, quando schizzava sugo sulla tovaglia, rideva.
- Che buoni. Non capirò mai perché li lasciano lì a... a morire, voglio dire - diceva. Ripensavo ai miei piedi a mollo.
- Valli a capire. Domani ti porto i lupini, e li facciamo coi granchi.
- Sarebbe bello se fossi mia figlia.
Lo diceva tutte le volte, io fingevo di cascarci e lavavo i piatti.
- Ho un piumone che non entra nella pila. E anche le lenzuola, domani arriva in paese la nipote di... di coso, lì, il salumiere. Una col culo che parla. E cioé, dico, se tu... insomma, va.
- Te lo lavo io, non ci pensare più. Ma ha il culo che parla in che senso?

Certe volte non ci andavo, da Bianco.
Rimanevo a guardare i granchi agonizzare vicino alle mie dita pallide. L'onda sottile veniva e faceva un risucchio come di spaghetti, poi se ne andava con le carcasse.
- Niente granchi oggi, solo stelle marine.
- E cosa mettiamo nella pasta?
- Bianco, la pasta ti fa ingrassare. Com'é andata con cul... con la nipote del salumiere?
- Che vuoi sapere... cosa, lì, é come tutte.
- Senza donne si starebbe meglio, dillo.
- Parole sante. Ricordati il peperoncino, nelle polpette.
- Bianco, dimmi una cosa. Ma tu, da solo, come fai.
Mi guardava con due occhi piccoli e chiusi come arselle.
- Senza qualcuno da abbracciare, voglio dire.
- A che mi servono tutte le salumiere del paese se ho te. Passami il pane per la scarpetta, su. Quanto peperoncino hai messo nel sugo, mi bruciano gli occhi.

E non sai un bel niente. Ad esempio, che ci si abitua. 
E che, dopo un po', i granchi non muoiono più.

 


 
 
 

Settecentosessantuno

Post n°764 pubblicato il 07 Luglio 2008 da erinn78

C'eravamo tanto amati.
Un messaggio sul display alieno. Riabbasso i pollici e nascondo il telefono sotto le lenzuola, grata alle mie mani per aver saputo fermarsi, stavolta. "Presto o tardi mi prenderà in parola, e dovrò strisciare sui ceci per farmi perdonare". Cosa che non farà mai, poiché non é nella sua natura evitarmi la giusta espiazione.
Prima che me ne accorga, ho cancellato tutti i suoi numeri.
Mi sento meglio. Quasi. Bruciano gli occhi e brucia il petto, ma questo, forse, lo devo al troppo sole di ieri.

Tace.
Stanotte gli dedicherò una serenata sotto al balcone e gli manderò su col paniere settecentosessantuno Baci e mi scuserò per non aver saputo rendermi comprensibile, né amabile. E, non dovesse esser sufficiente, piangerò ancora, ché non sono più capace d'altro.
Non dovesse bastargli, me ne andrò.

 
 
 

Prima notte d'estate

Post n°763 pubblicato il 22 Giugno 2008 da erinn78

C'é il cielo come la glassa su un pandistelle, e un concerto stereo di latrati, mentre fumi appollaiato lì fuori.
Il fatto che io possa vedere te e non viceversa mi scalda, e rimango come un geco sull'uscio a spiarti mentre guardi la luna levarsi e arrossire. 
E poi mi chiami.
- Vieni fuori, fammi compagnia.
- Un momento, finisco di lavare i piatti.
- Lascia perdere, buttiamoli.
Soffi un punto interrogativo di fumo dritto verso il cielo, vorrei aver voce di stella ma poi taccio. Rovinerei tutto dicendo che sono felice o, peggio, che ti amo.

- A che stai pensando?
- Che vorrei avere una carabina per far saltare la testa a quel maledetto cane.
- Che donna eccezionale. Per un attimo ho temuto stessi facendo uno di quei pensieri da donna, uno di quelli in bianco.
Mentre mi stringi per un attimo, riempio le narici di quel tuo odore di paradiso, e poi espiro piano.
- Un momento. Cos'é quell'espressione estasiata?
- Ehm. Guarda lassù! Che bel punto di blu.
- Ah. Pensavi alla trapunta da regalare a tua nonna?
- No, cavolo, no. Ti amo, fanculo.
- Potevi dirlo subito. Anch'io ti amo.
Mi rituffo sotto la tua ascella, per paura di volare fino alla luna e scoppiare contro la sua falce sottile.
- Adesso ammazziamo quel cane. 

Posso stare senza te,
anche se con te sto meglio.


 
 
 

Mondi

Post n°762 pubblicato il 11 Giugno 2008 da erinn78

Capitoliamo che non crepuscola da cinque minuti.
Il signorino si siede, infine, e noi gli rotoliamo attorno come orbite di vetro di fantocci lucidi e tesi.
- Desideri qualcosa?
- Sì, in effetti. Vorrei che la luna, lassù, fosse più bianca, e non di quel pallore da yogurt. Ma anche opaca, come dire. Un bell'alone di perla, ecco.
- Subito, sua Regalità.
- Pallone gonfiato - mugugna Bom, poi si allontana in un frullìo violento da ventilatore.
- E vorrei una stellina lì, sul davanti. Anzi, due. Si può?
Io non sono ancora brava con gli astri, ma Bionico in un attimo ci regala il più lattiginoso quarto di luna che si possa immaginare. Rubandomi la scena.
- Va bene così?
- Sai sempre come rendermi felice - sospira il signorino.
Bionico, bastardo.

- Mura, dimmi una cosa.
Oh, no!

Sono pronta.
- Non vorresti a volte essere altro?
- Mmm... No.
- Più grande, colorata.
- No.
- Qualcosa di obiettivamente bello.
- Stai cercando di dirmi qualcosa? No, comunque. 
- Morire schiacciata contro una parete non lo cambieresti con niente al mondo, quindi.
- Morire, capita. Ma vivere così, sputaci sopra.

 

 
 
 

Meme piacevole

Post n°761 pubblicato il 08 Giugno 2008 da erinn78

Mi sembra arrivato il momento di seppellire il post di cui sotto, e Grazia me ne ha fornito occasione.
Gra, scusa il ritardo, fra farmacie di turno e tentativi fallimentari di studio, padri che vogliono volare in Cina e lavoretti risibili non mi era ancora venuto in mente nulla.

Dunque, le regole di questo meme sono:
a) indicare il blog che vi ha nominato e linkarlo [http://pollon-1978.spaces.live.com]
b) inserire le regole di svolgimento [lo sto facendo];
c) scrivere sei cose che vi piace fare;
d) nominare altre sei persone affinché proseguano il meme;
e) lasciare un commento sui blog dei sei amici prescelti memati.

Sei cose che mi piace fare:

1 - Andare al mare.
Ricordo quando corrispondeva alle vacanze, al una parentesi fra pensieri che allora sembravano responsabilità; mi bastava pronunciare vaccarizzo perché si materializzasse, avessi la mia sdraio verde e non dovessi far altro che collezionare conchiglie al mattino, ed unire le stelle con una matita bianca alla sera.

2 - Dare consigli.
Proprio non so trattenermi. E' terribile aver la consapevolezza di conoscere le risposte a tutte le più grandi domande e doverle tacere, d'altra parte.

3 - Disegnare.
Avete presente quando tutto quello che riuscite ad immaginare diventa bidimensionale?

4 - Scrivere.
E quando diventa tridimensionale?

5 - Condividere.
L'egoismo é, fra tutte le forme di taccagneria, la più deprecabile. Non credo, tuttavia, esista condivisione non prontamente seguita da un più o meno allegorico calcio nel sedere, ma tant'é.
Ecco. Ieri, ad esempio, ho prestato a Lesby sandali e abito, perché doveva far colpo su una gentile fanciulla, sei o sette libri per aver qualcosa di cui conversare, e il ferro per arricciare i capelli. L'ho truccata e spedita a divertirsi. 
L'avete vista più, voi? Io no. E ciò mi riempie di gaudio.

6 - Avere qualcosa di cui sognare.

***

Passo il testimone a tutti quelli che volessero farlo.
E un bacino a Gra.

 
 
 

Ingrata

Post n°760 pubblicato il 20 Maggio 2008 da erinn78

Una storia d'amore. Che finisce male.
Questo pezzo partecipa all'ultimo gioco letterario proposto da Writer

Ma io,
ingrata.

.

.

.

- Come faccio a raccontarti tutto dal principio, capirai che ce ne vuole.


- Nemmeno un minuto di più. Sapessi al buio per quanto tempo ho sentito bruciare il cuscino, e non lo meriti.


- Non voglio pensi che abbia costruito tutto su una bugia. Era una perla.
E non dire che anche le perle nascono da un briciolo d’immondizia.

Nella galassia di conchiglie, cocci verdi e monetine ossidate, solo tu non mi avevi ferito la pianta dei piedi.
Sentivo posarsi le api sui capelli, tanto ero leggera e, dopo la puntura e una strofinata d’aglio sul bitorzolo perché non gonfiasse, odoravo di bruschetta.
Così, in quell’estate che sapeva di limone e ombra, abbiamo fatto l’amore.
Ero foderata di velluto. 
Guardavamo dall'acqua certe volute come ami barocchi sollevarsi dall’orizzonte trasparente, supponevamo provenissero da un incendio, da qualche parte non lontano da lì, e sospiravamo, facendo bolle a pelo d'onda.
Ardevano le case, e palpitavano gole.

- Poi cos’è cambiato.
- Stai rivangando.
- Non è vero.
- Ho portato tua madre fra le braccia a casa la notte in cui è morta, ti ho guardato vestirla. Allontanarti da me. Ma io t’ho aspettato, finché non sei tornata. Per sette anni t’ho inseguito. Ingrata.
Poi ho incontrato lui.  

Sei stata l’unica per me.
E io invece
io.

 
 
 

Biancaneve

Post n°759 pubblicato il 13 Maggio 2008 da erinn78

Una storia vera

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.

 

Allora si dormiva felici in otto nello stesso letto.
Dalla sponda sinistra imploravo ancora per cinque minuti di luce, giusto il tempo di arrivare alla fine del capitolo. Dalla sponda destra tu mi lanciavi un'occhiata prima di spegnere l’interruttore e, al mattino, toccava a me tirar su le tapparelle e guardarvi, aspettando vi svegliaste tutti. Poi si faceva colazione in un frastuono di tazze e cucchiaini, e c'erano sempre ciambelle quasi soffici da portar via.
Durante la giornata ci sentivamo, anche decine di volte. Finché non tornavate, e mentre bussavate vi aprivo ancora col bicchiere incollato all'orecchio, e la corda si sfilacciava portando progetti e carezze da scambiare un giorno in un letto stretto ma solo nostro. Non ci baciavamo mai davanti agli altri, per rispetto dei tuoi fratelli.
Ma mi piaceva invitarvi a cena fuori quasi ogni sera, apparecchiando in giardino, circondati dai nani di gesso. E, arrivati al dolce, mi promettevi che avresti riaperto il pozzo ché, da quando abitavo lì con voi, non avevo ancora espresso un solo desiderio. Così ci accontentavamo di affidarli alle stelle, ogni sera gli stessi, per sicurezza. Il secchiello d’argento brunito era nido per rane e zanzare, un microcosmo di felicità.

 
Adesso che ci penso, ti avevo detto che sarebbe andata a finire male. Non si sono visti mai due bruchi grassi felicemente appesi alla stessa foglia di basilico.
Così ho preferito lasciarmi cadere.

.

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Qualsiasi analogia con fatti o luoghi non é casuale. Io conosco quella gente, ne amo i pregi e detesto tutto il resto.
Mura ovviamente sono io. E Muto, Bertuccia e Gibbone, Ermenegildo, Lesby, la Tedesca, Bakhum che voleva una moglie bionda, Crosti, Fernando con le sue parole che sono musica. Esistono e non sanno che una sola loro parola ha creato un angolo di Ottavia.

 
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