Creato da mondonebbia il 28/10/2008
 

mondonebbia...

alle prese con la vita...

 

 

Mira

Post n°124 pubblicato il 02 Marzo 2022 da mondonebbia
Foto di mondonebbia

Scendi da Palmira

Chiedi a Palmira

Ciao Mira

 

Due gradini a scendere, il corridoio, la camera da letto, il salone, la cucina piccola piccola , la cameretta

Il tavolo da sarto di Franco, imponente, le pesanti forbici. Il letto matrimoniale, l’armadio, il balcone.. possiamo girare tutt’attorno. È un balcone dove possiamo giocare!

Ci vediamo di sotto. Sul muretto di Palmira. Scendi. Corri. Arrivo.

 

Le case che non dimentichi. Le case che sembrano fatte di mura, ma poi cresci, diventi adulta, e capisci che erano fatte d’amore.

La casa di Palmira era come la casa dei nonni, o degli zii, e per me - che nonni e zii li avevo lontani - era anche rifugio. Era famiglia.

Quanti sono i ricordi? Li pesco in una rete senza fine stasera. E restano a galla, qui sul mio cuore, mi fanno compagnia mentre provo a salutarla.

Era la tata di tutti. 

Era sotto al mio balcone quando mi chiamava per portarmi a scuola.

Era dietro un campanello suonato mille volte al giorno.

Era la migliore amica di mia mamma. 

Era lei, era la sua infanzia triste, era la sua risata, i suoi occhi, era nei tre figli per cui ha vissuto.

 

Poi l’ho persa. In un girotondo di case troppo costose, di malattie che ci hanno piegato le ginocchia, di fili tesi lungo spazi troppo vasti per essere colmati nonostante noi.

L’ho persa. 

Ho la sensazione, stasera, d’aver attraversato una strada enorme e trafficata, e d’averla lasciata lì. Sul marciapiede. Ad aspettare.

Ed ora non so più cosa.

Cosa aspettasse.

 

La verità è che amo il posto in cui vivo non per come è ora, ma per come era quando c’era lei.

La verità è che l’allegro rumoroso via vai di questo palazzo ce lo hanno invidiato un po’ tutti.

Perché le porte non esistevano. Ed era un’unica casa.

La verità è che se resto zitta forse posso ancora sentirlo quel chiasso.

La verità è che lei non se ne è mai andata davvero. Anche quando l’ha fatto. 

È seduta qui nel mio cortile, ha un sorriso largo e pieno. Le mani capaci e ruvide, il cuore grande.

 

La verità è che eravamo una famiglia. Che la morte sgretola il vetro opaco del tempo e ci riporta esattamente lì, su quel muretto di cui potrei disegnare i difetti, in quelle stanze che odoravano di lei, a quella scimmietta a cui erano caduti gli occhi e su cui lei aveva cucito due bottoni per non farmi piangere. 

Prendersi cura. 

Stasera la malinconia mi toglie il fiato.

Se penso a quello che ci hai insegnato tu. Se dovessi riassumerlo o spiegarlo sarebbe questo: il Prendersi cura..

Ciao Mira ..

 
 
 

9 aprile

Post n°123 pubblicato il 09 Aprile 2020 da mondonebbia
 
Foto di mondonebbia

Oggi è un anniversario tutto mio. Il più brutto. Quello della mia malattia.

Non credo che finchè avrò vita dimenticherò lo scorso 9 aprile. Non lo dimenticherò mai.

Si hanno ricorrenze su ricorrenze durante la nostra esistenza, di ogni genere e intensità, più o meno sentite, più o meno festeggiate a dovere.

Ecco il punto.

Oggi devo festeggiare… e non come si può supporre festeggiare il fatto che io sia viva. Non solo almeno, visto che non era così scontato.. 

Voglio festeggiare una cosa più importante, la più importante di tutte. Ovvero il fatto che “nonostante questo anno” io oggi voglia contare le mie fortune.

Oggi non voglio annoverare il numero di infusioni di chemio, le entrate in ospedale, i giorni in cui il mio corpo sembrava non rispondere, i pianti a profusione. Io oggi sento scoppiarmi dentro la voglia di contare le mie fortune.

Le mie benedizioni.

La mia famiglia lo è stata. Mio marito che non mi ha mollata un secondo, che è crollato e si è rialzato assieme a me. Che non mi ha lasciata sola mai. Che era fuori ad ogni porta assieme a me. Instancabile come un eroe. Romantico come un cavaliere.

I miei figli, che più o meno inconsapevolmente hanno mantenuto la mia vita la stessa di prima. Perché c’era il dovere di seguirli, sfamarli, accompagnarli, accudirli, amarli.

Loro hanno reso tutto indicibilmente più stancante e più doloroso ma anche più semplice. Perché mi hanno privata di una cosa che durante la malattia può divenire un’arma letale: il tempo.

Tempo per rimuginare, per piangere, per cedere.

Mia mamma. Un’immensa benedizione è la mia mamma. Che non ho mai visto piangere. Che è entrata in casa mia ogni giorno col sorriso. Che è morta dentro mantenendo sul viso la stessa luce di sempre, e questo a me serviva. E con lei i miei fratelli e le mie cognate. Che sono stati appoggio, compagnia, forza.

Le mie amiche. Ancora una benedizione. Le mie amiche vere. Sono state il cuscino morbido su cui cadere.

Quelle che riempiono la mia quotidianità di sorrisi. Di risate di pancia. Di telefonate di cui non potrei fare a meno, di messaggi speciali, di caffè e chiacchiere che mi costringono al qui ed ora. Vietando alla mia mente qualsiasi volo pindarico sul futuro anche prossimo.

Le infermiere, le dottoresse. Sono delle benedizioni, ciascuna a modo suo, ciascuno per un pezzetto di questo cammino. Ne ho impresse in mente alcune incrociate per un solo momento. Occhi negli occhi, mani nelle mani. Alcuni direbbero angeli. Io dico colonne in mezzo al mare in tempesta. Io dico Dio, forse.

La mia casa. Una benedizione enorme. Le mura calde che ci avvolgono ogni giorno, il parquet sotto i nostri piedi, il letto sotto la grande finestra da cui anche da bambina mi affacciavo in strada, il divano su cui ci sediamo stanchi la sera, la tavola della cucina attorno a cui ruota la nostra giornata ..

Ne conto e ne conto ancora… nella mia mente si sovrappongono e faccio fatica a numerarle, ad elencarle tutte. Le mie benedizioni.

Sono persone, ma anche luoghi, oggetti, stati d’animo.

Uno stato d’animo può definirsi una benedizione? Assolutamente sì.

Credo di non essermi mai sentita tanto serena e in pace come su quel lettino prima di essere addormentata ed entrare in sala operatoria per dieci lunghe ore.

Il cuore aveva un battito calmo e regolare. E l’ho pensato mentre ero lì. Nell’istante esatto in cui accadeva.

Ho pensato che aveva dell’incredibile quella sensazione di pace. 

Era il mio miracolo. 

Questo è il giorno in cui tornerò per sempre lì. In quella clinica, davanti a quella dottoressa minuta dalla pelle bianchissima, in quella sala d’aspetto, fra le telefonate confuse di quei primi momenti di buio.

Tornerò lì spesso.

Ma tornerò poi sempre qui, allo stesso modo. Dove sono ora. Seduta nella mia casa ad annoverarle senza aver paura di vederle svanire.

Le mie fortune.






 
 
 

il mondo al contrario

Post n°122 pubblicato il 28 Marzo 2020 da mondonebbia
 
Foto di mondonebbia

Ad un tratto arriva.

Il punto di rottura. Il punto in cui qualcosa dentro s’incrina, dilata una crepa, e lascia tracimare…

Io ed i miei figli col naso all’insù verso il piccolo televisore della cucina che dalla parete rimanda l’immagine del Santo Padre intento a benedire il mondo… un padre stanco, un padre addolorato, un padre presente in una piazza apparentemente deserta e bagnata dalla pioggia..

Questo il punto di rottura che ha liberato finalmente le mie lacrime. Trattenute per giorni e giorni.

Quello che accade mi scuote nel profondo. Una guerra contro un nemico invisibile, dicono, la natura che domina l’uomo. La natura che si ribella. Che muta. Che uccide. Che costringe l’intero mondo in casa.

Ci sembra innaturale e disumano questo virus.. ma impotenti lo osserviamo entrare nelle abitazioni e negli ospedali e portare via tutto. Demolire. Lasciar scie di dolore non rimarginabili.

Mi atterrisce quello che leggo sui giornali.. perché dal momento in cui prelevano un ammalato per trasportarlo in ospedale non sempre si riesce a comunicare con chi resta a casa ad aspettare notizie. Questo pensiero mi tormenta.

Figli che non salutano i propri genitori prima della loro morte, genitori che non salutano figli a cui hanno dato la vita.. non riesco a pensare a nulla di più innaturale.

Ieri sul giornale l’immagine di un sms inviato da una signora per salutare la figlia prima di morire. Un sms.

Lo leggo inerme. Implodo.

Penso a mio papa’… a quando l’ho salutato la sera prima ‘’ciao papa’ ci vediamo domani ma sul tardi che passo a fare quella visita…’’

Quando sono arrivata da lui era gia’ ‘’scollegato’’ – così mi dissero i medici – non poteva avvertire il dolore, la situazione era precipitata, gli occhi chiusi. Ma ero lì. Ho potuto tenergli la mano, ho potuto sentire il suo respiro grosso fermarsi mentre gli parlavo all’orecchio, come se fosse in grado di capire esattamente quello che avevo da dirgli… io c’ero.

Ero lì quando ha riaperto gli occhi un istante prima di chiuderli per sempre.

Quindi cosa ci toglie questo virus implacabile oltre la vita? Ci priva degli addii… e non ci si puo’ lasciare senza un addio. Condanna chi resta a non trovar pace… ci priva degli abbracci, del contatto, della sensazione di pelle contro pelle.

Questo tumore e le chemioterapie che ancora faccio a cadenze precise mi costringono ad andare in ospedale. Sono stata in reparto lunedì, e l’atmosfera era surreale. Non ritrovavo nulla di cio’ a cui sono abituata.

Non c’era piu’ calore. E non c’era piu’ colore.  

In una stanza asettica mi sono sdraiata sperando solo di uscire da lì il prima possibile senza portar nulla nella casa dove sono chiusi i miei bambini.

I bambini…. Quelli che ricorderanno e parleranno di questi momenti ai loro figli… che vedranno comparire sui libri di storia quanto sta accadendo. Del mondo che si ferma.

L’altra faccia della medaglia sono loro. Una sorta di miracolo, una bolla: i bambini in casa.

La casa che è ormai un rifugio sicuro, l’unico possibile; e piccola o grande che sia racchiude giorni che si ripetono sempre uguali, è vero, eppure questa pandemia ci regala anche attimi sublimi. Una sensazione che stona, che quasi mi repelle ammettere…ma che corrisponde esattamente a cio’ che accade.

Si inventano i giorni, si cucina tutti assieme, si pranza tutti assieme, si gioca, si esce in balcone appena l’aria scalda per avere l’illusione di uscire un po’, ci si siede sul divano a guardare vecchi filmini, si ride fino a tardi, si dorme in tre o in cinque nel lettone sovvertendo ogni regola..

Si deroga alla vita. Continuamente. E lo si fa perché lì fuori c’è un mondo che va al contrario.

Lo si fa per sopravvivere. Lo si fa sperando di non scorgere mai la paura negli occhi dei nostri figli. Ci si improvvisa maestri, amici, istruttori.

E’ la vita che scorre…

In questo mondo al contrario la vita che scorre dentro anziché fuori.

Dentro di noi. Dentro le nostre case. Mentre nelle città deserte risuona il silenzio.

Una primavera al contrario.

Di cui la speranza che non muore, e cresce, è il solo fiore.

 

 

 

 

 

 




 
 
 

il cerchio

Post n°121 pubblicato il 19 Dicembre 2019 da mondonebbia
 
Foto di mondonebbia

Ho pensato mille volte a scrivere di loro.

A volte pigramente, altre sentendone proprio il bisogno,come a fermare un ricordo.

L’urgenza di contenerle in un foglio, il desiderio di descriverle per condividerle col mondo, perché il bene a volte va urlato.Perché parlare d'amore apre i cuori.

Sono le mie amiche.

Sono due amicizie relativamente recenti, ma con cui formo il “cerchio”. Se siamo noi tre il cerchio si chiude, il puzzle è completo. A volte ce lo diciamo ridendo, ma poi ci guardiamo sapendo bene che è così. Non ci serve altro.

Melania fa l’infermiera, e quando la si conosce si capisce subito che il suo non è un lavoro ma un’indole, una predisposizione d’animo.L’ ho vista indossare piu’ altruismo che abiti, eppure è una modaiola accanita.

Non c’è niente che possa frenarla, penso che potrei scandire la sua giornata in buone azioni portate a termine.

Io e Gioia ridiamo a crepapelle, l’osserviamo mentre si prodiga per l’universo mondo e non riusciamo a trattenerci dal ridere…

Gioia ha questo nome qui…che la descrive un po’ ma non del tutto. Perché è sì gioiosa ma anche ironica e intelligente e coraggiosamente se stessa sempre.

È nata artista, ma è poi rimasta invischiata come me in un lavoro che forse non le rende giustizia e che la vuole un po’ costretta in regole e procedure ferree. Lei lotta pero’ per cio’ in cui crede, e se persegue una cosa non c’è regola o etichetta che regga. È una passionaria.

A pensarci bene sono due donne forti, entrambe, e sono quel genere di persona a cui guardo ammirata da sempre. 

I nostri figli sono uniti come gemelli siamesi ma non è solo questo ad averci rese complici.

Noi ci siamo trovate. È come se ciascuna di noi – portando del suo – abbia completato le altre.

Quando mi sono ammalata è crollato il mio mondo… ma le macerie hanno travalicato anche nel loro…

Melania mi ha parlato con fermezza “se tu lotti noi lottiamo con te ma se tu crolli pa…se tu perdi il sorriso…noi non ce la facciamo…”. Non avevo altra scelta se non quella di lottare.

Gioia l’ho vista al bar, la prima volta dopo la diagnosi, e mi si è seduta accanto senza parlare. Poi ci siamo strette la mano mentre gli occhi ci si sono riempiti di lacrime. Non c'era bisogno di parole. Non abbiamo lasciato spazio a nulla se non al “non detto” che colmava l’aria ed il tempo tutt’attorno.

Io credo che loro lo sappiano…

Che sono state in questi mesi il cuscino morbido su cui atterrare stremata.

Che sono state sprone, distrazione e cura.

Che mi hanno fatta ridere e lasciata sfogare quando ne sentivo il bisogno.

Che mi hanno sopportata, coccolata e viziata ogni giorno di questi lunghissimi mesi, ed ancora lo fanno…

Che mi hanno accompagnata alle chemio sempre – fisicamente o meno – perché non hanno dimenticato mai un appuntamento un controllo o una visita.

Che mi hanno aiutata coi miei figli, sempre, piu’ di quanto possa fare un fratello o una sorella.

Che sono state la mia famiglia spesso. Perché le ho sentite piu’ vicine di chiunque altro.

Che hanno asciugato le mie lacrime migliaia di volte ma mai commiserandomi… sempre dandomi la chiave di lettura per guardare oltre, per andare avanti, per focalizzare su quello che invece di bello c’era, nonostante tutto, anche nel dolore.

Che sono riuscite a sdrammatizzare anche i capelli che non c'erano, le ciglia che cadevano e lo specchio che rimandava dolorosamente un’immagine che non riconoscevo più di me stessa… ci abbiamo riso. E quelle risate lì mi hanno permesso di andare avanti con forza.

Avrei affrontato comunque questo cammino? Certo, lo avrei fatto anche senza loro.

Sarebbe stata la stessa cosa? No.

No, no, no, no, mille volte no.

Voglio che lo sappiano. Che torni loro indietro tutto l’amore che hanno versato in questa mia vita. In questo mio dolore.

Senza di loro sarei io ma non sarei la stessa.

Imparo da loro. Reagisco con loro. Creo con loro un nuovo mondo, fatto di mille piccole abitudini che amiamo, di riti solo nostri ed appuntamenti imprescindibili che ricaricano ciascuna di noi come fossimo batterie scariche da rigenerare.

Melania ha posto il veto dei regali per questo natale.

Niente oggetti.

Ma questo posso darglielo.

Posso donare loro tutto il mio cuore. Tutta la mia riconoscenza.

Posso dar voce a tutte le parole che avrei voluto dir loro ogni giorno, ogni istante di questi mesi.

Posso far sapere loro che l’idea di finire l’anno ed iniziare il nuovo potendole abbracciare mi commuove. Perché non c’è nessun altro posto al mondo in cui avrei voluto essere, nessun viaggio mèta o regalo potrebbe rendermi più felice del sapermi li.

Al sicuro.

Al riparo.

Chiusa nel cerchio che è nostro.

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

Eternità

Post n°120 pubblicato il 29 Settembre 2019 da mondonebbia
 
Foto di mondonebbia

e forse le

parole che dovevo dirti te le ho già dette tutte in questi ultimi mesi ... stretta a te come mai nella mia vita.
Te le ho sussurrate, gridate, biascicate, scritte .. 
te le ho lasciate sul cuscino, sulla tavola, le ho fatte rotolare sotto le coperte, le ho prese e te le ho rimesse dinanzi ogni mattina in bagno - quando lo
specchio rimandava un’immagine di me che raccontava questi nostri mesi e la loro ferocia - le ho perse fra le lacrime durante decine di notti ed ad ogni ora fino allo giungere lento dell’alba ..
Questo anniversario ha un peso diverso.. questo anniversario mi ricorda che di noi va festeggiato ogni momento, ogni alito di vento smosso dai nostri corpi, ogni nostro passo.
Non ricordo le
promesse fatte tredici anni fa ma ora so che ogni giorno che nasce in casa nostra e’ una benedizione, una sfida, una promessa d’eterno..

 

 
 
 
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