CARICO A CHIACCHIERE

SCUOLA E FAMIGLIA IN SINTONIA


 Sapete come sia consuetudine affidare compiti per le vacanze agli alunni. Una vecchia e fastidiosa (per i ragazzini) abitudine che nel tempo non ha ceduto: è a discrezione degli insegnanti affibbiare i compiti estivi, tuttavia una massiccia parte del nostro corpo insegnante, non demorde nonostante le lamentele e continua nella prassi. Molti genitori in particolare, ritengono che non servano a nulla e che inficino la tranquillità di quei tre mesi che dovrebbero servire alla distensione, allo svago e al divertimento. In realtà gli insegnanti, se sono ben consci delle potenzialità dei propri alunni, indicano i compiti da svolgere perché puntano a rafforzare e rendere ben saldo il loro lavoro svolto nei canonici nove mesi scolastici. Bene, un genitore di Varese ha acceso una miccia pericolosa che sarebbe opportuno spegnere subito e senza clamori. Già l'idillio tra genitori e insegnanti non è tra i migliori in Italia: i primi, generalizzando, riflettono spesso sui ragazzi i loro disagi, le loro ansie dovute ai problemi della scuola, i secondi invece, sempre più di frequente, assumono toni e atteggiamenti che non incoraggiano un buon e costruttivo rapporto tra famiglia e scuola. Ci sono casi a bizzeffe di genitori che affrontano a muso duro quegli insegnanti che si permettono anche timidi richiami per quei ragazzi svogliati e distratti: per loro non è possibile a priori che il proprio figlio denoti quelle carenze indicate. Scatta la polemica e ovviamente i dialoghi si incrinano quando invece c'è necessità che siano sempre più serrati per il bene del giovane alunno. Il papà varesino non ha fatto svolgere i compiti a casa perché non ha ritenuto che suo figlio perdesse tempo con questo incarico inutile e dannoso. "Voi avete nove mesi per insegnargli cultura e nozioni, io solo poco meno di tre mesi per insegnargli a vivere". Detto così, parrebbe che scuola e famiglia abbiano due compiti distinti e ben separati: la scuola ha l'onere di acculturare i ragazzi e la famiglia quello di insegnargli a vivere. In altri termini, il papà ha insegnato al giovanissimo figlio come si costruisce una scrivania. Secondo me, è qui che sbaglia il papà: scuola e famiglia, in perfetta sintonia, si avviamo a percorrere un tragitto in comune, le due entità si integrano, si interfacciano e insegnano in perfetta comunione di intenti, tutto ciò che si deve insegnare. Un padre può anche insegnare ad un figlio una nozione storica, geografica e apportare correzioni alla grammatica del bambino. Così come un insegnate può insegnare ad uno scolaro l'educazione, i modi composti per stare in società, non masticare una gomma americana mentre si parla con una persona, ecc.ecc. Insomma, compiti che non si demandano per scelta ma che si provvede a distribuire per tacito accordo quando c'è bisogno. Il papà di Varese è uno tosto, lo si capisce anche da come si sia posto per un eventuale confronto; addirittura concede (sic) un eventuale incontro all'insegnate se riterrà di invitarlo, per chiarire la sua posizione. Beh, mi pare che la spocchia e la presunzione non difettino in costui e spero che non si crei un precedente per un caso che implichi uno scontro tra famiglia e scuola. Se c'è qualcosa in questo momento di cui non abbiamo bisogno è proprio di una...scrivania costruita da un ragazzino che stia imparando a vivere.