La pianista cinese Yuja Wang in Italia per una tournée (il 28 aprile sarà a Roma al Parco della Musica) e sicuramente, come da anni ormai, sarà sold out per l’esibizione del mostro Yuja: pianista eccellente, come del resto tutte le cinesi e le coreane, la trentenne e bella concertista non finisce di stupire le platee di tutto il mondo: tecnica superba, Ipad professionale sul leggio al posto del classico spartito e mise esuberanti, eleganti e affascinati. Se non è una perfida minigonna, è un spacco lunghissimo al vestito (lato pubblico) a mettere in netta evidenza le belle gambe con ai piedi tacchi a spillo dai 12 ai 15 cm. Un caso raro quello di Wang, sempre al top con i suoi concerti di musica classica, eseguiti con una tecnica basata sulla velocità e sulla perfezione: non vi sono pecche, la sua velocità non conosce eguali e la Martha Argerich, veterana e impagabile pianista mondiale, potrebbe solo invidiarla. Ma….ecco il ma: la Yuja su cosa punta quando si esibisce? Sulle sue apprezzabili gambe nude, il suo esorbitante look oppure sulle sue interpretazioni pianistiche? Questo il dilemma amletico su cui si basano le correnti critiche: gli spettatori sono attratti dalla sua forte personalità artistica, ma chi conosce la buona musica classica, i pianisti del passato in particolare, quelli che ormai siedono sull’Olimpo tutti insieme attorno al tavolo dei privilegiati, sanno che l’interpretazione è ciò che conta in una esecuzione. Quando si sente proprio il brano che si suona, quando si entra in simbiosi con l’autore del pezzo, allora si interpreta, si conosce il pathos del brano e quindi, a prescindere dalla tecnica perfetta dell’esecuzione, si può lodare o criticare, oppure cogliere le eventuali mancanze. Le cinesi e le coreane, le musiciste tutte nate in oriente, sono generalmente eccellenti nella tecnica e nella velocità, però spesso pagano un prezzo sull’altare del pathos: quello da provare mentre si suona e quello da trasmettere al pubblico. Non sempre questo avviene e chi sa notare le differenze le rileva e le critica. E’ un po’ come quando io sento la musica classica su cd: sono in poltrona, mi giungono dall’impianto hifi le note, pulite, nette, perfette ma algide, scostanti nella loro freddezza. Al contrario, se ascolto i miei amati LP sul giradischi dello stesso impianto, il caldo e avvolgente suono, magari anche con qualche scarica elettrostatica, mi arriva direttamente all’anima, al Pathos. C'è empatia tra me e il disco, è come se l’esecutore mi chiedesse di alzarmi ed “entrare” nella musica, coinvolgermi e confondermi tra le note che mi catturano. Se la Wang, mostrasse meno le cosce, rallentasse la velocità delle sue mani sulla tastiera e badasse più all’interpretazione di ciò che esegue, allora potrà essere meno ammirata, più ascoltata….e più brava!