CARICO A CHIACCHIERE

QUANDO LA PROPRIA TERRA E' AMARA


 
A Reggio Calabria, un funzionario della Azienda Sanitaria della Provincia, ha scoperto durante le verifiche di documenti contabili, come alcuni dipendenti nonostante fossero stati condannati per reati gravissimi (anche per mafia), fossero ancora a libro paga dell'Azienda. Parliamo di fatti accaduti oltre dieci anni fa e per tutto questo tempo medici, infermieri e  dirigenti hanno ricevuto, tramite regolarissimi bonifici, le somme accreditate puntualmente.  Tra costoro anche il mandante di un omicidio per cui aveva avuto una condanna all'ergastolo. Ma come? Avrebbero dovuto essere tutti licenziati e invece, senza essere al lavoro, prendono ugualmente soldi a sbafo? Tutto è nato dalla profonda analisi, dalla cocciuta rendicontazione effettuata dal Direttore Brancati, il quale poco alla volta, insistendo su tutti i documenti, ha scoperto il giro dei pagamenti non dovuti. Un rete fitta e mafiosa di chi crede di poter fare veramente i propri comodi, ponendosi sopra e oltre le istituzioni. Benché costoro avessero subito l'interdizione dai pubblici uffici, la loro spettanza doveva essere riferita solo al un breve periodo di garanzia durante il quale avrebbero dovuto percepire un assegno detto "alimentare". Dopo quel periodo stabilito per legge, il conto viene chiuso e si sospendono tutti i pagamenti. Questo non è avvenuto e a partire dal più "vecchio" che prendeva soldi da un decennio, vi sono altri che hanno riscosso normalmente i soldini in tempi più brevi...appena pochi anni. Le carte sono passate in mano alla magistratura che provvederà ad approfondire la beffa calabrese. Il caso anche se grave, non è nuovo, una regione martoriata dal malaffare e che non merita questo marcio delittuoso. A tale proposito, ha catturato l'attenzione di tutta la rete, una lettera lasciata da un giovane che ha lasciato la sua bella terra, la Calabria. Ve la riporto: "Cara Calabria, sei riuscita a far scappare tanta gente, mi piange il cuore per te, Calabria. Stai perdendo: i più onesti, i più sognatori, i più intelligenti, i più coraggiosi, i più lavoratori". Inizia così la lettera di Alessio Tundis, anche lui tra i calabresi costretti dalla crisi a lasciare la loro amata città d'origine. Ad Alessio, 21 anni, non resta che scrivere, raccontando proprio a lei, la sua Calabria, la decisione di andar via, affidandole tutta la tristezza di una scelta obbligata ma mettendo a nudo le difficoltà e le ingiustizie con cui i giovani calabresi devono fare i conti tutti i giorni. Perché la Calabria ha tanto da offrire "ma sai - scrive ancora Alessio - quando c'è di mezzo il futuro le tue "ricchezze" valgono ben poco".Lettera tratta dall' "Huffington Post" del 6/02/18