CARICO A CHIACCHIERE

I TEMPI CAMBIANO...ANCHE L'INFINITO


  Il "Corriere" ha recentemente pubblicato la famosissima e notissima poesia del Leopardi "L'Infinito", proponendola in  alcuni dialetti italiani. Un esperimento curioso, molto divertente: in barese, in bergamasco e altri slang nostrani,  c'è il gusto di rileggere per l'ennesima volta, uno dei capolavori della poesia classica italiana che ci ha fatto impazzire quando sin dalle medie, eravamo costretti ad impararla a memoria. La sfiga di Leopardi ci contagiava, ci perseguitava e con il tempo nessuno ha mai spazzato via il pregiudizio verso il marchigiano, tanto che ci spingeva istintivamente a portare giù le mani verso il basso del nostro corpo. Oggi vi propongo se non vi è ancora capitato di leggerla, la versione dell'Infinito in romanesco. Ammetto che tra le altre scritte in vernacoli diversi, questa mi ha catturato, mi ha attizzato e le mani sono rimaste al loro posto. Francesco De Gregori l'ha tradotta da buon romano e da lui non potevo aspettarmi altro che una buona proposta. Magari un giorno la canterà pure! Quanto me pò piacé ‘sto montarozzo E ‘sta siepe che er mejo de la vista Dell’urtimo traguardo me nasconne. Ma si me siedo e guardo, spazzi senzaConfine là de dietro, e ‘na gran pace, E silenzi che l’omo nun conosce Me raffiguro, e tremo. E quanno er vento Smucìna fra le frasche, me viè fattoDe volé confrontà quell’infinitoSilenzio co ‘sta voce: e allora penzoAr tempo eterno e a tutte le staggioniAnnate, e a quella attuale e tanto vivaE fracassona. E ‘n mezzo all’universo Così s’affoga la raggione mia: E è dorce naufragà dentro a ‘sto mare. Me piace 'sta poesia, mejo dell'originale!E pensare che c'era un tempo in cui molti di noi, alla richiesta del prof di declamare "L'infinito" di Leopardi, si sbrigavano in un attimo:"Leopardare"