Rime in Prosa vol.1

Il Templare Orgoglioso


Balihas cavalcava. Artanis aveva recuperato l’uso dell’Arte Equestre, ed entrambi erano entrati in sintonia perfetta. Un giorno raggiunsero le Lande Desolate dell’Odinàl, una pianura desertica quasi totalmente disabitata. Al centro di quella zona vi era un castello, all’interno del quale si diceva vivesse un Templare Solitario. Egli aveva rifiutato di vivere con la comunità. Artanis si fermò per qualche giorno nel vicino paese di Cenodàr, dove viveva un’esigua comunità di abitanti. Alla taverna del paese, sentì parlare di questo Templare, così, incuriosito dalla storia, chiese maggiori delucidazioni agli uomini seduti ai tavoli. ”Era un templare che pretendeva troppo per quello che dava” si sentì dire, e poi ”Si rinchiuse nel Castello Nero aspettando che qualcuno lo andasse a implorare di uscire”, poi ancora ”Era troppo orgoglioso per poter avere rapporti con la comunità”. Un Templare che mise l’orgoglio davanti ai sentimenti, questo pensò Artanis. Il Cavaliere, incuriosito dalla vicenda, decise di verificare da sé la situazione. Di buon mattino, si recò al Castello Nero, che si trovava isolato e avvolto dalla foschia al centro della pianura desertica. Come poteva l’orgoglio umano arrivare a tanto?. Artanis voleva una risposta a questa domanda. Il portale era aperto, forse l’unico misero sforzo per tentare una comunicazione con l’esterno da parte del Templare Solitario. Artanis entrò, lasciando Balihas fuori. L’interno era molto curato, sorprendentemente. Il Templare che viveva in quel castello, doveva dedicare molto tempo alla sua cura. “Che vuoi?” proruppe una voce grave. ”Sono venuto a vedere di che pasta è fatto un Templare” rispose Artanis, voltandosi verso l’uomo, che stava uscendo da una porta che dava sul cortile. ”Sei venuto per sfidarmi?” chiese l’uomo, sguainando la spada. Ma l’Arconte non si mosse, fissava l’uomo con uno sguardo severo. ”No” disse ”Volevo solo vedere come vive un Templare Orgoglioso”. ”Beh, caro visitatore. Io vivo da solo, perché la comunità si rifiuta di accogliermi. E vivo benissimo" disse il Templare Solitario, ma egli continuava a tenere la spada in mano, stringendola sempre di più e, nel contempo, avvicinandosi a passi lenti ad Artanis. ”La comunità vi accoglierebbe a braccia aperte, caro Templare, se solo voi varcaste quella soglia”. “Mai! Mai lo farò! Essi devono venire qui per scusarsi del loro comportamento e chiedere il mio perdono” “E quale mai grave azione hanno commesso quei poveri contadini che di null’altro vivono se non del lavoro delle loro braccia?” “Non ho intenzione di parlarne con voi, visitatore sconosciuto. Di voi non conosco neanche il nome” Artanis decise allora di tentare uno scontro verbale, visto che il Templare sembrava, senza alcun motivo, propenso allo scontro fisico. Decise di rivelarsi. “Voi pensate vi sia dovuto qualcosa, ma non sapete cosa, caro Templare. Non conoscete il mio nome? Ebbene, colmerò subito questa lacuna. Il mio nome è Artanis figlio di Altaris, Arconte Magister dell’Ordine del Terzo Pezzo”. “Magister?” disse l’uomo tra sé e sé, fermando di colpo il proprio lento avvicinamento. “Voi tentate di ingannarmi, straniero” insinuò il Templare “Nessuno è mai stato in grado di assumere il titolo di Magister. Pensate che io sia stupido?” ”Nessuno non è il mio nome, Cavaliere” intervenne Artanis ”Il mio nome, ve lo ripeto, è Artanis. E sono colui che è riuscito ad ottenere quel titolo, che voi ci crediate o no”. Il Templare sembrava sorpreso, ma al tempo stesso timoroso, anche se cercava di nasconderlo. “Ebbene, cosa volete dirmi con questo? Siete venuto per vantarvi, Artanis?” “Mai e poi mai avrei pensato una cosa simile, io non sono come voi. In realtà sono venuto per aprirvi gli occhi. So il perché della vostra clausura” “E quale sarebbe?” “Voi non avete mai accettato che questi poveri contadini potessero osannare un altro cavaliere. Idanele fu il suo nome, egli venne dall’ovest e salvò Cenodàr dall’assalto di 26 predoni. Come risposta vi siete rinchiuso qui, cercando di stimolare quel poco di fiducia che questi braccianti conservavano in voi. Ma avete commesso un grosso errore” “Chi siete voi per dirmi questo?” “I miei occhi hanno visto molte vicende. E grazie a questa esperienza, ho potuto imparare molte cose. Tra queste, ho riconosciuto l’inutilità dell’orgoglio. Voi amate questa terra, per questo non ve ne siete andato in un’altra landa, messere. Il vostro orgoglio vi impedisce di varcare quella soglia e tornare nella comunità, vi impedisce di fare anche solo un minimo sforzo per farvi accettare” “Basta! Andate via!” “Povero Templare. Non riuscite a sostenere neanche uno scontro verbale” “Voi chi credete di essere? Io decido della mia esistenza, se essi tengono a me verranno. Altrimenti capirò quanto la comunità ami il Templare Solitario” ”Questo è un grosso errore. Essi premiano l’umiltà, ed hanno visto che in voi, essa non è presente. Ma l’umiltà non nasce, l’umiltà si crea. Basta che voi vogliate e, badate bene, essere umili non significa abbassarsi, anzi, significa essere superiori a sé stessi. Significa porre i sentimenti di fronte alle proprie convinzioni” “Sbagliate Artanis. Sbagliate di grosso. Per quale motivo dovrei cambiare le mie convinzioni? Io non lo farò, essi, se vorranno, cambieranno le loro di convinzioni. Io sono il loro Paladino, ed essi lo capiranno presto” “Povero Templare. Spero che un giorno capiate l’errore che state commettendo ma, prima di andare, voglio che ricordiate una cosa. L’umiltà è il vestito più scomodo, mentre l’orgoglio è l’armatura più inutile. Vi dico addio, Templare Solitario. Io non tornerò, ma sarò felice di rivedervi, una volta abbiate capito cosa state sbagliando. Una volta abbiate ammesso i vostri errori” “Addio Artanis. Se vorrete rivedermi, saprete dove trovarmi” L’Arconte uscì, rattristato da ciò che aveva visto. Egli aveva constatato quanto l’orgoglio possa rovinare un uomo, e quanto possa convincerlo di essere nel giusto quando egli si trovi palesemente nel torto. Stette in quel paese ancora per qualche giorno, dopodiché ripartì in sella al fido destriero Balihas. Mentre riprendeva il proprio viaggio senza meta, si voltò, lanciando un ultimo sguardo al Castello Nero, nel quale un uomo solo si ostinava ad essere solo.