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Un blog creato da Mule1968 il 17/10/2005

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Happy Quest

Post n°55 pubblicato il 17 Novembre 2005 da Mule1968
 

Leggevo distrattamente una intervista di compleanno, piuttosto celebrativa, a Woody Allen. Invece del solito effetto di risciacquo tipo lettura shampistica, una frase mi si è piantata in mezzo agli occhi, riportando a galla riflessioni da tempo dimenticate: “Non credo di essere mai stato felice per più di otto ore consecutive…”

Pure il buon vecchio Woody, certo non l’ultimo arrivato, di cultura più che onnivora e dotato di sufficiente intelligenza, scivola su quello che oggi si potrebbe definire uno dei più importanti misunderstanding della nostra cultura occidentale.

La felicità non semplicemente intesa come uno degli stati d’animo possibili, ma eretta a fine ultimo, a stella polare, a premio, realizzazione di tutti i meccanismi che regolano le nostre esistenze. Se ho operato bene otterrò la Felicità. Cosa ho fatto di male per non meritarmi un po’ di felicità. I soldi non danno la felicità, figuriamoci la miseria. Scopo, obiettivo, ma anche metro, sistema di misura, algoritmo e sistema operativo. Non riuscire ad essere felici quindi avere fallito, tristezza uguale ad impotenza, infelicità e miseria, felicità ed autorealizzazione, infelicità e frustrazione. La felicità è democratica, è promessa a tutti, spetta di diritto. Ho trascorso abbastanza tempo in compagnia di soggetti affetti da depressione da conoscere quale violenza possa esercitare l’uso improprio da parte del nostro cervello di questa semplice moneta. Eppure tutto nasce da una banalissima confusione. Quando la nostra cultura si rifonda, siamo nel medio evo, i testi sono letti e riprodotti in luoghi religiosi, le persone dotate di cultura sono cresciute in ambito conventuale. In epoca medioevale lo scrittore, come il lettore, hanno una vera passione per la fonte, vi sono legati visceralmente, oggi diremmo che mancano di senso critico (è un eufemismo, naturalmente), la biblioteca del convento ha rispetto religioso per le sacre scritture nella medesima misura con cui considera verità biblica gli scritti di Averroè o di Platone. La trasposizione del messaggio biblico e la cultura ellenistica, cosi poco affini in apparenza, si plasmano in una originale mescolanza. La disputa classica tra perseguimento della felicità o piuttosto della virtù, banalizziamo, vede fino all’anno 400 d.c. un risultato in sostanziale pareggio per numero di pensatori. Ma ecco che la reinterpretazione in chiave ellenistica della Bibbia, argomento nientemeno che "Il senso della vita", fa sorgere una generazione di pensatori che vedendo come caduci i premi materiali della vita terrena, troppo dolorosa e trista, proiettano nell’aldilà, la possibile ambizione alla felicità (paradiso=felicità), costui è il Cassiano (m. 453 dc), per non parlare del quasi contemporaneo S.Agostino, certamente il più influente in tutto il medioevo, per il quale l’anima trova pace solo presso Dio. Più oltre all’identificazione Dio=felicità, non si può andare, la frittata è fatta. Dio, poteva essere un sacco di cose, ma no, si tratta della  felicità promessa, proprio e solo quella. Perlomeno, un millennio e mezzo fa la prospettiva era tale da non dimenticare che, in ogni caso, all'uomo toccava lavorare con sudore ed alla donna partorire con dolore, se volevamo la felicità potevamo fare a meno di morsicare la mela e di cercare la felicità in questa valle di lacrime, non sarebbe venuto a nessuno il benché minimo sghiribizzo. Ma sfortunatamente il rinascimento e soprattutto la rivoluzione scientifica, senza un briciolo di fantasia, non solo non hanno avuto la lungimiranza di cambiare, o anche solo di deviare leggermente dall’obbiettivo, chiamando in causa che so l’onestà, la convivenza civile, l’onore (o quando l'hanno fatto sono stati davvero poco convincenti, ad esempio cito la Rivoluzione francese), ma peggio, con l'offuscamento della prospettiva teosofica del paradiso, hanno traslocato l’inseguimento all’ambita esigenza nell’improbabile mercato della vita terrena. Dopo appena un paio di migliaia di anni, a considerare la felicità per quello che è, uno stato d’animo, una carta del mazzo, rimane solo Nietzsche, e pochissimi altri. Non c’è bisogno di aggiungere che l’ultimo paio di secoli, oltre ad un po’ di ardore romantico, alla cultura occidentale hanno aggiunto davvero pochino, quando oggi per avvicinarci all'ambito premio basta di volta in volta procurarci l'ultimo cellulare asciugatutto o una stramobile fiammante.

Beati paperi spiritu? Non saprei….

 
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