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L'INTUIZIONE

Post n°125 pubblicato il 05 Ottobre 2011 da fittavolo

L’autobus era giunto a una fermata. Era una delle tante lungo il percorso verso la metropolitana. La frenata era stata più brusca del solito, Francesco distolse l’attenzione dal libro che stava leggendo e guardò davanti sé. Un’automobile aveva frenato bruscamente dinanzi al bus, scese una ragazza che si confuse tra le molte persone in attesa alla fermata. “I soliti ritardatari” pensò, mentre cercava di ritrovare il segno della lettura.
– È libero? – disse qualcuno.
Francesco preferiva occupare il sedile interno per evitare il soffio diretto del condizionatore. A quella richiesta alzò gli occhi e vide che era la ragazza scesa dall’auto, indicava il sedile libero.
– Sì, prego – rispose e si scansò per favorire il passaggio alla nuova compagna di viaggio.
La ragazza si sedette e prese dalla borsetta un paio di auricolari, li collegò al cellulare e schiacciò il tasto play. La musica, un insieme di suoni smorzati, si unì al bisbigliare delle persone e al rumore del motore. Francesco era abituato ad avere questo sottofondo alle sue letture, col tempo, era riuscito a ignorarlo quasi del tutto. C’era voluta molta pazienza e forza di volontà. Le prime letture erano state un tormento, non tanto per il continuo chiacchierio della gente, ma per il fastidioso tintinnare musicale proveniente dalle cuffiette acustiche conficcate nelle orecchie dei vicini di viaggio.
Una musichetta partì dal cellulare della ragazza.
– Pronto – disse portandosi il microfono alla bocca.
– Sono sull’autobus – continuò.
– Perché? – domandò.
Sbuffò.
– Non mi và – disse seccata.
Era difficile rimanere indifferente a quella conversazione fatta a pochi centimetri dal suo orecchio. Francesco continuò a fissare la pagina aperta davanti a sé, ma seguiva il discorrere della sua vicina di posto. A tratti gli risultavano comprensibili anche le parole provenienti dal piccolo auricolare piantato nell’orecchio della ragazza.
– Non lo accetto, è una cosa che non ho mai condiviso, e tu lo sai perché te l’avevo già detto tante volte – puntualizzò la ragazza – non puoi ogni volta ritornare su questo argomento, sperando di convincermi ad aiutarti.
– Non posso fare a meno di chiedertelo, cerca di capire, ha bisogno di aiuto e lo ha chiesto a me – disse la voce.
– Non posso farci nulla – rispose la ragazza.
– Allora non mi vuoi bene – disse la voce.
– Carlo di bene te voglio, non immagini quanto, e da sempre condivido le scelte fatte, però su questa non sarò mai d'accordo  – disse la ragazza.
– Allora non mi aiuti. Io devo farlo  – disse la voce.
La ragazza non rispose subito, sembrava che riflettesse sulle parole da dire fissando il cellulare che aveva in mano. Anche dopo il sollecito della voce che chiedeva se fosse ancora lì, lei rispose solo un sì appena percettibile. Francesco, con la coda dell’occhio guardava la ragazza cercando di cogliere l’espressione del suo viso. Ma era fuori visuale per riuscirci. Fece finta di interrompere la lettura, chiuse il libro mettendo in mezzo un dito per non perdere il segno, strizzò gli occhi e la parte superiore del naso con l’altra mano e si voltò a guardare fuori dal finestrino come se volesse rilassarsi un attimo. La ragazza non si accorse di niente, continuava a fissare il cellulare, la sua espressione era di delusione. Dall’auricolare giungevano parole incomprensibili per il troppo brusio, quattro ragazzi avevano aumentato il tono della loro voce, stavano discutendo di calcio. La ragazza alzò gli occhi, si voltò verso Francesco. Egli per un attimo rimase impassibile, continuò a far finta di scrutare il panorama che scorreva al di là del vetro, poi incrociò il suo sguardo. I loro occhi rimasero incollati in uno sguardo perplesso, curioso. Sembrava che stessero per dirsi qualcosa, ma non fu così, Francesco riaprì il libro e lei girò la testa verso il finestrino. Ora l’aveva notato.
– Va bene fa come vuoi – furono le sue parole, dette di botto, tanto velocemente che dovette ripeterle per renderle comprensibili al suo interlocutore.
Spense il cellulare, chiuse lentamente il portellino come se fosse il sipario di uno spettacolo giunto alla fine. Non sopportava averlo detto, ma non aveva altra scelta. Questa era la prima volta che cedeva su una cosa importante, una cosa che le faceva male, che le procurava sofferenza. Stringeva il cellulare nella mano e lo sbatteva sulla gamba, come per sfogare la rabbia che stava montando dopo quelle parole. Nella sua testa solo una frase rimbalzava da una parte all’altra del cranio “non è possibile” “non è possibile” “non è possibile”. Diede un colpo più forte sulla gamba. Il cellulare schizzò via dalla mano e precipitò verso il basso tra la sua gamba e quella di Francesco.
Il cozzare delle teste produsse un rumore secco, poco percettibile ma molto doloroso. Le mani portate nel punto dolente fu l’epilogo dell’incidente. Non si dissero nulla, si guardarono ognuno facendo una smorfia di dolore, poi scoppiarono a ridere. Più in basso il cellulare dondolava appeso al filo dell’auricolare, il suo movimento disegnava un enorme sorriso nell’aria. Francesco allungò un braccio per recuperarlo, ma lo fece anche la ragazza. Cozzarono ancora la testa, ma in un punto diverso. Questa volta la risata scoppiò subito.
– Ferma lì – le impose Francesco mentre lentamente tirava su il telefonino attaccato al filo – per fortuna non si è sganciato – disse porgendolo alla ragazza.
– Grazie. Ti fa male? – disse la ragazza.
– Un po’, comunque niente di grave. Te invece? – chiese Francesco.
– Uguale. Io sono Fabiola, tu? – chiese la ragazza.
– Io Francesco, un  Francesco qualsiasi – rispose.
Fabiola aggrottò la fronte, lo guardava incuriosita.
– Come qualsiasi? – chiese.
– Niente, è un mio modo di dire, nel senso che…vabbé! Troppo lungo da spiegare – concluse Francesco.
La ragazza si incuriosì di più e insistette perché glielo spiegasse. Francesco abilmente ci girò intorno, fece crescere l’interesse di Fabiola prima di dare una completa spiegazione.
– Quindi tu ritieni di essere uno qualunque della massa. Allora anch’io sono una Fabiola qualsiasi – disse la ragazza.
Francesco sorrise.
– Non proprio – disse.
Fabiola non capì e chiese spiegazioni.
– Tutti facciamo parte della massa e ci confondiamo in essa, fino a quando succede che…– la ragazza aveva gli occhi sbarrati e le sopracciglia alzate lo guardava attentissima – succede che qualcuno, un altro qualcuno qualsiasi ti tira fuori dalla massa. E a te è successo – disse Francesco.
– Un altro qualcuno qualsiasi – ripeté la ragazza ridacchiando come se volesse mettere in evidenzia che da due persone mediocri non viene fuori una eccelsa – chi sarebbe colui che mi ha tirato fuori dalla massa? – chiese.
– La persona con cui stavi parlando al cellulare, il tuo ragazzo. Scusami ma non ho potuto fare a meno di ascoltare la tua conversazione di prima – disse Francesco.
Fabiola divenne pensierosa e fissò Francesco con sospetto, dopo scoppiò a ridere. Francesco non sapeva come interpretare la risata di Fabiola, rimase serio dinanzi al suo gioire.
– Hai pensato veramente che Carlo… ah ah ah ...che Carlo…ah ah ah...fosse il mio ragazzo? Che intuito da volpino! ah ah ah – disse Fabiola continuando a sghignazzare – Carlo è solo un amico che non riesce a liberarsi dalla sua ex…incredibile! Non posso crederci che tu…ah ah ah ...mi infurio sempre quando lei, solo per opportunismo, lo cerca e lui crede che…incredibile! Da non credere – .
“Che gaffe terribile” pensò Francesco, paonazzo e imbarazzatissimo.
L’autobus era giunto al capolinea. Le porte si aprirono e un fiume di gente si riversò sul marciapiede verso la metropolitana. Scesero anche Francesco e Fabiola. Ormai la frenesia per il malinteso si era dissipata.
– Prendi anche tu la metro’? – chiese Fabiola.
– No. Prendo quello – disse indicando l’autobus fermo al capolinea della 405. Fabiola prese dalla borsetta una penna e un piccolo blocchetto di carta e ci scrisse qualcosa.
– Allora ciao – disse porgendogli il piccolo foglio di carta staccato dal blocco.
Francesco prese il foglio e lo mise in tasca, immaginò che fosse il suo numero di telefono.
– Grazie. Ciao Fabiola – disse con voce roca.
Sul bus 405 occupò il primo posto, quello sulla ruota anteriore che non ha sedili adiacenti, non voleva nessuno vicino. Ripensava a quella ragazza mentre sfogliava il libro che non aveva più voglia di leggere. Solo dopo la partenza tirò fuori dalla tasca dei jeans il bigliettino che gli diede. Solo parole, nessun numero di telefono.
“Anche questa volta ti sei sbagliato”.

 
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