Non riesco a capire qualcosa finché non la scrivo

Post n°103 pubblicato il 30 Gennaio 2013 da navigator77
 
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Non potrebbero esserci parole migliori di quelle citate nel titolo, prese in prestito da un celebre scrittore, su ciò che significa per me, in particolar modo negli ultimi tempi, la scrittura.

Talvolta capita di perdersi nei pensieri di situazioni del passato, oppure in speranze ed ipotesi di futuro, ma la maggior parte delle volte il tutto finisce per restare un qualche cosa di astratto, incompiuto, che svanisce nel tempo allo stesso modo di un sogno al risveglio mattutino, dimenticando pian piano i particolari che fino ad un momento prima sembravano tanto nitidi e reali.

Però c'è una cosa che può dare concretezza a questi pensieri, ed è lo scriverli. Non fraintendiamo, non è il mero metterli nero su bianco a rendere concreto un pensiero, non è il semplice "fotocopiarlo", a dargli concretezza. Ciò che riesce a dargli questo livello di materializzazione, è il rielaborare tali pensieri, per metterli in forma scritta in maniera da essere comunicati efficacemente, come se volessimo spiegare la cosa all' interlocutore che troviamo in noi stessi, a cui dobbiamo spiegare e motivare le nostre scelte, i nostri progetti, le nostre ambizioni, in maniera da essere convincenti, cosa che necessita di esserne a nostra volta convinti. E’ il processo mentale che c’è per arrivare a farlo, a dargli concretezza.

 

Questo interlocutore è molto puntiglioso e critico, e non possiamo mentirgli: ci scoprirebbe all'istante. Se vuole.

Potremmo anche mentirgli, ma l'atto stesso dello scrivere, sarà il nostro testimone oculare, poiché questo pensiero lascerà una traccia, e se oggi in un lampo di disonestà verso noi stessi decidessimo di raccontarci una bugia, domani a mente lucida essa sarà evidente come una goccia di sangue alla luce del luminol.

Talvolta capita di essere fortemente convinti, nel momento in cui si scrive, di ciò che si sta esprimendo, ma il giorno dopo, alla luce di nuove cose accadute, scoperte o delusioni, o proprio grazie al processo mentale di rielaborazione che è stato fatto, potremmo esserne anche totalmente in disaccordo. In tal caso non si tratterà di una bugia, perché nel momento in cui lo abbiamo delineato, percepivamo quel racconto, lo sentivamo, lo stavamo vivendo, anche se, come quando si osserva un tramonto mozzafiato, dopo pochi minuti si trasforma in una buia notte.

 

Scrivere non sarà mai il mio mestiere, però ho sempre cercato di migliorarmi, quasi esclusivamente tramite autoanalisi, autorevisione, consultando dei testi oppure grazie alla lettura incrociata con altre persone che condividono questa attitudine.

Lo scorso autunno, navigando nel web, sono venuto a conoscenza di un corso di scrittura creativa. Come talvolta mi capita, inizialmente ero un pò scettico, pensavo (certamente in maniera un pò superficiale) fosse un pò un modo per lucrare su ambizioni di giovani speranzosi, ma documentandomi meglio ho visto che si trattava di un tipo di percorso che poteva darmi ciò di cui necessitavo.

In quel periodo, a causa di una serie di impegni già presi, ed un lutto importante che mi aveva appena colpito, non ero del giusto umore per lanciarmi con entusiasmo in una nuova avventura, per cui decisi che avrei aspettato un momento migliore.

Come molti affermano, se non vai verso alcune cose, sono loro che vengono a cercarti, mettendoti davanti ad una scelta "lampo". Si tratta proprio di ciò che è accaduto lo scorso giovedì (il mese scorso), quando per caso mi imbatto in un annuncio della biblioteca della mia città, proprio quella che dista meno di 10 minuti di cammino da casa... "Il Corpo della scrittura: laboratorio di Scrittura Creativa", inizio dei corsi: Martedì 29 Gennaio 2013, con l'annuncio che specificava il fatto che ci fossero ancora alcuni posti disponibili.

Il tempo di verificare che la disponibilità richiesta fosse compatibile con i miei impegni, ed il giorno stesso perfezionavo i dettagli burocratici a cui adempiere per potervi prendere parte.

 

Mi sono affacciato a questa nuova esperienza con lo spirito del bambino che gioca nel campetto dell'oratorio, ed all'improvviso ha l'occasione di poter essere allenato da chi è nel suo sport da anni, ed è stato molto bello l'impatto avuto appena entrato in sala, dove ho trovato altre 9 persone, di diverse età, estrazione sociale ed ambizioni, ognuno con le sue storie, ma tutti con lo stesso entusiasmo da ragazzini alla scoperta di qualcosa di nuovo, dal dirigente d'azienda che scrive da sempre per passione un paio di pagine ogni sera, all'impiegata che per curiosità vuole scoprire questo nuovo aspetto dei libri, la mamma che scrive le sceneggiature per le recite della figlia e viuole migliorarsi, la giornalista che dopo aver raccontato tanti fatti vorrebbe imparare a raccontare qualche storia, il giovane speranzoso che sogna di fare lo sceneggiatore, la persona che ha un libro "dentro" da voler scrivere... tutte persone che con genuino entusiasmo si sono avvicinate, e che mi accompagneranno per le prossime 18 settimane in questa entusiasmante esperienza!

 
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L'Arpa Tripla

Post n°102 pubblicato il 07 Novembre 2012 da navigator77
 
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Ci sono certe persone sono come le chitarre, capaci di stare in qualsiasi contesto così come di affascinanti assoli, ma che emanano quel suono allegro e leggero che ha il sapore di poco impegnativo.


Chi è come un chiassosa batteria, da suonare con ripetute percussioni, capace anche di travolgenti progressioni in solitario, ma che dà il suo meglio quando è accompagnata da melodie di altri strumenti.


Chi come un flauto, che ha un suono di sapori antichi, a volte un pò malinconico, di chi guarda molto inidetro e poco avanti.


Chi come un'armonica, che ha i ritmi blues ed i sapori western di chi sembra abbia sempre un cavallo pronto a portarlo al prossimo Saloon, ed allo stesso tempo la maneggevolezza e la praticità di colui che puoi sempre avere a portata di mano, come un amico fidato.


Poi c'è chi come un sassofono, è simbolo di una categoria come il jazz, e si caratterizza per emanare tonalità variegate e dalla grande espressività.


C'è chi è come un organo, maestoso ed imponente, dal suono solenne e perentorio, ma la sua staticità lo rende adatto a poter stazionare solo all'ambiente nel quale viene collocato.

E poi ci sei tu.. che come un'arpa tripla, sei tanto rara quanto complessa da suonare, per farlo un pò ci vuole del talento, e molto ci vuole applicazione, studio, costanza e volontà. Un'infinità di corde disposte su 3 file, quando si inizia a trovare il giusto feeling inebriano l'ambiente di una melodia meravigliosa... difficilissima da conoscere in tutte le sue corde, e da suonare ogni volta con precisione chirurgica, toccare nel momento sbagliato la corda più avanti oppure più dietro rischia di rovinare quello che fino a poco prima era una delizia per l'udito, da sola vali l'armonia ed il sincronismo di un'intera orchestra.
Si può stare lontani da te giorni, mesi, probabilmente anche anni, ma bastano pochi secondi per riconoscere il candore delle tue note, il tuo è un suono che invade l'anima e si porta dentro per sempre.
Con te non basta avere orecchio musicale, con te ci vuole un cuore musicale da far battere per scandire il giusto tempo che ti fa esprimere nel pieno del tuo splendore...

 
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Generazione "Lettera 36"

Post n°101 pubblicato il 29 Ottobre 2012 da navigator77
 
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Fin da piccolo, ho sempre avuto una calligrafia non eccellente, in partciolar modo quando prendevo appunti ed ero di fretta, cercavo di sintetizzare con una convenzione tutta mia che mi permetteva di capire ciò che volevo intendere con quei simboli, poi più in avanti scopriì che esisteva una materia chiamata "stenografia", che però non avevo mai studiato, non avendo intrapreso un percorso di studio che la prevedesse. Ma in fondo penso che più che di stenografia, si potesse parlare di una sorta di ideogrammi tutti miei, degli ideogrammi "made in Mario", anni dopo un mio amico dell'università ci ironizzava affermando che fossi una spia russa che scriveva in cirillico per non essere compreso :)
La sola cosa che potevo fare, quando avevo il tempo a disposizione per farlo, era ricopiare "in bella" gli appunti presi, che poi si fa per dire, nemmeno la mia "bella" era poi tanto bella, ma in fondo, pur essendo consapevole della cosa, me ne curavo fino ad un certo punto, poichè l'obiettivo per me era che fossero comprensibili, efficaci nel trasmettere ciò che avevo appreso e che volevo intendere, e per me in questo l'estetica aveva un ruolo molto marginale, pur apprezzandola. Ricordo che usavo un quaderno a quattro anelli, appositamente per poter essere quanto più possibile "flessibile" nell'inserire nuovi appunti, completare, ampliare, sostituire il foglio di appunti di "brutta" con quello ricopiato, ecc.

Era la fine degli anni '80, si diffondevano man mano i primi home computer e qualche personal, ma i prezzi erano relativamente alti, almeno per una famiglia normale, e quindi figurarsui potersi dotare anche di una stampante (dagli allora rumori improbabili degli aghi con cui stridevano sul nastro). Ma proprio in quegli anni, rovistando tra le vecchie cose nella casa in cui era cresciuta mia madre, spuntò lei: Olivetti Lettera 36 si chiamava, è il nome della mia prima (ed unica) macchina da scrivere. Probabilmente fui più felice di quella "scoperta" che del pur indimenticato "Commodore 64" che avevo acquistato con i regali avuti per la prima comunione, quella macchina rappresentava per me la "libertà" di poter scrivere in maniera "pulita" ciò che prendeva forma nella mia testa da ciò che ascoltavo, ed in maniera contorta cercavo di buttare su carta prima che svanisse via, soppiantata dalle altre informazioni che intanto rapide arrivavano.

Ricordo che le prime "vittime" furono le relazioni di Chimica. Era la materia introdotta nel secondo anno di superiori, e ricordo che, sia i "ripetenti" che chi aveva avuto il mitico "cuggino" aveva timore di questa materia. E ad accrescere questo timore, c'era l'aspetto esteriore del docente: un uomo alto, snello, con spalle larghe, carattere un pò distaccato e freddo e capelli rossi con viso un pò lentigginoso che ricordava caratteri somatici un pò "vikingheggianti", ma si trattava appunto solo di esteriorità ed apparente distacco, il resto lo faceva la complessità di una materia dall'impostazione nuova, per delle menti di adolescenti, chi più chi meno propensi alla "scoperta" della materia di cui è fatta il mondo. Ricordo che la mia "giustificazione" per quelle relazioni battute a macchina era proprio "ho una brutta calligrafia", ma in realtà un pò mi vergognavo, non so nemmeno io il perchè, a dire che mi piaceva farlo. Sì allora non avevo il carattere che ho adesso, anche se molto spesso mi ritrovavo ad aver piacere nel fare cose diverse dalle altre persone, quando lo facevo mi sentivo quasi "in difetto", e quindi mi sentivo in dovere di trovare una motivazionealternativa e plausibile, per quella mia strana passione.

Negli anni delle scuole superiori, tante pagine ho battuto con quel fantastico strumento, addirittura aveva la facoltà quel modello di poter utilizzare sia la parte rossa che quella nera dell'inchiostro, mi divertivo così a dare profondità al testo, ora utilizzando i doppi colori, ora magari "simulando" un effetto grassetto, facendo tornare indietro il tamburo rotante e ribattendo il carattere su quello già stampato, per non parlare dell'utilizzo della carta carbone, dato il costo e la non immediatezza che c'era allora nel fare una fotoopia. La maggior parte di queste cose con il progresso non sono state più necessarie, ed alcune con un ovvio senso di piacere (non era per nulla bello trovarsi le mani impiastricciate tra il nero ed il rosso dei caratteri - avete mai provato a cambiare un nastro - e quello blu della carta carbone che utilizzavo).

Ma la cosa che destava più "terrore" durante la battitura di un testo, era di certo l'errore! Eh già, uno ora non ci pensa nemmeno, sbagli a digitare un tasto e c'è il delete, usi un termine sbagliato lo selezioni e lo tagli, oppure ne fai il copia ed incolla per riorganizzare la struttura della frase, lo sto facendo anche io, proprio in questo momento, con alcune delle frasi di questo pensiero. Altre volte, andando ancora più verso i giorni nostri, c'è un "correttore automatico" che ti dice dove hai sbagliato, cosa hai sbagliato, che la forma usata "non è standard", e come rimediare.
Allora invece non era possibile, se c'è una pratica in particolare che ogni utilizzatore di macchine da scrivere ricorda, era probabilmente l'uso del "correttore universale", volgarmente chiamato "bianchetto". Quando mi ricapita uno di quei fogli in mano, sembra strano, ma a volte mi sembra di ricordare il preciso errore che avevo fatto, a volte ancora si intravede cosa c'era scritto sotto quello strato aggiuntivo di bianco, ed a mio avviso quello strato aveva un significato non intuitivo molto profondo: ci insegnava a ricordarci, che gli errori, per quanto possiamo riconoscerli, non si cancellano, possiamo superarli, oltrepassarli, possono anche non essere errori, ma cose che pensavamo calzasseo bene quando invece non era così, ma una traccia la lasciano, sempre. Di conseguenza anche una pagina, quando andavi a strapparla per rifarla, era sempre una decisione "ponderata", mai leggera. Mai ci si sarebbe sognati di buttare via una pagina scritta con tanta cura e dedizione, solo perchè in due o tre punti avevamo dovuto mettere qualche correzione, mentre la cosa veniva fatta comunque se alla fine le correzioni e le modifiche risultavano essere talmente tante da rendere il foglio "un altro foglio" fatto prevalentemente di strati di "bianchetto", e non quello originale su cui mi ero cimentato a scrivere. Certo i segni di  tale trasformazione stanno anche ad indicare che ci ho lavorato per molto tempo su quel foglio, ma anche che probabilmente non vi era impressa su l'idea "giusta" per cui a quel punto cambiare foglio e rimettersi a scrivere da capo, facendo comunque tesoro di quel foglio strappato, era la cosa più opportuna da fare.

Dal punto di vista della vita quotidiana, quella che io vivo è proprio questa mentalità, che sta un pò sparendo, quella della "Lettera 36", che non si scoraggia per un pò di bianchetto da mettere all'inizio di una pagina nuova delle propria vita, una parola da riscrivere, una frase da riformulare meglio, e lo fa senza accartocciare via il foglio ogni volta pretendendo che sia subito tutto "perfetto", ma ricordandosi di quella piccola imprecisione e di averla corretta, superata. Inoltre non ha bisogno di un "correttore automatico" che stia lì a dettare le linee guida che dovrebbe seguire, certo potrà sbagliare qualche volta in più, metterci più tempo, ma alla fine si sarà scritta una cosa "propria", magari creato un piccolo standard valido solo per quel racconto.
Allo stesso tempo, questa mentalità mi porta ad essere capace di buttare via i fogli appesantiti, pieni di errori ed orrori, che comunque ci lasceranno, anche quando sarà appallottata in un cestino o messa in un raccoglitore, il ricordo e l'insegnamento di ciò che di più o meno giusto avevamo digitato.. ops pardon, volevo dire battuto, sui fogli che davvero desideriamo debbano rappresentare le pagine della vita che siamo e che vogliamo vivere, con errori ma senza orrori, con cancellazioni ma senza vicoli ciechi, con riformulazione di pensieri senza che questi spariscano in maniera invisibile.

 
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Ciao Lorenzo

Post n°100 pubblicato il 07 Ottobre 2012 da navigator77
 
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La tua altezza non era sufficiente a racchiudere quello che eri, un amico, un confidente, una sorta di secondo padre milanese ed un fratello maggiore... ah sì è vero, eri anche il mio "capo", ma il senso di rispetto e di profonda fiducia non erano per nulla un derivato di questa gerarchia interaziendale, quanto del tuo modo di essere, responsabile ma leggero, paterno ma mai pesante, fraterno ma mai invadente, autoritario per empatia e sempre umile ed a disposizione del "Gruppo", di qualsiasi gruppo si trattasse, quello di lavoro, quello di gioco, quello familiare.

Ci siamo conosciuti nove anni fa, il giorno dopo il mio arrivo a Milano, ed è stata subita fiducia a prima vista.
Negli anni abbiam diviso tutto, partite di calcio, investimenti, serate, mangiate, racconti di vita sia di taglio profondo che più frivolo e leggero, sia le mie (dis)avventure sentimentali, che i tuoi discorsi ed i tuoi ragionamenti su tua moglie ed il modo di crescere la vostra splendida figlia.
Poi è giunto il tempo degli interminabili tornei di poker, son tornate le vittorie sui campi di calcio... ed è proprio lì che hai deciso di andare via all'improvviso... ironia della sorte proprio pochi secondi dopo aver fatto ciò che ti veniva meglio: fare goal.
Come ha scritto un collega, è stato l'ultimo goal. L'ultimo ma non il più importante. Perché il tuo goal più importante lo avevi già fatto con la vita, nel cuore di coloro con cui avevi condiviso il cammino.

In questi giorni siamo rimasti spesso con i colleghi dopo il lavoro a ricordare aneddoti, situazioni vissute, ed in ognuna di loro c'era sempre un sorriso, una situazione buffa, una situazione allegra, vederti arrabbiato è una cosa che è accaduta davvero raramente (a dirla tutta, personalmente non l'ho mai visto, le uniche 2 volte di cui si ha memoria me le hanno dovute raccontare).
Anche nelle situazioni difficili che pure sono capitate, mentre da un lato ti rimboccavi le maniche per darti da fare e risolverle, trovavi l'ispirazione per farci su un pò di ironia, una battuta che rasserenasse e distendesse l'ambiente e le altre persone coinvolte.

Con noi avevi creato non solo un gruppo efficiente e armonioso di lavoro, ma anche una famiglia.
Quella stessa famiglia che insieme a quella ufficiale ed a tutte le altre persone cui avevi allietato il cammino, ieri è venuta a porgerti l'estremo saluto terreno. E' stato il culmine dello strazio che in questi giorni ha pervaso me e le tante persone cui avevi segnato in positivo la vita. I tuoi insegnamenti già vivevano in me da tempo, ed ora se possibile saranno ancora più radicati.

Voglio dedicarti queste parole, che ho scritto poco dopo che ci hai lasciati, ma che sono frutto di una parte di quel che mi hai insegnato tu:


Non importa quando ce ne andremo,
non importa come ce ne andremo,
quel che conta è quel che facciamo ORA che ci siamo,
perchè quando ce ne andremo, non resterà altro che quello.

 
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Nel cuore le cose non finiscono mai...

Post n°99 pubblicato il 22 Agosto 2012 da navigator77
 
Tag: Amore, Cuore
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Per te era solo un gioco, sentire cosa si provava a dire che ero "il tuo fidanzato" all'impiegata della posta, mentre per me era un sogno
Per te io ero quello che rischiavi solo tu, e che per me fosse facile, perchè io "non avevo nulla da perdere", mentre ti dicevo che mi stavo giocando il cuore
Per te ero come un buon vino che invecchiando migliora.. ma sei stata costretta a berlo di sfuggita e di nascosto, ed a vergognartene negando di averlo fatto
Per te ero una persona che saresti stata orgogliosa di presentare al padre ed al fratello.. ma poi hai preferito trattarmi come un fardello


Sei entrata nella mia vita, l'hai rimepita di immenso, hai fatto terra bruciata intorno a me, hai riempito ogni angolo di casa della tua essenza, di momenti... ma poi si finisce per tagliare il ramo più comodo da tagliare.. forse perchè pare che solo nei libri di Fabio Volo, le donne abbiano le palle per fare quello che dicono di "sentire"
Tu sei tornata nella tua vita, per la quale io rappresento "un incidente di percorso"


Mi dici che è la "cosa migliore per la mia vita", ma non c'è proprio nulla di migliore, nell'esserti lontano, la cosa migliore per me è combattere al fianco ad una persona come te, non doverlo fare con un rimpianto sperando che non venga a trovarmi troppo spesso.

Dove è quella ragazza che ha piegato il mondo in due contro tutte le avversità, pur di prendersi un diploma, che riusciva a rivoltare mezza città per donare qualcosa con il cuore, o per trascorrere una giornata di autentica vita e felicità?
Sei stata insultata, malmenata, minacciata, denigrata, ti hanno fatto credere che sei inutile, che non sei capace a fare nulla di buono e ben prima di conoscermi, al punto che ti meravigliavi se seguivo un tuo consiglio su come mettere un bordo alla vasca "ma come, hai fatto proprio come ti ho consigliato io?" sembrava essere l'espressione meravigliata che ti passava per la testa quando lo seguiì. Mi auguro che tu capisca che tu vali più di quanto ti abbiano sempre fatto credere..
Avevo visto in te quella persona che, come in quelle splendide parole che un giorno ci avvicinarono, liberatasi delle sue paure, aveva lasciato splendere la sua luce, aveva dato anche a me il permesso di fare lo stesso... quella donna che inseguiva l'Everest... dimmi che esiste ancora quella persona, dimmi che a mancarmi non è solo la persona che pensavo tu fossi!


Sono entrato ed uscito da diverse vite, ma ora sento che resterà un cerchio che sento non essersi "chiuso", resteranno gli ultimi capitoli di un libro mai letti, resterà quel mazzo di chiavi dove è ancora impresso il tuo nome, quella luna da spegnere ogni volta che sarà troppo luminosa, resteranno tonnellate di rimpianti per non aver mai dato il via, a ciò che era pronto ma non è iniziato, e non aver fatto continuare, quel che invece era iniziato eccome, con pienezza di sentimenti.

"Nel cuore le cose non finiscono mai. La persona che me lo ha detto, ha aggiunto che era il verso di una poesia e che per lei non c'era niente di più vero. Quello che uno avesse portato dentro quelle pieghe morbide e pulsanti, ci sarebbe rimasto per sempre. Comunque fossero andate le cose, sarebbe rimasto lì, in attesa. Poteva essere una persona, un luogo, un sogno. Una missione.
(...) anch'io ci credo. Soprattutto di notte, quando cerco di dormire senza riuscirci, ho la percezione netta di quanto siano vere quelle parole. Quando tutti i sentieri sembrano incontrarsi e rivedo la gente che ho amato e odiato, aiutato e ferito. Vedo le mani che si tendono verso di me. Riconosco la mia missione e so che non sono possibili né scorciatoie né svolte. È proprio in quei momenti che ho la certezza che nel cuore le cose non finiscono mai." - Michael Connelly - Lame di Luce

 
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Come una Formula Uno

Post n°98 pubblicato il 03 Agosto 2012 da navigator77
 
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Ultimamente non guardo molto la TV, a dire il vero sono un pò di anni, per cui dire "ultimamente" potrebbe essere un pò riduttivo, ma sono almeno un paio di anni in cui è diventata davvero un optional, e la ritengo una cosa bellissima, meno sta accessa la TV, più sta acceso il cervello, qualsiasi cosa si faccia, fosse anche fare i mestieri di casa, riorganizzare i documenti, o starsene sul divano a fissare il soffitto.

Domenica scorsa, però, mi sentivo diverso, mi sono alzato più tardi del solito, ho fatto colazione, ed avevo in mente di andare in palestra nel pomeriggio, e poi a fare la spesa, quella per avere in casa il necessario fino a quando non sarei partito per le vacanze.

Verso le 14, era un pò troppo presto per fare ciò, e mi sono "divanizzato" soffermandomi davanti ad una delle mie più vecchie passioni, la Formula Uno. Certo io sono stato un fortunato, ho avuto modo di crescere prima tra i racconti ed i video dei duelli tra Villeneuve padre ed Arnoux, poi guardando una macchina nera sfrecciare in mezzo alla pioggia, tra lo stupore di tutti, quella macchina nera guidata da un ragazzino tanto spericolato ed impertinente al volante, quanto posato e buono fuori, di nome Ayrton. Allora i GP non erano noiosi, in ogni gara c'era qualcuno che faceva succedere qualcosa, un sorpasso, talvolta azzardato, per mettere il muso davanti al proprio avversario. Poi con il tempo, un pò la tecnologia e l'elettronica, un pò l'aspetto economico ed il "portare a casa la pagnotta" ha reso le gare un pò meno "frizzanti". Ciò nonostante, per diverso tempo ho continuato a puntare la sveglia alle 4, 5 o 6 del mattino quando si correva oltreoceano, ma le gare spesso erano un'attesa, molto spesso vana, che "succedesse qualcosa", anche se non si sapeve bene cosa, o a volte pur sapendolo, poteva essere una foratura, un improvviso acquazzone, una Safety Car, non si aveva nessun potere di poter "farla succedere".

Questa considerazione mi ha dato modo di pensare ad alcune situazioni di vita, devo ammettere che in questo momento specifico, mi sento proprio come quei piloti che girano, facendo il loro "compitino", nell'attesa che "succeda qualcosa", che hanno probabilmente idea di cosa può essere quel qualcosa, ma nessun potere per farla succedere, e nemmeno condizionarla. Certo, una qualità da avere in questi casi comunque c'è: la costanza di farlo bene il proprio compitino, e farsi trovare pronti, se e quando quel "qualcosa" accadrà. Lasciando da parte la falsa modestia, in questo penso di essere abbastanza bravo, anche se le motivazioni non sono a mille, riesco ad inanellare in maniera abbastanza costante giri su giri, facendomi trovare pronto, quando sarà necessario. Il rischio altrimenti è quello di vanificare tutto quel che di buono potrà accadere, per un attimo di scoramento, di abbattimento, di mancanza di fiducia. No questa volta voglio essere super-pronto... certo mi piacerebbe trovare lo spunto per essere io il protagonista, la molla che fa succeder il "qualcosa", ma intanto vado avanti.. e giro su giro... magari guadagnando e migliorandomi di un impercettibile centesimo alla volta.. tutti quei centesimi messi insieme un dopo l'altro.. potrebbero essere proprio quello che serve per poterlo scatenare, quel "qualcosa".

 
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Cambiare pelle

Post n°97 pubblicato il 02 Aprile 2012 da navigator77
 
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Sono appena reduce da un bel week-end al mare, dove mi sono potuto cimentare in una delle mie passioni, affrontando le mie prime immersioni del 2012.
Prima di fare questo, nella settimana precedente al viaggio, mi son reso conto che la mia prima muta, presa nel 2007, era giunta ai suoi ultimi bagni a causa di una cerniera che proprio non poteva essere più riparata, ed anche se ci ero in qualche modo "affezionato", andava sostituita con una nuova.
Grazie anche all'esperienza fatta in questi 5 anni, ho deciso di orientarmi su una tipologia leggermente diversa, più leggera (dato che ho ricontrato di non soffrire particolarmente il freddo anche in acqua).


Fin quì, nulla di anomalo, sabato mattina alle 9 in punto ci si prepara, zavorra, Jacket, maschera, pinne, ecc.. il tempo di montare l'attrezzatura e si è in barca, pronti ad andare verso il punto di immersione... "libero" ... "splash", ahhh... è sempre favolosa la sensazione che si ha, temperatura dell'acqua tra i 13 ed i 15 gradi, normalissima in questo periodo, il tempo di esserci tutti e si sgonfiano i Jacket per poter andare giù... ma a questo punto mi sendo un pò a disagio e mi rendo conto di una cosa.. vado giù un pò troppo spedito... la zavorra.. cavolo la zavorra, quella che prima serviva per bilanciare la muta che avevo... adesso è troppa! Ovviamente la cosa non comporta particolari problemi, se non un consumo superiore di ossigeno, ed un pò di impaccio in più nei movimenti. Già nel pomeriggio, con la seconda immersione riduco di un chilo la zavorra e le cose vanno meglio, però mi rendo conto che la prossima volta potrò toglierne anche un altro di chilo.

Questa piccola "esperienza" mi ha permesso di fare una piccola associazione mentale... un qualcosa di così semplice ed evidente che non ci si pensa: cambiare pelle, comporta un riassetto degli equilibri, nel caso della subacque si tratta di avere una diversa zavvorra, e negli altri aspetti della vita possono essere altre le cose da "ricalibrare", ritmi, abitudini, che all'inizio fanno sentire un pò a disagio e pensare "ma non era meglio prima?". Tutto sta a sapersi adattare, capire come ridisegnare le cose... e non si sa mai che, nel riuscire a trovare un nuovo equilibrio, non si riesca a farlo anche liberandosi di un pò di zavorra non più necessaria! :-)


"Il cambiamento necessita del ritrovamento di un nuovo equilibrio, non sempre immediato, ma necessario per poterci vivere al meglio la nuova dimensione"

 
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L'inquietitudine dei numeri piccoli

Post n°96 pubblicato il 05 Gennaio 2012 da navigator77
 
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La legge dei grandi numeri, in matematica, esprime il modo in cui possiamo essere "sufficientemente certi" che se ripetiamo un certo numero di volte sufficientemente grande, un evento con una certa probabilità, possiamo stare certi che questo evento si verificherà un numero di volte che rispecchia la probabilità attesa di tale evento.

Grazie a questa legge alla base del calcolo numerico, se avessimo a disposizione infinite vite, potremmo essere empiricamente certi di poter diventare in qualcuna di queste i migliori al mondo in qualche specialità, di nascere in un paradiso terrestre, di avere una certa educazione, di essere talmente benestanti da poter vivere di rendita e senza pensieri, e qualsiasi altra cosa più o meno probabile che possiamo immaginare.

Premetto che se già io in questo momento mi trovo ad avere il tempo, la tecnologia, la proprietà di linguaggio e la freschezza mentale di poter formulare questi miei pensieri, posso ritenermi, rispetto ad "infinite" vite, un "privilegiato", così come privilegiato può ritenersi chi è in grado di leggere e comprendere quel che scrivo.

Avere questo privilegio, ed esserne consapevole, non mi basta. Generalmente la chiamano "inquietitudine".

Potrebbe bastarmi in via teorica, se avessi davvero la possibilità di vivere infinite vite, e portare memoria di quelle già vissute, un pò come quando sono ad un tavolo da poker, e so che giocando molto riceverò "infinite" mani, prima o poi tutte le coppie di carte in infinite situazioni, per cui posso operare con la serenità di avere le mie giuste occasioni, e di potere stare lì ad attenderle, giocarmi al meglio quelle che ho, provare a forzare un pò qualche volta, ma avendo comunque alle spalle la solidità di una certezza matematica.

La nostra vita invece non è fatta di grandi numeri, è fatta di un solo piccolo numero, che messa insieme ai tanti altri piccoli numeri formati dalle altre vite che ci circondano, formano i grandi numeri, quelli che vengono presi in considerazione dalle indagini statistiche per intenderci, ma nella sua singolarità resta piccola, e probabilmente è proprio questa sua "piccolezza" ed unicità a poterci spingere a cercare di tirarne fuori il meglio!

Non importa se siamo nati benestanti o poveri, in un contesto di cultura oppure circondati dall'ignoranza, sotto la campana di vetro di un tranquillo paese di collina o tra le pallottole di un quartiere malfamato, con particolari doti atletiche o con qualche handicap, in un posto dove batte sempre il sole oppure dove il ghiaccio regna sovrano, dobbiamo affrontarla con la mano che ci è stata data, nelle condizioni in cui ci siamo ritrovati, con le risorse che abbiamo avuto a disposizione.

Seppure nella nostra piccolezza e limitazione, abbiamo occasione, chi in maniera più agevole, chi meno, di poter modificare, migliorare e rendere più vicine a noi queste nostre condizioni, anche se ovviamente questa opportunità ha un "prezzo", e questo prezzo è rappresentato dal rischio di "peggiorare", o comunque di modificare in maniera non gradita, le nostre stesse condizioni. E' il prezzo da pagare se vogliamo "sentire" la nostra unicità affermarsi, e non preferire di essere parte più stretta dei "grandi numeri", quelli che vengono colpiti dalle ricerche come "stereotipi", quelli che vedono veicolata la propria vita in strade o peggio ancora binari che qualcun altro ha tracciato e steso per noi come potrebbe essere "giusto" se ne avessimo infinite a disposizione per aspettare "il nostro turno". Per cui per poter realizzare questa unicità, per tirare fuori il meglio possibile che ci è potenzialmente possibile da questa vita, dobbiamo correre dei rischi molto maggiori, di quelli che correremmo se ne avessimo a disposizione infinite, se fossimo dei "grandi numeri".

I grandi numeri possono starsene lì tranquilli, e poi sono così grandi da non sentire la mia mancanza, io sono un piccolo numero, ne sono consapevole ed in quanto tale sono inquieto.

Per quanto mi riguarda la "stranezza" sta nel vivere questa vita come se ne avessimo infinite altre... o forse sono io ad essere sempre l'ultimo a saperle certe cose!!! :-)

 
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Sei...

Post n°95 pubblicato il 21 Settembre 2011 da navigator77
 
Foto di navigator77

Sei la magìa che nasce da una frase
sei l'intesa che cogli in poche righe
sei la vibrazione positiva che riesci a trasmettere
sei la sorpresa di un mesaggio da lontano
sei la gioia di una persona che si avvicina
sei la curiosità di una pubblicità in metro
sei il costante osservare di nascosto

sei il piacere delle 4 del mattino
sei il romantico desiderare in silenzio
sei il fascino di un incontro
sei la leggerezza di due anelli scambiati
sei il sapore di un bacio rubato
sei la passione che nasce dal cuore
sei lo spavento di una disavventura
sei la forza di un legame che cresce
sei il fragore di un cataclisma
sei l'imprevedibiltà di un racconto
sei l'emozione di una fuga verso la felicità
sei la loquacità di una conversazione silenziosa
sei il dolore della lontananza
sei l'autenticità di un litigio

sei la dolcezza di tenersi per mano
sei la tenerezza delle lacrime
sei la serenità ritratta in una foto
sei il pianto di un brindisi d'addio
sei la semplicità di un oggetto comune
sei lo sconforto di una situazione difficile
sei la grinta di voler tenere alta la testa
sei il colore di una camera che riempiamo di sogni
sei l'aria di una casa che parla solo di te

sei la necessità di un silenzio
sei l'aroma del caffè del mattino
sei la gioia di un tuo sorriso sincero
sei i capricci di un bambino cresciuto, che non vuole altro che te
sei tutto ciò che non c'è mai stato, e di cui non so fare a meno.

 
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Lo spartito del cuore

Post n°94 pubblicato il 20 Giugno 2011 da navigator77
 
Foto di navigator77

Spesso capita di condividere discorsi, idee, pensieri, osservazioni o modi di intendere la vita con certe persone, a volte capita in maniera parziale, altre volte in maniera totale. Cosa ancora più bella è quando questa vicinanza mentale riguarda argomenti per cui abbiamo una certa sensibilità, che sentiamo "nostri" più di altri, e quando magari non c'è stato nessun "input" che abbia potuto far intuire al nostro interlocutore la nostra idea su tale argomento.
In quei momenti è come se qualcuno toccasse delle corde dentro di noi... ed emettesse una nota, una nota che crea armonia tra noi e quella persona.


Ma ovviamente una nota o un manciata di esse non bastano per formare una melodia, anche uno studente del conservatorio alle prime armi è capace di mettere insieme qualche gradevole nota, così come anche una persona che poi scopriamo non avere molto in comune con noi è capace di toccare qualche corda nel modo giusto per emettere una melodia gradevole.

Poi ci sono quelle persone che questa melodia riescono a comporla, arrivano da non si sa dove e con mille esperienze diverse dalle nostre, pur non avendole mai viste in vita nostra sembra che posseggano la chiave del nostro spartito, e compongono la melodia che noi immaginiamo, con note anche migliori di quelle che avremmo utilizzato... ed è in quel momento che sentiamo le nostre corde dell'anima vibrare... iniziamo a percepire che anche dall'altra parte i nostri pensieri, le nostre parole, i nostri gesti... fanno emettere una melodia che si intreccia a meraviglia con la nostra, come gli esecutori di un'opera che non hanno bisogno di un direttore d'orchestra per sincronizzarsi... sentono nei loro cuori una melodia unica per la quale non avevano mai fatto le prove... in fondo il palcoscenico della vita quasi mai ci concede la possibilità di provare... per cui quando iniziamo a sentire vibrare le nostre corde dell'anima, e quando sentiamo che il nostro suonare si fonde a meraviglia con le onde sonore di un'altra melodia, l'unico modo per seguire la musica che abbiamo dentro è quello di trovare la forza, il coraggio e forse anche un pò l'incoscienza di intraprendere il duetto che abbiamo da sempre avuto scritto nello spartito del nostro cuore e che ha trovato una forza meravigliosa ad accompagnarlo...

 
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