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OMAGGIO


 
 "Ah ciao, stai arrivando ora? Meno male pensavo di essere in ritardo …""Veramente pensavo di essere in ritardo io. Sei venuta in macchina?""In macchina? No, no, vengo sempre a piedi.""Te l'ho chiesto perché venivi da quella parte …""Si, vengo sempre di lì quando ho appuntamento con te. Per passare da San Francesco, mi piace troppo quella piazza e ci passo tutte le volte che posso."E' una piazza ampia, con il caratteristico pavimento di ciottoli di fiume e le passatoie lastricate per le carrozze.Ora per le biciclette.Sul lato destro, venendo dalla via XX settembre, è fiancheggiata dal vecchio ospedale di cui è nuovamente ammirabile, dopo il restauro, la facciata lineare e pulita.In fondo ad essa si staglia la chiesa.E' così diversa da qualunque altra: le manca il tetto a triangolo in alto e ha due bifore che guardano come occhi spalancati il cielo alle spalle.Come se fosse arrivato un terremoto improvviso e quello che vedo oggi è ciò che resta.Come un'italica Sagrada familia, lasciata lì apposta a metà.Per dare quel senso di indefinito e incompiuto che ha la nostra stessa vita, di cui non a caso si dice cerchiamo "realizzazione".All'interno grandi colonne di mattoni affrescate, il silenzio, la tomba della poetessa.I colori delicati dell'alba e del tramonto.Chiude la piazza, sulla sinistra, un giardinetto.Panchine in semicerchio attorno a grandi alberi che seguono gli umori delle stagioni.Al centro la serissima figura marmorea dello scienziato Gorini, dapprima mummificatore quindi inventore del forno crematorio.Le braccia incrociate, lo sguardo fisso all'orizzonte, fermo nelle sue idee.Mi piace passarci, traguardare con lo sguardo lo spazio, fino al punto in cui i sassi incontrano il cotto della chiesa.Mi piace il silenzio del giardinetto innevato.Mi piace ancor di più la casa che vi si affaccia, l'intonaco scrostato, il suo terrazzino segreto. Emblemi di questa città: la piazza deserta, la chiesa incompiuta, la statua severa, i ciottoli levigati, l'intonaco scrostato.Un grande paese che dà l'impressione di romantica decadenza.Aristocratico e al tempo stesso provinciale.Cristallizzato, crisalide morta ancor prima di essere farfalla.Il palpito della vita è lì, come gemma di primavera che deve ancora sbocciare.Lo intuisci ma non lo vedi.E' lì, tra il fiume e la nebbia, tra passato e presente.Così, sospeso, senza immaginazione del futuro.Un luogo particolare, da molti criticato.Una cittadina originale nel resto del dinamico e attivista mondo della Lombardia.Un posto strano, complicato da comprendere, dove a me piace abitare. Post scriptum: C., comunque sono d'accordo, all'Amos Platz di Crema ci divertiamo di più
Nel paese di mia madreNel paese di mia madre v'è un campo quadrato, cinto di gelsi. Di là da quel campo altri campi quadrati, cinti di gelsi. Roggie scorrenti vi sono, fra alti argini, dritte, e non si sa dove vanno a finire. La terra s'allarga a misura del cielo, e non si sa dove vada a finire. Nel paese di mia madre v'han ponti di nebbia, che il vento solleva da placidi fiumi: varca il sogno quei ponti di nebbia, mentre le rive si stellan di lumi. Pioppi e betulle di tremula fronda accompagnan de l'acque il fluire: quando nè rami s'impigliano gli astri, in quella pace vorrei morire. Nel paese di mia madre un basso tugurio sonnecchia sul limite della risaia, e ronzano mosche lucenti, ghiotte, intorno a un ammasso di concio. Possanza di morte, possanza di vita, nell'odore del concio: ne gode la terra dall'humus profondo, sotto la vampa d'agosto che immobile sta. Nel paese di mia madre, quando il tramonto s'insaguina obliquio sui prati, vien da presso, vien da lontano una canzone di lunga via: la disser gli alari alle cune, gli aratri alle marre, le biche all'aie fiorite di lucciole, vecchia canzone di gente lombarda: "La Violetta la vaaa la vaaaa... "Ada Negri