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A UN'AQUILA SALITA IN CIELO


 WE PLAYED FOR EACH OTHER(a Tene)E poi, nostre vite sono andate avanti. Ognuno con i propri successi, le proprie delusioni, le gioie e i problemi di tutti i giorni. Saremmo anche “normali”, se non fosse per quel pezzettino della nostra anima, quel folletto ribelle, che è rimasto laggiù. E non se ne vuole proprio andare. E’ passato molto tempo, ormai è chiaro che non ci raggiungerà mai, dovunque siamo adesso. Ciascuno di noi ha provato ad ignorarlo, a soffocare il suo richiamo, ma lui è sempre là. E ci guarda sorridendo. Da quel campo verde, segnato da una griglia di gesso candido, posata da mani appassionate. Ubriaco del profumo dell’erba appena tagliata, dal piacere tattile dei tacchetti che fan presa sul terreno. Quel soffio d’anima vivrà sempre per correre nel sole, col cuore che martella nel petto, o per tuffarsi nel fango e nella neve, quando il cielo è freddo, e sembra cadere sulla terra. La palla lunga un piede, certo. Ma sono gli amici. I compagni di trincea. Sono loro che contavano davvero, più dell’erba, più del sole, più delle ossa che abbiamo sacrificato. Non giocavamo per la gloria, che non c’è mai stata, né per i soldi, che da queste parti nessuno li ha mai visti. Diciamolo chiaro, pure la vittoria era uno sfizio, quel che davvero contava era la fiducia dell’uomo al nostro fianco. Perché noi giocavamo l’uno per l’altro. Per quei visi giovani e pesti, ciascuno chiuso, con tante paure e un solo coraggio, dietro una maschera di ferro. Per i venti occhi che scrutavano nell’huddle, chiedendoci  in silenzio di tenere duro per un altro down. Non potevamo fingere. Sotto il sole o nel fango, dovevamo invece scegliere: fare la nostra parte o mollare, e deludere quegli occhi. Ebbene, abbiamo scelto. Quando il centro ha sollevato la palla, abbiamo dato tutto quello che avevamo e anche di più. Fu quel giorno, che divenimmo fratelli.