JILMARY

CONTA CENTO PASSI


Capita che a volte venga giù tanta di quella pioggia per cui le strade asfaltate delle cittadine di provincia sembrano fiumi da guadare con mezzi improvvisati e per lo più arrangiati. Così accade che le immagini di un sogno si sovrappongano alla realtà e devino, seguendo la corrente d’acqua, il corso di desideri reconditi per trasportare le passioni al delta, verso l’inaccessibile oceano di sentimenti inammissibili.Dovrei tornare a casa con il mio ombrello che a stento contrasta la furia di un vento gelido di dicembre. Cammino scansando i rigoli che scendono copiosi e si ramificano dove la strada non ha pendenza se non quella verso la statuina bianca di una Madonnina al crocevia. La osservo solo come punto di riferimento. L’abitudine alla vista di quell’icona sacra ha trasformato con il tempo in statua marmorea anche una vergine. Non più una Madonna dal viso scoperto, riparata da un velo di roccia, ma semplicemente una pietra miliare. Da qui in poi conto cento passi e sono al cancello di casa. Da qui in avanti conto cinquanta passi e sono impedita. Lei lo saluta con un bacio e non so dove guardare. Entrano nel mio campo visivo e siamo in tre in un deserto di pioggia. Vivo il loro imbarazzo e non il mio. Abbasso la cupola di tela dell’ombrello perché mi possa riparare il volto dai loro sguardi e lascio scoperta la schiena. In pochi attimi sono bagnata. In pochi attimi rinnovo il distacco definitivo che ha sballottato le nostre anime nella tempesta dei risentimenti, alla deriva dell’amore. Continuo con andatura vellutata come di chi passa accanto ad una belva assopita. Nella fotografia del terzo millennio c’è una coppia sotto un porticato e una passante con l’ombrello. L’intreccio delle relazioni è invisibile all’occhio di un obbiettivo. Nel reticolo dei pensieri, ad un’attenta analisi microscopica, esistono sovrapposizioni di immagini e amnesie per sedare il rancore. Esistono ancora silenzi abissali. Esiste una storia che non è presente ma che lo spiega, lo racconta, con una voce fuori campo. La storia di ieri, ieri scaraventato nell’oblio, concede il bacio di oggi. Permette tutta la felicità. E la felicità costa solo una lacrima. Così poco. Una sola lacrima. Conto ancora quaranta passi. Le orme dei ricordi si aggrappano a detriti di foglie e circoscrivono i miei pensieri. Mi fermo a valle. Osservo il torrente che separa la strada dalla casa, la mia. Si porta via tutto il dolore. Dove confluisce tutta quest’acqua esiste un paradiso di felicità. Se fossero lacrime. Ma è pioggia. È pioggia. Non c’è più nessuno. Chiudo l’ombrello. Un’auto in corsa alza un’onda che non lascia scampo ai ripensamenti. Lascio le scarpe all’ombra dei lampioni. E scalza cammino nell’acqua seguendo la corrente. Ovunque sia, io devo andare a riprenderla. In qualche posto lontano, in un oceano di tranquillità, c’è una lacrima che mi appartiene.