JILMARY

15 aprile 2010


34 anni lunedì. Alla mia età mia madre aveva 3 figlie, una di 12 anni, io. Alla mia età, mio padre lavorava in un tabacchificio con contratto full time e a tempo indeterminato. Mio padre, ora in pensione, era stato assunto anni prima come segretario del direttore, con la terza media, due caciotte e un paio di soppressate. Ho avuto un’infanzia serena ed un’adolescenza turbolenta, tutto normale, non ho mai pensato di uccidere qualcuno. Non mi è mai successo nulla di sconvolgente, a parte la morte di mio nonno a causa di un arresto cardiaco all’età di 88 anni. Avrei dovuto capirlo che quello era un giorno disgraziato perché stranamente mi ero vestita come un prete, con cappotto lungo nero, la gonnella a campana e una sciarpa di colore viola. Non ricordo mai le date, non saprei dire se fosse gennaio o febbraio, il 12 oppure il 15, forse l’anno 1998, eppure un gelo improvvisamente riempie la stanza, soffia sulla fiamma del camino e mi rivedo seduta sulla poltrona a discutere con mia madre per le alici nel sugo, che io detesto ma che a nonno piacciono tanto. Io che mi invento un dramma per un piatto che non mi aspettavo di trovare a tavola, e che invece, per colpa del nonno era lì, fumante ed immangiabile. Non credo sia stata la discussione a causare il suo infarto, ma so per certo che spesso le parole offendono, ancor più quando vengono fuori da una bocca innocente e quando la lingua che le scioglie gela il cuore. Non sono stata io ad ucciderlo. Non ho sensi di colpa. So di aver fatto il possibile per salvarlo, inventandomi un improbabile respirazione bocca a bocca. Ma nonno era ed è un esempio di virtù. E per anni ho dovuto scartare la sua immagine e i ricordi per non crollare nel pianto della sua assenza.