Creato da vantheman il 19/05/2007
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I cavalli vedono come noi, ma con vista cavallina

Post n°36 pubblicato il 19 Giugno 2007 da vantheman



"I cavalli vedono come noi, ma con vista cavallina".
(Renzo, "muro di gomma")

Una sera mi hai detto: "sono così dolce che sono sempre amareggiato". Quasimodo è impallidito. Ed hai vinto il Nobel, anche se il premio è stato consegnato allo scrittorucolo di turno, e tu non sei mai andato a Stoccolma in smoking. Quella sera mi hai meravigliato e ti ho voluto bene, anche se mi infastidiva la tua logorrea asfissiante ed infantile. Quando te ne andavi chissà dove o muovevi le labbra in un brusio senza parole, strabuzzando gli occhi dietro le tue "supermaxi lenti" (come le chiamavi tu), ti osservavo con la coda dell’occhio, ed eri l’enigmatica Sfinge. La mia tiroide sta bene, a dispetto della tua, che è stata il tuo destino di eterno bambino. E, poi, sempre quel monologo incessante che annichiiiva ogni minima volontà di dialogo, quella logorrea incontenibile, snervante. Ti chiamavo "muro di gomma", perchè partivi sempre in quarta per i tuoi monologhi senza badare minimamente a quello che ti si diceva. E’ come se le parole ti rimbalzassero addosso, senza scalfirti minimamente. "Siamo gente semplice, stiamo insieme semplicemente", mi dicevi. Ma non era così. Eri così complicato nella tua semplicità. Ti giravo intorno, cercando un appiglio: eri così liscio, "muro di gomma". Non offrivi nessuna porta per venirti a trovare nella tua torre d’avorio. E’ già così difficile incontrare le persone normali tra virgolette, figuriamoci il fanciullo "bizzarro" che eri tu. A dire il vero siamo tutti un pò bizzarri, sofferenti, complicati, solitari. Ma con te le parole perdevano ogni loro potere di gettare i ponti tra le anime sole. Eri così diverso, senza averne colpa. A volte ne avvertivi tutto il peso quando affermavi perentoriamente -"Io sono matto". Ma anch’io sono matto, Renzo, non meno di tanta altra gente. E’ solo che eravamo così diversi e, mi spiace, non potevo farci nulla.


ALLE CAPANNELLE

Perché la forchetta
si chiama forchetta?
Mi chiedi.
Zitto e guida!
Dici scemenze.
Che cazzo ne so io!
Viene tutto dal latino.
E gira lo sterzo,
che c’è la curva.
L’ippodromo è laggiù.

Puntiamo su Big Boss.
Lo cavalca Dettori.
Prenderemo poco,
ma è sicuro.
Facciamo un po’ di soldi,
così, poi, rischiamo tutto.
Però ci sto pensando
anch’io.
Perché la forchetta
si chiama forchetta?
E perché l’albero
si chiama albero?

Siamo fuori
tutti e due.

Bevi la coca cola
e aspettiamo l’arrivo.
Fumati una sigaretta,
che butto il pacchetto.
Sto pensando perché
un cazzo di cavallo
debba chiamarsi Big Boss
ed un uomo, invece,
Gianfranco Dettori.
E sto pensando anche
perché siamo amici,
noi due.
E non c’è un perché.


(in memoria di una domenica all’Ippodromo di Capannelle insieme al mio amico Renzo, che, oggi, non c’è più. Chiaramente, abbiamo perso quel poco che avevamo. Quel bastardo di Dettori non è arrivato)
















 
 
 
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