NONNA RACHELE

IL VIAGGIO DEL RIMORSO


Avevamo sempre sognato di fare un bel viaggio, specialmente mio marito in quanto io supplivo alle carenze con la fantasia. Non ne avevamo mai avuto la possibilità. Appena sposati le difficoltà erano di ordine finanziario, dopo era arrivata la piccola che aveva bisogno di mare. Cominciò così la lunga serie delle vacanze a Miramare; alla bambina il mare piaceva moltissimo, a me veniva sempre più a noia, perché col passare del tempo la mia allergia al caldo aumentava e il mio lui dopo due giorni sbadigliava come una leonessa in gabbia. Così per consolarci a vicenda continuavamo a parlare del viaggio che avremmo fatto quando la bambina si fosse sposata. Infatti a forza di estati al mare la figlia era diventata grande, aveva il ragazzo e tutto lasciava presagire che finito di studiare si sarebbe fatta la sua famiglia. Io avevo pallidamente accennato negli ultimi anni di lasciarla andare al mare con le amiche e il ragazzo come nel frattempo era venuto di moda, ma mi ero vista guardata come se fossi stata una maitresse e non per mancanza di fiducia verso quella brava figliola, né verso il fidanzato, ma solo per un vizio di forma. Passò  qualche anno e la mia bambina si sposò. Per mio marito fu un giorno angosciante; di ritorno dal rinfresco lo trovai in lacrime che si nascondeva dietro una porta e ne provai una gran pena. Io non ero malinconica, mi immedesimavo nella felicità di mia figlia. Con la mia fertile immaginazione vedevo quei due ragazzi belli, allegri, innamorati a Parigi in viaggio di nozze e il cuore mi si riempiva di gioia. Quando tornarono, poiché risiedevano nella stessa città e non troppo lontano, finimmo per vedere Marina più spesso di quando abitava con noi e sempre occupata dagli studi e dalla attività sportiva e dal fidanzato passava in casa come una meteora. Mio marito si consolò e riprese a parlare più concretamente del famoso viaggio. Dopo aver consultato fasci di depliants, optammo per il Marocco che avremmo raggiunto a bordo dell’ENRICO C.  Prenotammo per i primi di giugno perché non fosse troppo caldo e io mi sentii d’ un tratto ringiovanita. Mi buttai allegramente nei preparativi. I vestiti, i costumi da bagno, l’abito lungo per la serata di gala, le valigie nuove. Si può dire che feci due crociere: quella a casa sognata e pregustata e quella vera. Un giorno venne mia figlia a trovarmi e buttò li come la cosa più naturale del mondo che aspettava un bambino. La mazzata mi lasciò tramortita; appena potei parlare le chiesi quando sarebbe arrivato questo bambino. A  luglio, rispose. A luglio? Sbigottita, va bene rinuncerò alla crociera. Perché dovresti rinunciare? Sono incinta io, non tu. E se arrivasse in anticipo? Mamma esistono gli ospedali , ed io ho 22 anni, non 2. Vai, non rompere! E poi ti prometto che ti aspetto. Ne parlai con mio marito, volevo disdire la prenotazione ma pareva che anche lui fidasse sulla puntualità del futuro nipote e non mi diede retta. Poiché la gravidanza procedeva in maniera perfetta, decidemmo di andare ugualmente. L’effervescenza dei preparativi era però scemata. Mi sentivo una madre snaturata, ero arrivata persino a sperare che uno dei due si sentisse male per essere costretti a rinunciare. Ma visto che continuavamo a godere ottima salute, mi venne una gran fretta di partire e appena partita, una gran fretta di tornare.C’imbarcammo a Genova verso le quattordici, alle sedici la nave cominciò a ballare un po’ ma nel mezzo del golfo del golfo del Leone il mare aveva raggiunto forza sette, scendemmo in cabina e ci sistemammo nelle cuccette.
Guardare fuori dall’oblò era terrificante, c’ erano onde gigantesche; fu una notte orribile. Al mattino verso Palma de Maiorca il mare si calmò e l’ isola mi sembrò bellissima; la folla eterogenea dei turisti gremiva le strade e i favolosi negozi, ma io provavo un senso di angoscia. Era passato solo un giorno, ne dovevano passare altri sette. Io che amavo tanto quella ragazza che con gli altri chiamavo mia figlia, ma dentro di me mi ostinavo a chiamare la mia bambina, l’avevo abbandonata. Provavo un senso di rancore anche per il mio correo, ma obiettivamente dovevo riconoscere che ero abbastanza grande per oppormi se proprio avessi voluto. Subentrava poi la parte razionale di me: mia figlia non era mai stata mammona, era disinvolta ed efficiente, abituata ad organizzare la sua vita meglio di me. Lasciammo l’isola verso sera e navigammo tutta notte su un mare liscio come un’autostrada. Da Casablanca andammo a Marrakech; ci faceva un caldo d’ inferno, ma non si poteva non ammirare la celebre piazza che aveva l’ aspetto un po’ di una fiera popolare e un po’ di un circo coi giocolieri e gli incantatori di serpenti. Sulla nave di giorno qualche volta riuscivo a distrarmi; di sera nella mia cuccetta ero ripresa dall’angoscia e dal rimorso. Visitammo poi Tangeri, Rabat e forse anche altre città, ma per me era come sfogliare distrattamente un libro di cui si ha fretta di giungere alla conclusione. Dei bellissimi bambini dai grandi occhi neri ci rincorrevano gridando: cento lire per collezione! Noi sapevamo benissimo di che collezione si trattava e proprio per questo li accontentavamo. Durante la navigazione il mio lui giocava a carte e io stavo in piscina a prendere il sole e a guardare i delfini giocherelloni uscire dall’ acqua sulla scia della nave. Sul ponte tra cielo e mare rosa dai rimorsi, facevo un esame di coscienza e mi chiedevo se ero stata una buona madre. Che ci avessi messo tutta la buona volontà era indubbio, ma è così difficile il mestiere di genitori ed è così facile sbagliare. Avevo fatto di tutto perché non diventasse la classica figlia unica paurosa e un po’oca sempre al riparo delle gonne della mamma. Quando partiva in aereo con la squadra di Pallavolo di cui faceva parte mi si contorcevano le viscere ed ammutolivo fino al suo ritorno, ma non ho mai fatto niente per trattenerla. Ho cercato, compatibilmente con le nostre possibilità economiche di procurarle abiti e divertimenti. Mi sono prodigata per comunicare con lei, ma ci sono poi riuscita? Ed era questo che mia figlia voleva da me o altro ? Mi si potrebbe accusare di tutto, ma non di non averle voluto bene e sarebbe molto triste se avessi fallito nell’unica  che mi importa, di non essere stata una buona madre o almeno inadatta a lei. Quando mio marito mi veniva a prendere per la cena ci avrei giurato che anche  lui aveva dei rimorsi, ma non gli chiedevo nulla, perché non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura. Ormai che stavo per tornare avevo la certezza che non era successo niente durante la mia assenza e diventavo euforica. Appena sbarcata telefonai a casa; tutto bene, figlia e nipote erano stati di parola,non si erano ancora lasciati e godevano entrambi buona salute. Quando abbracciai mia figlia avrei voluto chiederle perdono, ma non sarei stata capita e sorvolai. Cominciai a raccontare ciò che avevo visto, ma in modo caotico:ricordavo palazzi,chiese , monumenti, ma non sapevo più se le avevo viste a Rabat , Casablanca o a Tangeri. Diedi  la più gran testimonianza di rimbambimento. Ogni tanto pensavo al rischio corso, ma passò un mese prima che mi mettessero fra le braccia quel cosino violaceo e umido che era mia nipote, la strinsi al cuore e le dissi: birichina, mi hai rovinato il primo vero viaggio della mia vita. Quell’ abbraccio fu l’ inizio di un grande amore. Poi la guardai: Dio, com’ è bella!  Non lo era, ma lo divenne, la mia Veronica e non solo bella ma con tante doti.  Nonna Rachele