NONNA RACHELE

LE TRECCE


Quando avevo otto anni vennero di gran moda le trecce per le bambine di buona famiglia; era un segno di distinzione. La mamma mi fece crescere i capelli e io accettai senza discussioni, giacché non potevo avere i ricci cui tanto ambivo tanto valeva castigarli dentro le trecce. Era il tempo in cui furoreggiava SHIRLEY TEMPLE soprannominata RICCIOLI D’ORO ed io che avevo i capelli che  più lisci non esistevano mi avvolgevo una ciocca attorno a un dito e dormivo così. Al mattino non c’era un boccolo ma avevo costruito un angolo retto e mia madre non l’apprezzava, bagnava il pettine e li metteva al loro posto. A scuola ero l’unica con queste appendici perché le mamme delle mie amiche non avevano tempo per pettinare le figlie e la maestra non approvava la mia diversità e si vendicò mettendomi in pagella il voto nove in igiene. La mamma si offese molto e in questo aveva ragione perché lei era addirittura maniaca e non faceva che farmi il bagno e lavarmi i capelli con grande disapprovazione della tata che per atavica credenza diceva non facesse
bene. Le mie amiche di città erano rassegnate al dovere di essere munite di trecce fino ai dodici anni quando si accorsero che i ragazzini guardavano quelle coi capelli corti che sembravano più adulte. Allora con le scuse più banali cominciarono a chiedere ai genitori di tagliarle, ma le madri non erano stupide, capivano a cosa miravano  e mettevano il veto più assoluto. Io non chiedevo niente ma ero tra le aspiranti all’ eliminazione e stavo studiando un piano per aggirare l’ostacolo. Ero portata ad esempio dalle amiche di mia madre che, in buona fede, asseriva che io non avevo mai parlato del problema.  Era estate e avevo adocchiata una ragazza più grande di noi che veniva a volte in nostra compagnia e che era giudicata molto ribelle a regole genitoriali, per lei assurde. Un giorno a casa di una nostra amica c’era sul tavolo un paio di forbici e così come fosse la cosa più naturale del mondo le chiesi: mi tagli una treccia? Rimase un attimo interdetta ma visto i risolini ironici delle altre con le quali diceva sempre di non aver paura di niente, prese le forbici e mi tagliò la treccia. Quando andai a casa, mio padre si inalberò, lui sempre così tetragono, diede in  escandescenze e disse che avrebbe denunciato la ragazza. Le cose si mettevano male, per fortuna la mamma che era più furba disse: se l’ è fatta tagliare lei e il giorno dopo mi portò dalla parrucchiera però sapendo il mio amore per i riccioli, mi punì non permettendole di farmi la messa in piega. Nel frattempo però la scarlattina mi aveva quasi fatta morire, ma mi aveva ondulato naturalmente i capelli. Le amiche mi dicevano che mi invidiavano e avevano voglia di picchiarmi; le convinsi che come pioniera avevo loro portato un vantaggio. Cominciarono così a tediare i genitori fino ad esaurire le loro forze e pian piano le trecce caddero tutte meno quelle della Laura che aveva solo il papà, che l’adorava ma non sapeva mai bene come comportarsi e che trovò la scappatoia promettendole che finita la guerra le avrebbe dato il permesso. Finalmente la guerra finì ed io istruii la  Laura a non parlare al padre della promessa, perché capivo che avrebbe trovato delle scuse per rimandare. Lei  mise via le sue paghette e un giorno l’accompagnai dal parrucchiere che le fece una bellissima permanente .Andò a casa un pò  impaurita, ma quando a lui diede quasi un infarto, lei serafica disse: me lo avevi promesso e lo lasciò senza parole.     Nonna Rachele