NONNA RACHELE

LA MIA PRIMA MAESTRA


(Fu quella che in seguito ebbe la gradita visita di GIPSY )Andare a scuola mi piaceva perché ero ansiosa di imparare a leggere, così avrei finito di torturare mia madre perle favole di cui non ero mai sazia. Avevo ancora intatte le mie illusioni e siccome fino ad allora ero stata amata oltre che dai miei genitori e parenti anche dalle mie tate pensavo che lo sarei stata anche a scuola. Fu così per quanto riguardava i miei compagni, ma non con la  maestra. Mio padre mi aveva educato alla generosità, sincerità e a quella  utopia che è la giustizia, per fortuna  mia madre mi aveva raccomandato di non dire alla maestra cosa pensavo di lei, ma di essere sempre rispettosa
e di fare come mi diceva senza discutere. Per una volta obbedii, ma dentro ribollivo quando la vedevo ingiusta verso alcuni miei compagni. Aveva una prediletta, la  Rosa, figlia dei suoi contadini; io non ero gelosa ma quando vidi che rifiutava la mia amicizia, poiché col sesto senso dei bambini capiva che questo non sarebbe stato gradito alla maestra l’abbandonai. Finì per essere isolata anche dagli altri e divenne una di quelle bambine che tengono la mano davanti perché nessuno copiasse. Io avevo sempre il quaderno lontano e aperto al pubblico. Quando la maestra se ne accorgeva veniva a chiuderlo e mi rimproverava e io spalancavo gli occhi con falsa ingenuità. Passavo i bigliettini con la soluzione del problema; lei lo sapeva, disapprovava e si seccava perché non mi coglieva mai in castagna. Un giorno l’incauta ci fece fare un compito in classe d’ italiano, il tema era: il compagno che mi piace di più. Su 24 bambini, 22  dissero : la Rachele. Si poteva imputare questo anche al fatto che dividevo le merendine, ma non nascondo che mi fece piacere, visto che lo ricordo ancora . Mi rendo conto solo ora  di aver  fatto le elementari con dei bambini molto intelligenti. Povere creature, come arrivavano a casa, magari dopo aver fatto due chilometri a piedi, dovevano lavorare; facevano i compiti la sera senza poter chiedere un chiarimento a nessuno e studiavano quando potevano. A volte, qualcuno non aveva fatto il compito, io gli prestavo il mio quaderno e lui andava in fretta a copiarlo dietro la scuola prima di entrare. Mi raccomandavo sempre di fare qualche piccolo errore per non destare sospetti. Uno di questi bambini è migrato in America dove ha fatto fortuna e quando viene in Italia a trovare i parenti mi manda sempre a salutare. La mamma sapeva che andavo bene, ma ogni tanto per deferenza andava dalla maestra a chiedere di me. Al ritorno non mi raccontava mai niente e questo fatto mi incuriosiva e un giorno la sentii parlare con la tata e senza nessuna vergogna origliai. Stava dicendo: io non la capisco , le chiedo come va mia figlia e lei mi liquida con due parole BENE, BENE, però anche la Rosa  è molto brava e qui comincia a tessermi le lodi di una bambina  che non conosco  nemmeno. Ma io non ho mai preteso che la Rachele fosse un genio, anche perché se non la facessi studiare io, lei giocherebbe con il gatto. Passarono così tre anni, in cui malgrado il cattivo rapporto che avevo instaurato con la maestra fui molto felice. Visto l’insuccesso avevo smesso di cercare di esserle simpatica e anche, se allora la parola non faceva parte del mio vocabolario, francamente me ne infischiavo. Nonna Rachele