NONNA RACHELE

I BACHI DA SETA


Passando davanti ad un negozio di filati ho visto in vetrina un magnifico poster con una cascata di  bozzoli di bachi da seta. Ho sorriso e mi sono tornati vivi i ricordi di quando ero bambina. A quei tempi le donne si industriavano moltissimo per portare a casa un po’ di denaro che permettessero loro anche qualche extra. Verso la fine d’aprile andavano tutti a dormire al piano terra, in cucina o nel fienile; liberavano le camere al primo piano e vi sistemavano dei graticci appesi al soffitto. Andavano poi nel giorno convenuto in paese ad acquistare i bacolini neonati da un uomo che arrivava su un calesse pieno di scatole coperte da fitti veli, li portavano a casa e li sistemavano sui graticci cosparsi di foglie di gelso tritate.
Era incredibile come i bachi si mettessero subito a mangiare con foga. Io seguivo con interesse tutto il ciclo andando ogni giorno a casa della Tata Luisa. Le donne li tenevano puliti e fornivano loro tutti i giorni il cibo fresco andando a pelare la foglia dei gelsi che allora erano lungo i fossati e nei campi sostenevano la vite. L’allevamento durava una quarantina di giorni e si componeva di cinque cicli: ogni sette o otto giorni i bachi facevano la muta, perdevano la pelle come fossero vestiti divenuti stretti  e poi riprendevano a mangiare. Entrando nelle camere si sentiva un brusio ininterrotto prodotto da questi voraci animali. Crescevano a vista d’occhio ! Mi facevano un po’ schifo, ma non volevo essere da meno degli altri bambini  che li maneggiavano con delicatezza e disinvoltura. Ricordo ancora la loro pelle vellutata. Quando smettevano di mangiare si diceva che volevano salire al bosco e venivano subito forniti di rametti sui quali si arrampicavano e cominciavano ad avvolgersi attorno la bava che diventando un sottilissimo filo e formavano un bozzolo ovale dorato.
Finita questa operazione venivano staccati con delicatezza, posti in grandi cesti e portati in paese dove li venivano a comprare e li spedivano subito in treno alle seterie, presumo, del Comasco. La fretta era dovuta al fatto che dovevano essere buttati in pentoloni di acqua bollente entro una quindicina di giorni perché se la farfalla fosse uscita avrebbe rovinato il bozzolo e di conseguenza il filato. ( Poverini però ) Il danaro guadagnato veniva in genere lasciato alle donne che organizzavano una festa: una cena a base di carne e di dolci .Usciva poi una fisarmonica e ballavano. Col resto del denaro fornivano la famiglia del necessario e se avevano delle bambine compravano lino e canapa, che filavano, tessevano e la tela veniva trasformata in lenzuola, che le bimbe già a dieci anni ricamavano per il loro corredo. Ma perché vi ho raccontato tutto questo ? Mi sorge un dubbio: ma interesserà a qualcuno?       NONNA RACHELE