NONNA RACHELE

LA TATA E GLI OCCHIALI


I Rossi erano due coniugi entrambi medici, lontani parenti ma soprattutto grandi amici dei miei genitori. Quando ebbero un figlio,Alberto, assunsero una Tata che lo allevasse perché erano occupatissimi nel campo della ricerca. La Tata era simpaticissima ed amava i bambini; così era felice quando andavamo a tener compagnia al suo adorato tesoro (eufemismo in quanto era un gran birichino ). Ricordo che a Carnevale ci offriva  montagne di intrigoni con panna montata e si faceva una gran baldoria. Non so se per scarsa avvenenza o per affezione  verso Alberto, non si sposò. Noi ormai grandi continuavamo a frequentare la casa e a godere anche  della benevolenza della Tata. Appena il suo cocco si iscrisse a giurisprudenza, la Tata continuò a dargli del tu, a redarguirlo e a dargli anche qualche scappellotto, ma lo chiamò rigorosamente: avvocato. Quando il suo tesoro sedeva in salotto a leggere lei fingeva di riordinare e gli svolazzava intorno chiacchierando ininterrottamente. I suoi discorsi risultavano dei monologhi, in quanto Alberto interloquiva a intervalli regolari con poco compromettenti: ah, si ?  Un giorno però, pur non ascoltando capì che qualcosa in quei discorsi non quadrava. Depose il libro: cosa dici ? Dico che le mie braccia sono diventate troppo corte. Ma troppo corte per cosa? Per leggere. Lui scoppiò a ridere: hai bisogno di un paio di occhiali e domani andiamo a comprarli.
Indescrivibile la felicità  della Tata quando tornò a casa; credo sia stato il giorno più bello della sua vita. Andava a far la spesa e ficcava il suo prezioso bene  in fondo alla borsa per paura di perderli o di venir derubata. Ma qui cominciarono i guai: tutti gli occhiali che incontrava sul suo cammino venivano scambiati per i suoi e razziati. Al ritorno trovava mezza borsa di occhiali, si disperava ed essendo scrupolosamente onesta, ripartiva a restituire il maltolto con tante scuse. Tutto filava liscio se gli occhiali appartenevano al bottegaio, ma se erano stati momentaneamente abbandonati sul banco da qualche fiducioso cliente, la restituzione diventava più complicata e a volte impossibile.  Allora la Tata in preda alla disperazione deponeva gli orfani sul comò con le stangette  verso di lei come indici accusatori e si lambiccava per giorni nella ricerca mnemonica  del luogo dove aveva compiuto l’involontario furto. L’avevamo soprannominata la cleptoocchialomane . Riversava anche su di noi i suoi rimorsi e allora li facevamo sparire e dicevamo che era venuto il padrone a prenderli mentre lei era fuori. Un paio  giaceva sul comò da tempo e lei aveva  persino sognato il proprietario che era un povero pensionato. Così in  gramaglie non ci piaceva perché oltre a farci compassione no si dedicava ai dolci per noi. Un giorno in cui era uscita, al ritorno la consolammo dicendo che erano  venuti a prenderli. Ahimè, il diavolo ci mise la coda, la Tata ci interrogò separatamente; le descrizioni risultarono contrastanti. Quello che invece risultò uguale, furono gli scapaccioni  che ci buscammo.  NONNA    RACHELE