Sono stata a Napoli negli ultimi dieci giorni, la mia città, ritrovata sporca come mai l’avevo vista. La spazzatura agli angoli delle strade è stata come una pugnalata alle viscere. Inspiegabili i motivi di un’occulta regia che preleva regolarmente l’immondizia nel quartiere un po’ nascosto dove sono vissuta e lascia a marcire quella sulle vie principali, sotto gli occhi implacabili dei media, che nulla perdonano a questo strano popolo, di lazzari e santi, fino ad accusarlo di colpe non sue.Altre volte, già su via Toledo, la strada dell’antico passeggio, riuscivo a percepire l’odore di salsedine che veniva dal mare, in questi giorni, invece, quell’effluvio consueto era offuscato dall’olezzo fetido della spazzatura in decomposizione. Un’altra pugnalata nel cuore, per chi come me esule in patria, ama in modo viscerale la sua terra.Nell’attesa che venga al più presto ripristinata la legalità, quella normalità di una vita civile data per scontata nelle altre città, ho cercato la bellezza per difesa.L’ho cercata nei soliti luoghi che mi sono cari, dove la filosofia ironica che ci appartiene è riuscita a creare un nuovo pastorello per il presepe, un Berlusconi assiso sui sacchetti d’immondizia come un sovrano, in testa una corona simbolo di quell’effimero potere. Il sorriso non è servito a lenire le ferite inferte alla mia splendida città.Ho cercato la bellezza nell’abbraccio dei miei soliti amici, in tutti quelli con cui sono uscita, in quelli che non ho potuto incontrare per mancanza di tempo e anche in quel paio che non ho incontrato per mancanza di voglia.Ma ho cercato la bellezza, soprattutto, rifugiandomi nella storia gloriosa del passato, quando Napoli era capitale di un regno, terra di conquista per principi stranieri che la amavano più di quanto la amino oggi i suoi stessi figli.L’ho fatto entrando in punta di piedi nel bellissimo palazzo Zevallos Colonna di Stigliano, un superbo edificio edificato nel 1639 da un ricchissimo ufficiale di corte, conobbe vari passaggi di proprietà finché nel 1898 fu acquistato della banca commerciale italiana, la quale trasformò il cortile interno, opera di Cosimo Fanzago, nel salone per il pubblico.
I palazzi di Napoli
Sono stata a Napoli negli ultimi dieci giorni, la mia città, ritrovata sporca come mai l’avevo vista. La spazzatura agli angoli delle strade è stata come una pugnalata alle viscere. Inspiegabili i motivi di un’occulta regia che preleva regolarmente l’immondizia nel quartiere un po’ nascosto dove sono vissuta e lascia a marcire quella sulle vie principali, sotto gli occhi implacabili dei media, che nulla perdonano a questo strano popolo, di lazzari e santi, fino ad accusarlo di colpe non sue.Altre volte, già su via Toledo, la strada dell’antico passeggio, riuscivo a percepire l’odore di salsedine che veniva dal mare, in questi giorni, invece, quell’effluvio consueto era offuscato dall’olezzo fetido della spazzatura in decomposizione. Un’altra pugnalata nel cuore, per chi come me esule in patria, ama in modo viscerale la sua terra.Nell’attesa che venga al più presto ripristinata la legalità, quella normalità di una vita civile data per scontata nelle altre città, ho cercato la bellezza per difesa.L’ho cercata nei soliti luoghi che mi sono cari, dove la filosofia ironica che ci appartiene è riuscita a creare un nuovo pastorello per il presepe, un Berlusconi assiso sui sacchetti d’immondizia come un sovrano, in testa una corona simbolo di quell’effimero potere. Il sorriso non è servito a lenire le ferite inferte alla mia splendida città.Ho cercato la bellezza nell’abbraccio dei miei soliti amici, in tutti quelli con cui sono uscita, in quelli che non ho potuto incontrare per mancanza di tempo e anche in quel paio che non ho incontrato per mancanza di voglia.Ma ho cercato la bellezza, soprattutto, rifugiandomi nella storia gloriosa del passato, quando Napoli era capitale di un regno, terra di conquista per principi stranieri che la amavano più di quanto la amino oggi i suoi stessi figli.L’ho fatto entrando in punta di piedi nel bellissimo palazzo Zevallos Colonna di Stigliano, un superbo edificio edificato nel 1639 da un ricchissimo ufficiale di corte, conobbe vari passaggi di proprietà finché nel 1898 fu acquistato della banca commerciale italiana, la quale trasformò il cortile interno, opera di Cosimo Fanzago, nel salone per il pubblico.