ancora pezzettini

La lingua del buon Dante


Erano poche le persone a frequentare quel corso d'italiano per stranieri nelle vicinanze di piazza Solferino.Un paio d'anime affamate di parole benedette tra cui la signora Ippolitakis era senza dubbio la più famelica.Era arrivata in Italia non si sapeva da dove e non si sapeva da quanto.Anzi, nessuno sapeva perché la chiamavano "signora".Nel dito non c'era la fede e nessuno avrebbe mai potuto confermare esattamente la sua età.Anche se tra gli altri studenti ogni tanto se ne discuteva,(Trenta? Cinquanta? Dodici? Centomila?),neanche uno aveva mai osato domandarne.Perché certe domande, si sa, non devono mai essere fate. E va bene così.La signora Ippolitakis arrivava col quaderno e la matita e si sedeva silente nel primo banco. Per assorbire tutte le parole e non smarrire nessuna, che tutte erano pecore bianche per lei, anche le più nere parole della lingua.Ah la signora Ippolitakis, la studente più accanita della città.Era successo che una volta,molto o poco tempo fa ( questo dettaglio non si sa),l'avevano raccontato di una città triste.E forse per quel motivo l'aveva scelta. La tristezza non le era un peccato sconosciuto.Oppure solo aveva scelto di non scegliere e dopo un paio di voli di finta farfalla, il suo dito insicuro si era posato in un punto preciso su un vecchio mappamondo.Torino.Un paio di centimetri più all'ovest e adesso la signora Ippolitakis si scioglierebbe in un appiccicoso "oui" francese.Un paio di centimetri in giù e la signora Ippolitakis cercherebbe di ripetere il succoso suono di un "shucron".Ma Torino fu.Una città malinconia e un po' grigia che senza dubbio le donava e dove ogni giorno si innamorava della lingua musicale del buon Dante.Il professore scriveva con lentezza a stampatello ed in maiuscolo sulla lavagnetta verde.ASSAGGIAREE pronunciava la parola con cura, come se lo facesse per la prima volta, assaporando ogni sillaba. Sorprendendosi ancora, malgrado l'abitudine.ASSAGGIARE"Cosa vi viene in mente"?"Cioccolato", disse subito la signora Ippolitakis.E gli occhi le brillavano, scuri come il cacao."Parola" sussultò,  ma un po' si vergognò del suo intervento."Assssssaggggggiare", si sforzava, anzi, si deliziava la signora Ippolitakis chiudendo gli occhi."Mandarino""Labbra""Lo sguardo di un marinaio che torna a casa dopo secoli di non esserci""Amore e Psiche di Canova""Taormina""Tuffo nelle tue braccia",esplodeva la signora Ippolitakis dimenticando che intorno gli altri studenti la guardavano, un po' beffardi."Ciliegie""Le rovine di Volubilis" "Vento colmo di profumo di lavanda",non si fermava la signora Ippolitakis,come se non sapesse cosa fosse un ancora,come se non sapesse che di mongolfiere.(Certi giorni, la signora Ippolitakis vorrebbe che la sua classe d'italiano non finisse mai.)
Valentina Einaudi,"La signora Ippolitakis impara ad assaggiare", Feltrinelli, 503 ac p.45.La musica (Variazioni Goldberg - Glenn Gould)La voglia di scrivere non è quella di altri tempi. Anzi, spesso la voglia in generale non è che un ricordo sgualcito.Il vuoto per adesso resta solo vuoto, perché nemmeno le parole...Passerà, si spera...