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DIPENDENZA DA SHOPPING, DA INTERNET, DA PALESTRA


Shopping, internet e palestra se l' ossessione diventa schiavitùRepubblica — 28 luglio 2002   pagina 28   sezione: CRONACA ROMA - Addicted. Cioè, schiavo. La vita segata da un padrone col quale è impossibile trattare: droga, tabacco, alcol... Pensavamo che alla fine avrebbero vinto i buoni e festa finita. Invece no. Gli stili di vita della nostra società - ci dicono gli esperti - producono a getto continuo nuove e subdole forme di dipendenza. Dipendenze comportamentali. Da shopping, da lavoro, da Internet, da sms, sesso, fitness, gioco d' azzardo. C' è chi resiste, c' è chi ci riesce a non farsi fregare mai. Ma la maggior parte, anche senza saperlo, almeno una volta nella vita ha rischiato di finire nella tela di ragno delle new addictions. Poi magari ne è uscito fuori. Oppure no. E allora è scivolato nella "malattia". In un gorgo di comportamenti ossessivi-compulsivi che - sostiene Stefano Pallanti, docente di psichiatria all' Università di Firenze, direttore dell' Istituto di Neuroscienze di Firenze e professore alla Mount Sinai Hospital School of Medicine di New York - in alcuni casi possono essere curati anche farmacologicamente. Prendiamo il gioco d' azzardo, la più nota e dilagante tra le new addictions: l' 80 per cento delle persone scommette, gioca, punta; i giocatori abituali sono circa 13 milioni; circa il 3 per cento di chi gioca presenta sintomi patologici, una cifra tonda che sfiora il milione di persone. Prendiamo lo shopping compulsivo: ne soffre il 10 per cento di chi ha un' altra dipendenza, ad esempio da gioco d' azzardo. Si aggira invece intorno al 5 per cento di chi usa Internet, la percentuale di chi è diventato patologicamente dipendente da chat, o giochi di ruolo, o acquisti in rete, o investimenti finanziari. Almeno il 6 per cento di chi lavora oltre le 50 ore settimanali è a rischio di workaholis, crasi dei termini inglesi work lavoro e alcoholism, alcolismo. A rischio di fitness dipendenza è il 4 per cento di chi, non essendo un atleta, dedica alla forma fisica oltre dieci ore settimanali. Ovviamente si tratta di stime. Di certo, come fa rilevare Rolando De Luca, responsabile del "Centro di Terapia di Campoformido per i giocatori d' azzardo e le loro famiglie" il problema è da un lato lo Stato che tollera e incentiva il gioco d' azzardo per puro interesse economico; dall' altro il confine incerto che separa il giocatore abituale da quello dipendente. Lo scarto tra abitudine e patologia, è piccolissimo. Anche perché - dice De Luca, che per altro ha firmato la prefazione al libro di Silvana Mazzocchi, "Vite d' azzardo" - chi gioca è sempre convinto di poter smettere quando vuole, e intanto manda la famiglia a scatafascio, tradisce chi mai lo tradirebbe, sottrae denaro a chiunque possa essere sottratto. Senso etico, zero. Ci si può rovinare per un videopoker. Ma anche inviando centinaia di sms al giorno o comprando di tutto senza mai riuscire a dire, a dirsi "no". L' ossessione di possedere qualsiasi cosa possa simbolicamente riflettere di noi una certa immagine, indipendentemente dalla sua utilità e necessità, riguarda per l' 80 per cento le donne. E non c' è da sorridere. Può essere - come spiega Melania Bisesto, vicedirettore della "Società Italiana Interventi sulle Patologie Compulsive" - una malattia in grado di divorare l' esistenza. Il paradosso di patologie come questa - sostiene Bisesto - è che possono essere non viste: dipende dal contesto sociale ed economico nel quale vive la persona. Se una donna spende fortune in insensati shopping, ma è ricca, passa pressochè inosservata; se un uomo lavora ossessivamente, ma si muove in un ambiente manageriale, sarà uno che vuole far carriera, ma il suo comportamento passerà per accettabile. Internet, ad esempio, è stato ed è un anonimo vivaio per chi ha una predisposizione alla dipendenza. «Ma la predisposizione - sostiene Pallanti - non significa predestinazione, dunque in assenza dello stimolo, la patologia può non manifestarsi mai». Dopo, per uscirne, esistono le équipe di psicoterapeuti nei centri specializzati; dopo ci sono i farmaci che agiscono sui principali sistemi di neurotrasmettitori, come la serotonina che nei dipendenti ha valori bassi. Dura è dura, ma chi vuole ce la fa. - MARIA STELLA CONTE fonte www.repubblica.itvedi anche http://www.iltuopsicologo.it/dipendenze.asp