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PRIMA CONDANNA PENALE AD UN COUNSELOR PER ESERCIZIO ABUSIVO DELLA PROFESSIONE DI PSICOLOGO


La IX sezione penale del Tribunale di Milano ha condannato un counselor per esercizio abusivo della professione di psicologo. Ha altresì condannato per concorso lo psicologo con il quale il counselor aveva svolto una psicoterapia nei confronti di un minore. Lo psicologo aveva trattato i genitori e il counselor il figlio. Entrambi avevano condotto incontri congiunti con i genitori. Nella sentenza, tra l'altro, si legge: (http://www.opl.it/Allegati//OPL%20Informa/motivazione%20da%20allegare.pdf)omissis...”L’istruttoria dibattimentale, però, ha dimostrato con evidenza che il lavoro di equipe svolto nei confronti di “figlio” e dei suoi genitori non è stato un intervento di counseling.”…omissis…. La ricostruzione della vicenda operata dal “padre” è, però, ben diversa. Il teste, difatti, ha dichiarato che sin dal primo incontro aveva chiesto al “counselor” una presa in carico terapeutica del “figlio” prospettandogli non solo i suoi numerosi e gravi disturbi comportamentali ma anche la necessità che aveva, in quanto genitore, di capire come affrontare il problema della transessualità del figlio volendo fornirgli il suo appoggio nel caso che avesse deciso di cambiare sesso ma temendo, nel contempo, di condurlo ad una scelta per la quale non era, probabilmente, ancora pronto. A fronte di tale richiesta gli era stato prospettato un lavoro di equipe nel quale il “counselor” avrebbe preso in carico “figlio” e il “collega” psicologo i genitori. Si erano, poi, concordati incontri congiunti tra il “counselor” , lo psicologo ed i genitori, incontri che, per il numero, la frequenza ed il contenuto come descritto dal denunciante, non possono ritenersi di mera restituzione ai genitori del lavoro di counseling asseritamente svolto con il minore. Sul punto lo psicologo ha dichiarato che normalmente il lavoro di equipe prevede un colloquio dello psicologo con i genitori ed il minore, tre o quattro incontri del minore con il counselor ed un primo incontro di restituzione ai genitori cui, in casi particolari, seguono altri incontri. Nel corso di tali ultimi colloqui poi -  come si è visto - si discuteva proprio dell’andamento della terapia seguita da “figlio” e dei problemi in quella sede emersi. Il numero, la frequenza delle sedute di “figlio” con counselor sono già indicativi del fatto che l’intervento dell’imputato non era un counseling. Ancora va ricordato, sempre a sostegno dell’ipotesi accusatoria, quanto si è detto in precedenza in ordine alla natura e contenuto dei colloqui avuti dagli imputati con i “genitori”, colloqui che da quanto emerso appaiono con evidenza di restituzione del contenuto delle sedute di “figlio” con il “counselor” ma anche di elaborazione di tale contenuto e progettazione del lavoro di presa in carico terapeutica. Si tratta, in sostanza, di colloqui tipici del lavoro di equipe psicoterapeutico. La legge 18/2/1989 nr. 56 recante l’Ordinamento della professione di psicologo riserva agli iscritti al relativo albo “l’uso di strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione – riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità”. Non vi è dubbio che, nella specie, il counselor abbia certamente svolto valutazioni, che non è azzardato definire vere e proprie diagnosi cliniche, utilizzando strumenti che, da quanto emerge dalla relazione in ordine al contenuto delle sedute, sono almeno assimilabili ai colloqui clinici. Di ciò lo psicologo era a conoscenza, come emerge da quanto dichiarato dal denunciante in ordine agli incontri che aveva avuto con i due terapeuti, e dalle stesse ammissioni dell’imputato sul contenuto dei colloqui avuti con il counselor. L’imputato, però, aveva consentito che il counselor esercitasse di fatto attività riservata agli iscritti all’Ordine nello studio di cui era titolare partecipando, anzi, direttamente alla commissione del reato con la presa in carica congiunta, tramite il lavoro di equipe, di “figlio” che, lungi dal poter essere definito un cliente del counselor, era invece a tutti gli effetti un paziente.”Crediamo che tutti i colleghi apprezzino e comprendano l’importanza di questa sentenza che, oltre a tutelare la nostra professione, si pone nella prospettiva di garantire ai cittadini, che necessitano di interventi psicologici, prestazioni di qualità e  “certificate” dalla appartenenza alla comunità professionale prevista dalla Legge n.56 del 1989 istitutiva dell’Ordine degli Psicologi.L’Ufficio Stampa dell’OPL ha preparato un Comunicato e prevediamo una Conferenza stampa per far conoscere ai cittadini questa importante sentenza. Il Presidente Il Vicepresidente Il Segretario Il Tesoriere E. Molinari G. Gambardella C. Martello F. Merlini TRATTO DAL SITO DELL'ORDINE DEI PSICOLOGI DELLA LOMBARDIA