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IL MATRIMONIO DI TUYA


ORSO D'ORO A BERLINOVi propongo questa bella recensione di Fabio Ferzetti, che mi sembra cogliere il cuore del film.                                                    notteluna
La guerra di Tuya e dei suoi due mariti Gli altipiani della Mongolia Interna sono fra le zone meno popolose della Cina, eppure Il matrimonio di Tuya è un festival di umanità. Una sfilata di facce, caratteri, personaggi, passioni, che sembra uscita da un romanzo dell'Ottocento anche se il quadro di sradicamento economico e culturale appartiene al nostro poco colorito presente.Dietro la storia della bella Tuya e dei suoi due mariti, che per certi versi è quasi una commedia, c'è infatti il dramma di un popolo costretto a passare nel giro di pochi anni dalla pastorizia all'industrializzazione, dalla vita nomade allo stile anonimo e sedentario delle civiltà urbane. Ma il bello del film di Wang Quan An, meritato Orso d'oro a Berlino, sta proprio nel suo lasciare il dramma sullo sfondo per concentrarsi su pochi ma impagabili protagonisti, suggerendo grazie a un pugno di facce e di paradossi il tramonto di un'intera cultura (solo Tuya è un'attrice, gli altri sono non professionisti che interpretano ruoli molto vicini alla loro vita vera).Infagottata negli abiti della contadina, la fiera Tuya ha un marito infermo, due figli, cento pecore, un vasto terreno da pascolo. E un'idea fissa: trovare un nuovo marito senza però abbandonare il primo. E' proprio suo marito Bater, infatti, che scavando un pozzo ha perso l'uso delle gambe, a spingerla a cercarsi qualcun altro. Ma è lei, bella e combattiva, a non voler lasciare né lui né quella vita, che per quanto dura è la sua vita.Naturalmente nessuno accetta questa condizione, e anche se la bellezza di Tuya fa spuntare frotte di pittoreschi pretendenti in quella landa semidesertica, perfino i più generosi vogliono liberarsi di Bater, magari internandolo in qualche moderna e gelida casa di riposo, come fa l'ex-compagno di scuola ora ricchissimo che si presenta armato di ottime intenzioni e di un vasto repertorio di aneddoti edificanti da self made man. Così, prima che Tuya scopra di avere la soluzione sotto il naso, lo schermo si popola di personaggi esotici e insieme universali, la cognata disfatta dal lavoro e dalle gravidanze, i sensali e corteggiatori che accorrono su berline di lusso o su vecchie motociclette, gli altri abitanti della zona, solidali e impiccioni, che sfilano su cavalli e cammelli.O il vicino Sen Ge, imbranato e cornificatissimo dalla moglie bramosa di modernità, ma palesemente innamorato di Tuya. Come lei stessa finirà per capire dopo una lunga serie di incidenti, contrappunto comico alla nota dominante del film. Che invece è malinconica come le melodie che il povero Bater tira fuori dal suo flauto di legno, sempre più spaesate in un mondo che cambia troppo in fretta. Così in fretta che per ritrovare quell'energia, quell'esuberanza, quelle passioni, dobbiamo spostarci in mezzo a case e genti lontane. Ritrovando l'eco di un mondo che una volta era anche il nostro. Ma che già alla fine delle riprese, come testimonia il regista, era completamente scomparso.Da Il Messaggero, 8 giugno 2007