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VALZER CON BASHIR


      
Titolo: Valzer con Bashir (Waltz with Bashir) Regia: Ari Folman Sceneggiatura: Ari FolmanFotografia: ---Doppiatori: Gaetano Varcasia, Massimo Rossi, Franco Mannella, Angelo Maggi, Gianni Bersanetti, Pasquale Anselmo, Stefano De Sando, Paolo Marchese Nazionalità: Israele - Germania - Francia - USA, 2008 Durata: 1hUna storia potente, spiazzante, che racconta dal punto di vista del regista israeliano, all'epoca dei fatti  giovane soldato, la tremenda strage che si consumò nell'agosto dell'82 nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila, poco fuori Beirut: circa tremila  rifugiati vennero uccisi  da milizie cristiane  in risposta all'attentato in cui fu assassinato il loro capo carismatico, Gemayle Bashir, da poco eletto presidente del Libano e ben visto anche dai vertici israeliani. Furono due giorni di crudeltà inaudita.  Da due mesi l'esercito israeliano era penetrato nel sud del Libano per una campagna militare che aveva l'intento di "bonificare" 40 km di territorio al confine e porre fine al lancio di razzi. Alla fine  le colonne israeliane si spinsero fino a Beirut. Per questo si accusa il governo israeliano e i suoi vertici militari (Ministro della Difesa era allora Ariel Sharon) di aver avvallato la strage pur non partecipando attivamente all'operazione. In pratica  fece finta di non vedere  lasciando che fossero trucidati migliaia di palestinesi.Recensione di R. ESCOBARValzer con Bashir è il bel reportage di animazione di Folman, che racconta le stragi di Sabra e Shatila con gli occhi di un soldato. Un cane nero corre latrando per le vie di Tel Aviv. Altri cani neri si uniscono a lui, travolgendo in branco tutto quello che incontrano. I loro occhi gialli e i loro denti scoperti cercano qualcuno, o forse annunciano qualcosa. Finalmente si fermano, e tendono le fauci verso l'alto. La loro voce si fa ancora più terribile, e i loro occhi più feroci. Da una finestra un uomo li osserva. Inizia così, con questi mostri urlanti, Valzer con Bashir (Vals im Bashir, Israele, Francia, Germania e Usa, 2008, 90'), scritto, realizzato e prodotto dall'israeliano Ari Folman.Nato nel 1962, a vent'anni Folman si trovava in Libano. Con l'esercito del suo Paese partecipava all'assedio di Beirut, e all'accerchiamento di 15mila combattenti dell'Olp e dei loro alleati siriani e libanesi. A quei fatti lontani torna ora con questo film d'animazione raccontato quasi in soggettiva – il personaggio principale in originale ha la voce del regista –, e come se fosse il ritorno suo e di un piccolo gruppo di suoi coetanei ai mesi terribili che culminarono nel «large-scale massacre of Palestinian civilians in the Sabra and Shatila refugee camps». Ossia, nel «massacro su larga scala di civili palestinesi nel campo profughi di Sabra e Shatila». Così appunto si legge nella risoluzione dell'Onu che il16 dicembre 1982 lo definisce «atto di genocidio».Molto è stato scritto su Sabra e Shatila, e sugli uomini, le donne e i bambini che a centinaia o a migliaia (per alcuni 700, per altri 3.500) furono sterminati fra il 16 e il 18 settembre 1982 dai libanesi cristiano- falangisti di Elie Hobeika, come ritorsione per l'uccisione di Bashir Gemayel, leader falangista e neoeletto Presidente della repubblica. Più d'un tribunale ha tentato di districare i fili complessi di quell'eccidio, distinguendo le ragioni dai torti. Da parte sua, per altro, Folman proprio a questo non è interessato: alle ragioni e ai torti. Quella che lo muove, e che lo tormenta, è una preoccupazione molto meno generale e insieme molto più concreta: una preoccupazione che si può ben dire di carne e di sangue.Per quanto Valzer con Bashir sia raccontato in gran parte come un'inchiesta giornalistica, o forse come un reportage televisivo – Folman è anche autore televisivo –, il realismo dei suoi disegni è attraversato da due sogni, da due incubi. Il primo è quello su cui il film si apre, con i cani latranti. A sognarlo, e da più di 2 anni, è Boaz, coetaneo del regista e suo compagno nella guerra in Libano. Per lui non ci sono dubbi. I cani, 26 in tutto, sono i morti lontani e mai dimenticati che tornano, e che urlano alla sua coscienza. L'altro incubo, anch'esso ricorrente, è invece quello che tormenta le notti di Ari. Insieme con tre compagni, Ari emerge dal mare calmo di fronte a Beirut. È buio, e i quattro sono nudi. Poi, arrivati sulla terraferma, si vestono e si armano. Il sogno s'interrompe qui, senza svelare nient'altro.E però, quando Boaz gli racconta dei cani, Ari intuisce che quella sorta di resurrezione dalle acque sia anch'essa legata alla guerra,e in particolare a Sabra e Shatila. D'altra parte,nella sua memoria ben poco è rimasto di quei mesi lontani, e niente addirittura del massacro. Da qui, da questo buio nella mente, prende il via "l'inchiesta". Ari si interroga. Lo fa per la prima volta dopo più di vent'anni. E lo fa spinto dalla scoperta improvvisa del vuoto, del niente che in lui sembra rimasto di un'esperienza dura, feroce, densa di paura. Cerca, dunque, Ari. Si mette in cammino nel tempo, indietro verso la guerra, e anche nello spazio, per ritrovare amici e testimoni. Pian piano, qualcosa torna alla luce: notti e giorni passati su un autoblindo, mitragliando e uccidendo, nella speranza di non essere mitragliati e uccisi; i corpi crivellati di un libanese e della sua famiglia riversi dentro un'auto; e poi ancora corpi di feriti e di morti ammassati come cose, in attesa d'essere caricati su grandi elicotteri... Tutto questo non parla di ragioni o di torti. Quello che "dice" è invece la carne e il sangue di cui s'è fatto scempio. E dice anche l'orrore incredulo che pian piano si diffonde tra i soldati israeliani schierati attorno il campo di Sabra e Shatila, a partire dal pomeriggio di quel 16 settembre. Dall'alto delle loro postazioni, vedono e sentono i falangisti all'opera. E quel che vedono e sentono – così dice un personaggio ad Ari –, i loro nonni e padri hanno visto e sentito quarant'anni prima, in Europa. Di questo parla il sogno di Ari? Di un eccidio che ritorna, e che le coscienze dei singoli non riescono a fermare? A noi non resta che ammirare il coraggio di chi arriva a porsi domande tanto dolorose. Quelli non hanno da temere latranti cani neri. Da Il Sole-24 Ore, 18 gennaio, 2009