Creato da sweet.karalis il 12/05/2009
 

UNDER PRESSURE

parole..pensieri..riflessioni e cambiamenti d'umore

 

 

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Post n°146 pubblicato il 08 Settembre 2011 da sweet.karalis

Si forma lentamente cristallizzando i riflessi di certe tue parole
che unendosi alla malinconia dei miei pensieri più intimi
si condensano in quel liquido salato...
prende forma dalla tua assenza
il peso e la forza per spingere tra le ciglia e farsi strada
dalle parole che non mi hai detto
si affaccia fiera della proria forza all'angolo dell'occhio triste
lasciandosi stancamente cadere sapendo già dove andare
segnando al passaggio la guancia pallida come un sentiero
che lascia la scelta a quelle che verranno dopo se seguirlo...
Si muove nella sua caduta libera quasi con un senso di liberazione
consapevole che oggi è amara
ma che potrebbe diventare un viaggio di gioia il suo
per arrivare a toccare un sorriso bagnandolo...
Passa sulle labbra dove ancora c'è una traccia dei tuoi baci
una piccola sua parte si perde lì non sapendo resistere al tuo richiamo
si ricompone nella sua forma per un ultimo salto
quello che la porta sul cuore, dove al calore della mia pelle
che calda d'amore per te la spegne e la vede morire.

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Commenti al Post:
paoloroiter
paoloroiter il 08/09/11 alle 22:56 via WEB
Così discesi dal primo cerchio (limbo) al secondo, che racchiuso in meno spazio e più dolore, induce ai lamenti. Vi stava a ringhiare l'orribile Minosse, che all'ingresso esaminava le colpe, giudicava e con la coda condannava. Quando l'anima dannata gli andava innanzi, confessava tutto, e lui, giudice dei peccati, decideva il giusto cerchio infernale, cingendosi la coda tante volte quanti erano i gironi in cui far precipitare. Davanti a lui ve n'erano sempre molte: l'una aspettava il turno dell'altra, che confessava, ascoltava e piombava giù. Quando Minosse mi vide interruppe le sue funzioni e disse: "Ehi tu ch'entri in questa desolazione, sta' attento a come ti muovi e a chi ti guida, che non t'inganni il facile ingresso!". Ma la mia guida gli rispose: "Che hai da gridare? Non puoi impedire la sua visita, perché là dove volere è potere, s'è deciso così e tu lascia fare". A quel punto cominciai a udire voci lamentose; là dov'ero molto pianto mi colpiva. In quel luogo privo di luce si urlava come il mare tempestoso, agitato da venti contrari. Una bufera mai doma travolgeva nel turbinio gli spiriti, tormentandoli e sbattendoli con violenza. Quando giungevano sul ciglio del dirupo, urlavano piangevano singhiozzavano, bestemmiando la virtù divina. Dal tipo di pena capii che lussuriosi erano i dannati, la cui ragione è schiava dell'istinto. E come le ali portano gli stornelli d'inverno in schiera ampia e compatta, così quel vento gli spiriti perversi agita su e giù, di là e di qua e nessuna speranza li conforta mai, né di una pausa né di uno sconto della pena. E come le gru emettono i loro lamenti, disposte nell'aria in lunghe file, così vidi venir, gemendo, le ombre sconvolte dalla tormenta. Sicché domandai: "Maestro, chi son quelle genti così castigate dalla bufera?". "La prima di cui vuoi sapere - lui mi rispose - fu sovrana di molti popoli. Era così concupiscente che una sua norma legittimò la libido, togliendo il biasimo sulla sua condotta. Si chiama Semiramide, di cui si legge che succedette a Nino e fu sua sposa: dominò sulle terre ora governate dal sultano. L'altra invece s'uccise per amore, tradendo la promessa fatta al defunto Sicheo, e l'altra ancora è la sensuale Cleopatra. Là vedi Elena, che tanto infelice tempo fece trascorrere, e vedi anche il grande Achille che la passione condusse a morte. Vedi Paride, Tristano", e più di mille ombre m'indicò chiamandole per nome, che la voluttà aveva strappato alla vita. Com'ebbi compreso dal mio maestro chi erano quelle dame e quegli eroi, fui come sgomento e smarrito. Poi gli chiesi: "Poeta, vorrei parlare a quei due che vanno insieme e che paiono più leggeri nella bufera". "Aspetta che siano venuti più vicini a noi - mi rispose -, poi pregali per quell'amor che li lega e loro verranno". Appena il vento li piegò verso di noi, esclamai: "Oh anime tormentate, venite a parlarci, se nessuno lo vieta!". Come colombe, chiamate dai piccoli, con le ali levate e ferme al dolce nido vengono per l'aria, spinte dall'istinto, così quelle anime dalla schiera di Didone si staccarono attraverso l'aria maligna, sentendo il mio affettuoso grido. "Oh uomo cortese e benigno, che vieni a visitare, in quest'aria tenebrosa, chi ha macchiato la terra del proprio sangue, se ci fosse amico il re dell'universo, lo pregheremmo per la tua pace, avendo tu pietà della nostra perversione. Quel che a voi piacerà dire e ascoltare piacerà anche a noi, almeno finché il vento lo permetterà. La mia città natale lambisce il mare ove sfocia il Po, che coi suoi affluenti trova pace. L'amore, che subito accende i cuori gentili, fece innamorare quest'ottima persona, che mi fu tolta in un modo ch'ancor m'offende. L'amore, che induce chi viene amato a ricambiare, mi prese così forte per le maniere di costui, che, come vedi, ancor non m'abbandona. L'amore ci portò a una stessa morte: Caina in sorte attende l'assassino". Ecco le parole che ci dissero. E io, dopo aver ascoltato quelle anime travagliate, chinai il viso e rimasi così mesto che il poeta a un certo punto mi chiese: "A che pensi?". Io gli risposi: "Ahimè, quanti dolci pensieri, quanto desiderio condusse costoro al tragico destino!". Poi mi rivolsi direttamente a loro e chiesi: "Francesca, le tue pene mi strappano dolore e pietà. Ma dimmi: al tempo dei dolci sospiri, come faceste ad accorgervi che il desiderio era reciproco?". E quella a me: "Non c'è maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella disgrazia; cosa che sa bene il tuo maestro. Ma se tanto ti preme conoscere l'inizio della nostra storia te lo dirò unendo le parole alle lacrime. Stavamo leggendo un giorno per diletto come l'amore vinse Lancillotto; soli eravamo e in perfetta buona fede. In più punti di quella lettura gli sguardi s'incrociarono, con turbamento, ma solo uno ci vinse completamente. Quando leggemmo che il sorriso di lei venne baciato dal suo amante, costui, che mai sarà da me diviso, la bocca mi baciò tutto tremante. Traditore fu il libro e chi lo scrisse: quel giorno finimmo lì la lettura". Mentre uno spirito questo diceva, l'altro piangeva, sicché ne rimasi sconvolto, al punto che svenni per l'emozione e caddi come corpo morto cade.
 
naucrate5
naucrate5 il 09/09/11 alle 03:38 via WEB
tutti abbiamo bisogno di amore.....
 
puglia_doc
puglia_doc il 09/09/11 alle 12:14 via WEB
la lacrima più triste che abbia attraversato i miei pensieri...
 
susannacasta3
susannacasta3 il 09/09/11 alle 22:26 via WEB
Bellissima,sei una grande romantica.... mi peace il tuo modo di pensare.... un grande abbraccio Rita
 
 
francoroiter
francoroiter il 10/09/11 alle 14:44 via WEB
INFERNO - Canto V nel libero commento di Giovanna Viva Cerchio secondo: Minosse - Francesca da Rimini e Paolo Malatesta - La violenta bufera Così discesi del cerchio primaio giù nel secondo, che men loco cinghia 3 e tanto più dolor, che punge a guaio. Così dal primo cerchio del Minerale discesi nel Vegetale, secondo gradino dimensionale dove, quanto minor luogo recinge, tanto più dolore "punge a guaio" stimolando guaiti, gemiti. Infatti i vegetali trapiantati nei vasi, dove minore luogo recinge, hanno dolorosamente aggrovigliate le radici alle quali è impedito distendersi, e le piante, costrette in minore spazio in giardini e in campi custoditi dall'uomo, soffrono per lo svellimento, il trapianto la potatura. Nelle libere selve, dove maggiore spazio recinge, il dolore è minore, le piante sono affidate all'Equilibrio Creativo del clima e del luogo dove l'Intelligenza Divina le pose in vita. In questa dimensione vegetale vi è Minosse che veste un corpo animale, in dimensione successiva di quella delle anime che custodisce. Naturalmente si violerebbe la Legge Gerarchica se un essere in corpo Angelico custodisse i vegetali e gli animali. La Camera Kirlian ha permesso di fotografare il pianto dei vegetali attraverso gli sprazzi di colore, la paura all'avvicinarsi del potatore, il grido doloroso durante la potatura e lo stato di conforto nell'approssimarsi dell'innaffiatoio; sono stati fotografati inoltre gli impulsi energetici emanati da una pianta all'altra, da ciò gli scienziati russi e americani hanno dedotto che le piante trasmettono fra loro. Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l'intrata; 6 giudica e manda secondo ch'avvinghia. Minosse ringhia, esamina le colpe e stabilisce le pene secondo gli avvolgimenti della coda intorno al suo corpo. Dico che quando l'anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa; 9 e quel conoscitor de le peccata Quando "l'anima mal nata" nata male, ancora in dimensione inferiore "li vien dinanzi, tutta si confessa", si mostra, cioè nuda di ogni finzione come a confessarsi, poiché nulla sfugge a quel conoscitore del peccato. vede qual loco d'inferno è da essa; cignesi con la coda tante volte 12 quantunque gradi vuol che giù sia messa. Egli vede quale luogo di pena è ad essa necessario e si avvolge con la coda tante volte per quanti gradi crede debba in profondità espiare. Maggiore è il grado di profondità e più tempo impiega la pianta ad uscire alla luce del sole. Sempre dinanzi a lui ne stanno molte; vanno a vicenda ciascuna al giudizio, 15 dicono e odono e poi son giù volte. Dinanzi a Minosse vi son sempre molte anime che a vicenda vanno a giudizio. "dicono e odono" comunicano cioè, coscientemente con Minosse Giustiziere Divino, essendo loro fra l'una e l'altra vita, nel Regno dello Spirito, pienamente coscienti nel discernimento del Bene e del Male. Scelgono esse stesse anime, assieme a Minosse, la via salvifica nell'adatta pena evolutiva. Poi nel proseguimento del ciclo espiativo, "son giù volte", nel profondo della terra. «O tu che vieni al doloroso ospizio», disse Minòs a me quando mi vide, 18 lasciando l'atto di cotanto offizio, «O tu che vieni in questo ricovero doloroso», disse Minosse interrompendo il suo ufficio alla vista di Dante, «guarda com'entri e di cui tu ti fide; non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!» 21 E 'l duca mio a lui: «Perché pur gride? «guarda bene di non riporre con leggerezza la tua fiducia. Non t'inganni l'ampiezza della via che porta a questa dimensione». Virgilio gli rispose: «Perché gridi? Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote 24 ciò che si vuole, e più non dimandare». Non impedire il suo viaggio programmato dall'Alto dove si puote ciò che si vuole e più non domandare». Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto 27 là dove molto pianto mi percuote. Io venni in loco d'ogne luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta, 30 se da contrari venti è combattuto. Ora ricominciano le acute sofferenze, ora sono pervenuto in un luogo privo di ogni luce di bene dove le anime mugghiano senza parole e senza corpo e il loro pianto è come un rumore assordante simile a quello di un mare tempestoso flagellato da venti avversi. La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina; 33 voltando e percotendo li molesta. La bufera infernale che, in un turbine di continua evoluzione, non si arresta mai, trascina gli spiriti con violenta furia e li tormenta con l'impeto delle sue correnti. Quando giungon davanti a la ruina, quivi le strida, il compianto, il lamento; 36 bestemmian quivi la virtù divina. Quando giungono davanti alla rovina di un corpo fisico inferiore nel quale si immettono gli spiriti che vogliono abbreviare il proprio tempo di pena, piangono e stridono e il loro lamento è simile a bestemmia, poiché causato dal loro precedente operare contro la Virtù Divina. Intesi ch'a così fatto tormento enno dannati i peccator carnali, 39 che la ragion sommettono al talento. Io compresi che a tale tormento erano condannati i "peccatori carnali" che la "ragione" l'intelligenza innata nell'uomo che, pertanto, è un dono divino, quindi naturalmente versata al buon vivere altruistico, sottomettono al "talento" che è la voglia delle materiali cose che nulla di spirituale racchiudono. ("PECCATORI CARNALI" sono da intendersi coloro che vivono dei piaceri della materia, coloro che vivono per inebriarsi di ricchezza e di gloria, quell'agglomerato di egoisti trascinati in un'onda di corrente densa di opere di odio e di morte verso l'avidità di possedere la potenza della vita per un godimento egocentrico a danno degli altri). E come li stornei ne portan l'ali nel freddo tempo, a schiera larga e piena, 42 così quel fiato li spiriti mali di qua, di là, di giù, di sù li mena; nulla speranza li conforta mai, 45 non che di posa, ma di minor pena. Come gli storni che volano nel freddo tempo a schiera larga e piena, così quegli spiriti in pena vengono sbattuti dal vento di qua e di là, di su e di giù. La loro sofferenza non li rende capaci del concetto del perdono Divino, perciò nessuna speranza li conforta mai se non quella dell'alleggerimento della loro terribile pena. E come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sé lunga riga, 48 così vid'io venir, traendo guai, E come le gru stridono durante tutto il tempo dei loro voli di emigrazione, disegnando nel cielo una lunga riga, nello stesso modo io vidi avanzare le anime in pena, piangendo, ombre portate da la detta briga; per ch'i' dissi: «Maestro, chi son quelle 51 genti che l'aura nera sì gastiga?» travagliate dalla bufera, e domandai: «Maestro, chi sono quelle genti che la buia onda del male tanto castiga?» «La prima di color di cui novelle tu vuo' saper», mi disse quelli allotta, 54 «fu imperadrice di molte favelle. Virgilio rispose: «La prima di cui tu vuoi notizie è Semiramide, di lei si parlò nel mondo; A vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge, 57 per tòrre il biasmo in che era condotta. ella fu travolta dal vizio a tal punto da dover rendere lecita, per legge, la libidine onde evitare il biasimo dei suoi sudditi. Ell'è Semiramìs, di cui si legge che succedette a Nino e fu sua sposa: 60 tenne la terra che 'l Soldan corregge. Ella succedette a Nino e fu sua sposa e governò la terra d'Egitto, che ora è guidata dal sultano. L'altra è colei che s'ancise amorosa, e ruppe fede al cener di Sicheo; 63 poi è Cleopatràs lussurïosa. L'altra è Didone, regina di Cartagine che si offrì amorosa ad Enea, venendo meno alla memoria del marito Sicheo e che poi abbandonata da Enea si uccise. Poi vi è Cleopatra, famosa regina d'Egitto, "lussuriosa" poiché amante dei piaceri della vita lussuosa. Ella divenne amica di Cesare per poter vivere nella Roma corrotta. Tutti suicidi per amore. Elena vedi, per cui tanto reo tempo si volse, e vedi 'l grande Achille, 66 che con amore al fine combatteo. Ed ecco Elena che fu la causa della lunga e sanguinosa guerra di Troia, ecco Achille che con grande amore combatté. Egli innamorato della figlia di Priamo, Polissena, per amor suo si lasciò uccidere a tradimento. Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille ombre mostrommi e nominommi a dito, 69 ch'amor di nostra vita dipartille. E paris e Tristano e più di mille ombre mi mostrò, "ch'amor di nostra vita" amor mal concepito "dipartille" costrinse ad uccidersi. Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito nomar le donne antiche e ' cavalieri, 72 pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. Queste anime prive del corpo fisico che col suicidio avevano ripudiato, ora disincarnate soffrivano senza posa. Dopo che il mio Maestro così mi parlò di donne antiche e cavalieri, io da gran pietà fui smarrito. I' cominciai: «Poeta, volontieri parlerei a quei due che 'nsieme vanno, 75 e paion sì al vento esser leggeri». Io cominciai: «Poeta, volentieri parlerei con quei due che insieme vanno e paiono andar leggeri, liberi da impedimenti nell'estrinsecazione dei loro profondi sentimenti». Ed elli a me: «Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega 78 per quello amor che i mena, ed ei verranno». Virgilio rispose: «Quando saranno più vicini a noi li pregherai in nome di quell'amor che ancor li tiene insieme e loro verranno». Sì tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce: «O anime affannate, 81 venite a noi parlar, s'altri nol niega!» Quando il vento dell'espiazione li spinse a noi più vicini, io a loro parlai e loro, più degli altri intendere potevano il mio parlare in quanto era nell'equilibrio d'amore che essi espiavano insieme: «O anime tormentate, venite a parlar con noi se qualche Legge Divina non ve lo vieta!» Quali colombe dal disio chiamate con l'ali alzate e ferme al dolce nido 84 vegnon per l'aere, dal voler portate; Come le colombe chiamate dal desiderio del dolce nido s'arrestano con le ali alzate; cotali uscir de la schiera ov'è Dido, a noi venendo per l'aere maligno, 87 sì forte fu l'affettüoso grido. così quelle anime s'arrestarono e uscendo dalla schiera dell'espiazione dove Dio le aveva poste, attraversarono l'aere malefico e si diressero verso di noi, così forte fu l'affettuoso invito. «O animal grazïoso e benigno che visitando vai per l'aere perso 90 noi che tignemmo il mondo di sanguigno, «O essere animato grazioso e buono che visitando vai per l'aere del male noi che di sangue tingemmo il mondo, se fosse amico il re de l'universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, 93 poi c'hai pietà del nostro mal perverso. se fossimo nella grazia di Dio, pregheremmo Lui per la tua pace, poiché tu hai pietà del nostro male. Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, 96 mentre che 'l vento, come fa, ci tace. Noi parleremo con voi di quello che parlar vi piace, mentre il vento dell'espiazione si placa, come ora già fa. Siede la terra dove nata fui su la marina dove 'l Po discende 99 per aver pace co' seguaci sui. La terra che mi dette i natali siede sulla marina dove il Po discende per dar pace a coloro che amano in quel luogo cercar la pace. Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona 102 che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. L'amore, che prende facilmente i cuori gentili, nacque nel cuore di costui dalla bella persona, ("bella persona"si intende: buono, gentile, intelligente, evoluto, bello spiritualmente); quest'uomo, dalla bella persona, mi fu strappato con la morte e il modo crudele di quel delitto ancora mi addolora. Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, 105 che, come vedi, ancor non m'abbandona. "Amor, ch'a nullo amato amar perdona" si riferisce a quell'amore umanamente sconosciuto che, anche se per nulla è ricambiato, perdonare sa l'amore per il quale il suo sentimento non fu corrisposto. Questo sentimento, che sa dare amore senza chiedere amore, conquistò in modo così completo la persona amata che, come vedi, non mi abbandona neanche dopo la morte. Amor condusse noi ad una morte: Caina attende chi a vita ci spense». 108 Queste parole da lor ci fuor porte. Quand'io intesi quell'anime offense, china' il viso e tanto il tenni basso, 111 fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?» L'amore ci portò ad una stessa morte e grave pena attende chi ci spense alla vita. Da queste parole compresi la sofferenza che travagliava quelle anime. Chinai il capo e tanto lo tenni basso che il Maestro mi domandò: «Che pensi?» Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio 114 menò costoro al doloroso passo!» Io gli risposi: «Oh me affranto! quanta dolcezza di amorosi sentimenti menò costoro al doloroso passo!» Poi mi rivolsi a loro e parla' io, e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri 117 a lagrimar mi fanno tristo e pio. Poi mi rivolsi a loro e così parlai: «Francesca, le tue sofferenze mi commuovono sino al pianto. Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri, a che e come concedette Amore 120 che conosceste i dubbiosi disiri?» Ma dimmi: nel tempo dei dolci sospiri come si rivelò il vostro reciproco sentimento d'amore?» E quella a me: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice 123 ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore. Ed ella a me: «Nessun dolore è maggiore del ricordo del tempo felice quando si vive nell'infelicità e questo il tuo dotto Maestro ben lo sa. Ma s'a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto, 126 dirò come colui che piange e dice. Ma se tu hai desiderio di sapere l'origine del nostro amore, io, piangendo, a te parlerò. Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse: 129 soli eravamo e sanza alcun sospetto. Noi leggevamo un giorno per diletto la storia di Lancillotto del Lago, nel punto in cui egli s'innamora della regina Ginevra, moglie di re Artù. Soli eravamo e senza alcun sospetto di ciò che sarebbe in seguito accaduto. (Francesca, figlia di Guido da Polenta, Signore di Ravenna, fu costretta a sposare, per motivi politici, il deforme, zoppo Cianciotto Malatesta, poi, innamoratasi del cognato Paolo, fu trucidata assieme all'amante). Per più fïate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; 132 ma solo un punto fu quel che ci vinse. Francesca continua: più volte quella lettura ci spinse a guardarci negli occhi e ci fece impallidire. Ma solo un punto fu che ci sospinse a rivelare l'un all'altro il nostro reciproco amore. Quando leggemmo il disïato riso esser basciato da cotanto amante, 135 questi, che mai da me non fia diviso, Quando leggemmo che Lancillottto baciava la bocca sorridente di Ginevra, allora costui, che da me mai sarà diviso, la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: 138 quel giorno più non vi leggemmo avante». la bocca mi baciò tutto tremante. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse e da quel giorno smettemmo la lettura». Mentre che l'uno spirto questo disse, l'altro piangëa; sì che di pietade io venni men così com'io morisse. 142 E caddi come corpo morto cade. Mentre uno spirito parlava, l'altro piangeva, così che di pietà io venni meno e parve ch'io morissi. E caddi come corpo morto cade. Paolo e Francesca furono uccisi perché colpevoli di amarsi. Questo episodio di dolcissimo amore tragicamente calpestato è la dimostrazione di quell'errata logica umana che predispone il sì e il no di tutte le cose e che porta gli uomini a vedere il merito e la colpa attraverso le repressioni e le inibizioni causate dalla spessa rete dei propri pregiudizi e preconcetti che modificano e distorgono tutto il bello e il buono della vita.
 
   
francoroiter
francoroiter il 10/09/11 alle 14:48 via WEB
Paradiso CANTO V «S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore di là dal modo che 'n terra si vede, sì che del viso tuo vinco il valore, 3 non ti maravigliar; ché ciò procede da perfetto veder, che, come apprende, così nel bene appreso move il piede. 6 Io veggio ben sì come già resplende ne l'intelletto tuo l'etterna luce, che, vista, sola e sempre amore accende; 9 e s'altra cosa vostro amor seduce, non è se non di quella alcun vestigio, mal conosciuto, che quivi traluce. 12 Tu vuo' saper se con altro servigio, per manco voto, si può render tanto che l'anima sicuri di letigio». 15 Sì cominciò Beatrice questo canto; e sì com'uom che suo parlar non spezza, continuò così 'l processo santo: 18 «Lo maggior don che Dio per sua larghezza fesse creando, e a la sua bontate più conformato, e quel ch'e' più apprezza, 21 fu de la volontà la libertate; di che le creature intelligenti, e tutte e sole, fuoro e son dotate. 24 Or ti parrà, se tu quinci argomenti, l'alto valor del voto, s'è sì fatto che Dio consenta quando tu consenti; 27 ché, nel fermar tra Dio e l'uomo il patto, vittima fassi di questo tesoro, tal quale io dico; e fassi col suo atto. 30 Dunque che render puossi per ristoro? Se credi bene usar quel c'hai offerto, di maltolletto vuo' far buon lavoro. 33 Tu se' omai del maggior punto certo; ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa, che par contra lo ver ch'i' t'ho scoverto, 36 convienti ancor sedere un poco a mensa, però che 'l cibo rigido c'hai preso, richiede ancora aiuto a tua dispensa. 39 Apri la mente a quel ch'io ti paleso e fermalvi entro; ché non fa scienza, sanza lo ritenere, avere inteso. 42 Due cose si convegnono a l'essenza di questo sacrificio: l'una è quella di che si fa; l'altr'è la convenenza. 45 Quest'ultima già mai non si cancella se non servata; e intorno di lei sì preciso di sopra si favella: 48 però necessitato fu a li Ebrei pur l'offerere, ancor ch'alcuna offerta sì permutasse, come saver dei. 51 L'altra, che per materia t'è aperta, puote ben esser tal, che non si falla se con altra materia si converta. 54 Ma non trasmuti carco a la sua spalla per suo arbitrio alcun, sanza la volta e de la chiave bianca e de la gialla; 57 e ogne permutanza credi stolta, se la cosa dimessa in la sorpresa come 'l quattro nel sei non è raccolta. 60 Però qualunque cosa tanto pesa per suo valor che tragga ogne bilancia, sodisfar non si può con altra spesa. 63 Non prendan li mortali il voto a ciancia; siate fedeli, e a ciò far non bieci, come Ieptè a la sua prima mancia; 66 cui più si convenia dicer 'Mal feci', che, servando, far peggio; e così stolto ritrovar puoi il gran duca de' Greci, 69 onde pianse Efigènia il suo bel volto, e fé pianger di sé i folli e i savi ch'udir parlar di così fatto cólto. 72 Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: non siate come penna ad ogne vento, e non crediate ch'ogne acqua vi lavi. 75 Avete il novo e 'l vecchio Testamento, e 'l pastor de la Chiesa che vi guida; questo vi basti a vostro salvamento. 78 Se mala cupidigia altro vi grida, uomini siate, e non pecore matte, sì che 'l Giudeo di voi tra voi non rida! 81 Non fate com'agnel che lascia il latte de la sua madre, e semplice e lascivo seco medesmo a suo piacer combatte!». 84 Così Beatrice a me com'io scrivo; poi si rivolse tutta disiante a quella parte ove 'l mondo è più vivo. 87 Lo suo tacere e 'l trasmutar sembiante puoser silenzio al mio cupido ingegno, che già nuove questioni avea davante; 90 e sì come saetta che nel segno percuote pria che sia la corda queta, così corremmo nel secondo regno. 93 Quivi la donna mia vid'io sì lieta, come nel lume di quel ciel si mise, che più lucente se ne fé 'l pianeta. 96 E se la stella si cambiò e rise, qual mi fec'io che pur da mia natura trasmutabile son per tutte guise! 99 Come 'n peschiera ch'è tranquilla e pura traggonsi i pesci a ciò che vien di fori per modo che lo stimin lor pastura, 102 sì vid'io ben più di mille splendori trarsi ver' noi, e in ciascun s'udìa: «Ecco chi crescerà li nostri amori». 105 E sì come ciascuno a noi venìa, vedeasi l'ombra piena di letizia nel folgór chiaro che di lei uscia. 108 Pensa, lettor, se quel che qui s'inizia non procedesse, come tu avresti di più savere angosciosa carizia; 111 e per te vederai come da questi m'era in disio d'udir lor condizioni, sì come a li occhi mi fur manifesti. 114 «O bene nato a cui veder li troni del triunfo etternal concede grazia prima che la milizia s'abbandoni, 117 del lume che per tutto il ciel si spazia noi semo accesi; e però, se disii di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia». 120 Così da un di quelli spirti pii detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì sicuramente, e credi come a dii». 123 «Io veggio ben sì come tu t'annidi nel proprio lume, e che de li occhi il traggi, perch'e' corusca sì come tu ridi; 126 ma non so chi tu se', né perché aggi, anima degna, il grado de la spera che si vela a' mortai con altrui raggi». 129 Questo diss'io diritto alla lumera che pria m'avea parlato; ond'ella fessi lucente più assai di quel ch'ell'era. 132 Sì come il sol che si cela elli stessi per troppa luce, come 'l caldo ha róse le temperanze d'i vapori spessi, 135 per più letizia sì mi si nascose dentro al suo raggio la figura santa; e così chiusa chiusa mi rispuose 138 nel modo che 'l seguente canto canta.
 
     
paoloroiter
paoloroiter il 03/10/11 alle 05:48 via WEB
La Commedia di Dante Alighieri alla luce della Filosofia Cosmica in chiave parapsicologica PURGATORIO - Canto XXXIII nel libero commento di Giovanna Viva Paradiso terrestre - salmodia - spiegazioni di Beatrice su ciò che Dante ha visto e sua profezia - Dante si purifica bevendo l'acqua del fiume Eunoè - Dante è «puro e disposto a salire alle stelle» 'Deus, venerunt gentes', alternando or tre or quattro dolce salmodia, 3 le donne incominciaro, e lagrimando; 'Deus, venerunt gentes', alternando or nelle tre donne (simbolo della Triade Superiore Extra-terrestre) ed or nelle quattro (simbolo del Quaternario Inferiore terrestre, come dal Cielo alla Terra), lacrimando si spandeva intorno la dolce salmodia; e Bëatrice sospirosa e pia, quelle ascoltava sì fatta, che poco 6 più a la croce si cambiò Maria. e Beatrice sospirosa e pia, ascoltava il canto con tanto dolore, che pareva la Madre di Gesù sotto la croce. Ma poi che l'altre vergini dier loco a lei di dir, levata dritta in pè, 9 rispuose, colorata come foco: Ma poi le altre donne le dettero luogo di rispondere al canto, ritta in piedi, rispose, colorata come il fuoco (dalle "sette fiamme della Vita", che le sette "Coscienze" reggevano e che in lei si rispecchiavano): 'Modicum, et non videbitis me; et iterum, sorelle mie dilette, 12 modicum, et vos videbitis me'. 'Ancora un po' e non mi vedrete, sorelle mie dilette, ancora un po' e mi vedrete'. Ripetendo le parole che Gesù disse ai discepoli. Poi le si mise innanzi tutte e sette, e dopo sé, solo accennando, mosse 15 me e la donna e 'l savio che ristette. Poi fattasi precedere dalle sette ninfe, e accennando a noi di seguirla, continuò la via insieme a me, Metelda e Stazio (che rimase dopo la partenza di Virgilio). Così sen giva; e non credo che fosse lo decimo suo passo in terra posto, 18 quando con li occhi li occhi mi percosse; Così proseguiva; e non credo che avesse fatto dieci passi, quando mi folgorò con lo sguardo; Sul possibile significato allegorico di questi dieci o nove passi di Beatrice, sono state fatte molte ipotesi; e alcuni vi hanno visto un'indicazione cronologica, in rapporto con le parole profetiche dette prima da Beatrice: "Ancora un po' e non mi vedrete, ancora un po' e mi rivedrete", potrebbe quindi riferirsi al fatto che non sarebbero trascorsi dieci secoli prima della seconda venuta di Gesù in Terra, prima, cioè, che la Luce di Verità folgorasse la terrestre cecità mentale. e con tranquillo aspetto «Vien più tosto», mi disse, «tanto che, s'io parlo teco, 21 ad ascoltarmi tu sie ben disposto». e con tranquillo aspetto «Vienimi più vicino», mi disse, «tanto che, se io ti parlo, tu sia ben disposto ad ascoltarmi». Sì com'io fui, com'io dovëa, seco, dissemi: «Frate, perché non t'attenti 24 a domandarmi omai venendo meco?» Così come io fui, vicino a lei, mi disse: «Fratello, perché non mi domandi quello che vuoi sapere, or che mi sei vicino?» Come a color che troppo reverenti dinanzi a suo maggior parlando sono, 27 che non traggon la voce viva ai denti, Come a coloro che, troppo reverenti dinanzi ai superiori, non riescono a trarre la voce per pronunziar parola, avvenne a me, che sanza intero suono incominciai: «Madonna, mia bisogna 30 voi conoscete, e ciò ch'ad essa è buono». capitò a me, che sommessamente incominciai: «Madonna, mia voi già sapete, ciò che è necessario a me conoscere». Ed ella a me: «Da tema e da vergogna voglio che tu omai ti disviluppe, 33 sì che non parli più com'om che sogna. E lei a me: «Da paura o da vergogna io voglio che ti liberi, così che più non parli come uomo che sogna. Sappi che 'l vaso che 'l serpente ruppe fu e non è; ma chi n'ha colpa, creda 36 che vendetta di Dio non teme suppe. Sappi che il "vaso" che il serpente ruppe (il contenitore del Celeste Messaggio, distrutto dal male terrestre), fu, ed ora non è più; ma coloro che distrussero il Divino Insegnamento (tramutando l'Amore in Odio ed il Perdono in Vendetta), siano pur certi che non sfuggiranno alla Suprema Giustizia. Nei Vangeli di Luca, Matteo, Giovanni: "Il fratello darà alla morte il fratello e il padre, il figlio; il mondo sarà sconvolto dal terrore". "Così a precipizio sarà gettata Babilonia, la grande città, e non sarà trovata mai più. (Apocalisse 18:21). Chi ha colpa sappia che la Giustizia Divina è irremovibile. "Chi n'ha colpa" è il gigantesco potere ecclesiastico, che con lei delinque; la mastodontica struttura, dedica agli affari e alla politica, anzicché al Messaggio Apostolico, affidatole dal Cristo. Non sarà tutto tempo sanza reda l'aguglia che lasciò le penne al carro, 39 per che divenne mostro e poscia preda; Non rimarrà tanto tempo senza erede l'aquila che lasciò le sue penne nel carro, per cui si trasformò in mostro e poi divenne preda; Lo strumento della loro perdizione sarà lo stesso che li danneggerà; come rapinarono, saranno rapinati, similmente all'aquila, da rapinatori, diverranno preda. ch'io veggio certamente, e però il narro, a darne tempo già stelle propinque, 42 secure d'ogn'intoppo e d'ogni sbarro, io vedo con certezza tutto questo, e perciò lo preannunzio, si approssima un tempo, al mutar delle stelle già propinque (nell'entrata del pianeta Terra alla costellazione dell'Acquario), libere da ogni contrasto o intoppo, nel quale un cinquecento diece e cinque, messo di Dio, anciderà la fuia 45 con quel gigante che con lei delinque. nel quale un cinquecento diece e cinque, stabilito da Dio (Divino Equilibrio), ucciderà la furia, con quel gigante che con lei delinque. un cinquecento diece e cinque - v. 43 È questa la Cristica profezia del tempo dei "MILLE E NON PIU' MILLE": mille anni, cioè, e non più altri mille, tempo del 2000, che segnerà la fine apocalittica di questa diabolica Era, il momento del Veltro che l'Equilibrio Divino invierà sulla Terra quale elemento purificatore. In riferimento a questo tempo del risveglio, Luca scrisse: "Quando vedrete Gerusalemme circondata da armate... ...Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli smarriti a causa del fragore del mare e dei flutti; gli uomini morranno di spavento e nell'attesa di ciò che minaccerà la terra, perché le potenze dei cieli saranno squassate. Allora si vedrà il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria." (Luca 21:21-25-27). Ed ecco la spiegazione, che è possibile, solo ora, all'uomo del XX° secolo: "IL SOLE SI OSCURERÀ": Una gigantesca astronave extraterrestre sarà posta fra il Sole e la Terra. L'astronave, corredata da apparecchiature scientifiche molto avanzate, devierà l'energia solare, convogliandola in direzione opposta alla Terra, la quale, privata dall'energia del suo generatore Sole, non potrà disintegrarsi, così come non potrebbe scoppiare una lampada elettrica che fosse privata dal suo generatore di corrente. La Terra rimarrà immobile negli spazi del Cosmo, per tre giorni e tre notti: (tre albe e tre tramonti - "tre soli", come profetizza Ciacco). In quei giorni non funzioneranno né ordigni di guerra, né motori, (nulla il cui funzionamento sia legato ad energia. (Nessuno morirà, "batteranno solo i vostri cuori" - così è scritto). "E LE STELLE CADRANNO": Oggi noi sappiamo che le stelle non sono fiammelle e che una sola stella che cadesse distruggerebbe la Terra, ma la gente antica non avrebbe compreso la seguente spiegazione scientifica: fra gli elementi sconvolti dalla nostra Scienza inconsulta, elio e idrogeno, fondendosi in pezzi di materia incandescente, attratti dalla forza di gravità terrestre, si riverseranno sulla Terra, la cui forza di attrazione, sprigionandosi dalle fenditure che si apriranno sul pianeta, aumenterà il suo potenziale energetico. Sarà questa la profetizzata "pioggia di fuoco". Vedi anche la IIa Epistola di Pietro: "...i cieli incendiati si dissolveranno e gli elementi si fonderanno nel calore ardente!" (3:12). "LE POTENZE DEI CIELI SARANNO SCROLLATE": La Terra sarà scrollata dall'Equilibrio del Cosmo, ovvero dalla Energia Vitalizzante, che sarà, comunque, sorretta dagli Extraterrestri. Sarà scrollata la Terra, così come si scrolla un tappeto, per liberarlo dalle impurità e dare il respiro al tessuto. "Allora gli uomini vedranno il Figliuol dell'uomo venire sulle "NUVOLE" con gran potenza e gran gloria": Tutti i popoli del passato considerarono "DEI" gli Extraterrestri, perché discesi dall'alto. l popoli Sumeri, Caldei, Maia, Egizi, a causa della loro scarsa conoscenza scientifica, definivano i mezzi spaziali: "NUVOLE - TURBI - CARRI ALATI - CARRI DI FUOCO. - Nel Medio Evo: "CLIPEUS ARDENS" e ancora dopo, "GLOBI". Oggi, da noi, "DISCHI VOLANTI". I nostri Fratelli Extraterrestri sono venuti in altre babeliche epoche remote per aiutare l'umanità della Terra, come nei nostri giorni. E forse che la mia narrazion buia, qual Temi e Sfinge, men ti persuade, 48 perch'a lor modo lo 'ntelletto attuia; E forse questa mia narrazione dall'oscuro significato, come Temide (nei suoi oracoli) e Sfinge (nei suoi enigmi), offuscherà il tuo intelletto; ma tosto fier li fatti le Naiade, che solveranno questo enigma forte 51 sanza danno di pecore o di biade. ma presto ti spiegheranno i fatti le Naiàdi (ninfe dei boschi), che risolveranno questo difficile enigma, quando vedranno le verdi piante e l'acqua pura delle sorgenti avvelenate dall'inquinamento mortale, il quale non causerà danno soltanto a pecore e biade (come al tempo di Edipo), ma danno peggiore all'intero pianeta. Tu nota; e sì come da me son porte, così queste parole segna a' vivi 54 del viver ch'è un correre a la morte. Tu annota le mie parole, come io te le porgo e trasmettile agli uomini (colpevoli di autodistruzione), la cui vita (a causa della loro "Scienza senza Coscienza") è un correre verso la morte. E aggi a mente, quando tu le scrivi, di non celar qual hai vista la pianta 57 ch'è or due volte dirubata quivi. E ricorda, quando le scrivi, di non tacere come hai visto la pianta, derubata per ben due volte (all'inizio e alla "Fine dei Tempi"). Ancora oggi non capiamo che Spirito, Coscienza, Scienza e Religione, fanno parte dell'Unica Fonte di Vita che è Dio, Architetto ed Equilibrio di tutte le cose create. Dante accenna, dunque, al tempo presente. Qualunque ruba quella o quella schianta, con bestemmia di fatto offende a Dio, 60 che solo a l'uso suo la creò santa. Chiunque ruba la pianta e chi la schianta, con siffatta bestemmia offende Dio, che la creò inviolabile, a suo uso esclusivo. La conquista dello Spazio L'uomo tende ad operare in una metodologia che si adopera più per la morte che per la vita, ed oggi trasforma la "conquista" dello spazio in una conquista di morte e distruzione, mentre dallo spazio avrebbe potuto ricavare enormi benefici per un progresso sano e salutare. I presupposti per una conoscenza dello spazio animata da alti valori morali, sociali, scientifici dello spirito umano sono venuti a mancare, ed ecco che, come molti affermano, "Lo spazio ha chiuso le porte ai terrestri". Messaggi sono stati ricevuti da scienziati e capi di governo della Terra, tramite coloro che affermano, di essere in contatto con Extraterrestri: "Saremmo costretti a bloccare ogni vostra esplorazione nello spazio che recasse in sé le premesse catastrofiche per il vostro pianeta". Per morder quella, in pena e in disio cinquemilia anni e più l'anima prima 63 bramò colui che 'l morso in sé punio. Per aver morso quella pianta, Adamo, ovvero la prima umanità ("l'anima prima"), in pena e in desiderio, bramò per più di cinquemila anni. Dorme lo 'ngegno tuo, se non estima per singular cagione esser eccelsa 66 lei tanto e sì travolta ne la cima. Dorme l'ingegno tuo, restando torbido, se non comprende il motivo per cui la pianta è così alta e dilatata in alto. Essa è stravolta all'inverso, così come la Scienza fu, dagli umani, stravolta nell'uso. Essa fu apportatrice di morte, anziché di vita e la sua cima, costituita da energia mortale, viene riversata nell'Universo, contro la pace e la purezza del Cosmo, appartenente alla vita dei pianeti migliori; perciò, la sua cima si protende riversa; così anche il suo male, per la Cosmica Legge Divina di "Causa ed Effetto", sarà riversato sopra la Terra, che tali impulsi distonici e mortali creò ed emanò. E se stati non fossero acqua d'Elsa li pensier vani intorno a la tua mente, 69 e 'l piacer loro un Piramo a la gelsa, Se i vani pensieri non avessero incrostato la tua mente, come l'acqua del fiume Elsa (che incrosta con uno strato calcareo gli oggetti che vi sono immersi), e il piacere (che in essi trovavi) non l'avesse macchiata come il sangue di Priamo macchiò il frutto del gelso presso il quale si uccise, per tante circostanze solamente la giustizia di Dio, ne l'interdetto, 72 conosceresti a l'arbor moralmente. anche solo per queste circostanze comprenderesti lo svolgersi della Giustizia Divina, nella priobizione, nel significato morale dell'albero. Ma perch'io veggio te ne lo 'ntelletto fatto di pietra e, impetrato, tinto, 75 sì che t'abbaglia il lume del mio detto, Ma, poiché io vedo te divenuto di pietra nell'intelletto e, oltre che pietrificato, anche oscurato ("tinto"), così che la Luce di verità del mio discorso ti abbaglia, voglio anco, e se non scritto, almen dipinto, che 'l te ne porti dentro a te per quello 78 che si reca il bordon di palma cinto». voglio anche, se non scritto, almeno dipinto, che porti dentro di te, come quello che si porta il bastone cinto di palma benedetta». Farà, cioè, come il pellegrino che, al compimento felice del suo viaggio, cinse di rami di palma - simbolo di vittoria - il bastone che lo accompagnò. E io: «Sì come cera da suggello, che la figura impressa non trasmuta, 81 segnato è or da voi lo mio cervello. Ed io: «Come dal suggello resta impressa la cera, che non trasmuta la figura impressa, così il mio cervello è segnato ora dalla vostra parola. Ma perché tanto sovra mia veduta vostra parola disïata vola, 84 che più la perde quanto più s'aiuta?» Ma perché la vostra parola, da me tanto desiderata, vola così al di sopra delle mie capacità intellettive, tanto che più la perdo quanto più mi sforzo di afferrarla?» «Perché conoschi», disse, «quella scuola c'hai seguitata, e veggi sua dottrina 87 come può seguitar la mia parola; «Affinché tu conosca», rispose, «quella scuola che hai già seguita, e veda bene come la realtà della sua dottrina possa seguire la mia parola; e veggi vostra via da la divina distar cotanto, quanto si discorda 90 da terra il ciel che più alto festina». e guarda come è lontana la vostra conoscenza umana da quella divina, dista quanto è lontano dalla Terra il Cielo, che più alto sconfina». Ond'io rispuosi lei: «Non mi ricorda ch'i' stranïasse me già mai da voi, 93 né honne coscïenza che rimorda». Per cui io le risposi: «Non ricordo di essermi allontanato mai da voi, né di tale colpa la coscienza mi rimorde». «E se tu ricordar non te ne puoi», sorridendo rispuose, «or ti rammenta 96 come bevesti di Letè ancoi; «E se tu ricordar non puoi», rispose sorridendo, «ricorda ora con quanto animo bevesti l'acqua del Leté; Il ricordo delle vite passate facilita la Conoscenza del Divino. Evidentemente Dante viene immerso nell'acqua del Leté, che è nel contempo simbolo di espiazione e simbolo di dimenticanza di vite passate. La dimenticanza è necessaria a coloro che, essendo ancora costretti alla pesante Legge dell'espiazione, non sono spiritualmente ancora maturi. La immaturità comporta la dimenticanza, poiché l'anima, libera dal ricordo, dovrà necessariamente ricadere negli stessi errori delle passate vite, secondo quanto l'Equilibrio richiede. Nessuno ha il merito o la colpa del proprio operato, che scaturisce soltanto da minore o maggiore stato evolutivo raggiunto. Ognuno perverrà ai ricordi del passato, quando giungerà il momento. È facile immaginare come reagirebbe un uomo immaturo, qualora riconoscesse un altro che, in precedenti vite, lo avesse ucciso. e se dal fummo foco s'argomenta, cotesta oblivïon chiaro conchiude 99 colpa ne la tua voglia altrove attenta. e se dalla vista del fumo si deduce la presenza del fuoco, questa tua dimenticanza chiaramente dimostra che c'era una colpa, nella tua volontà, intenta ad altro. Veramente oramai saranno nude le mie parole, quanto converrassi 102 quelle scovrire a la tua vista rude». Veramente le mie parole saranno chiare d'ora in poi, quando sarà necessario renderle accessibili al tuo rude intelletto». E più corusco e con più lenti passi teneva il sole il cerchio di merigge, 105 che qua e là, come li aspetti, fassi, E più rilucente e con più lento andare teneva il sole il cerchio del meriggio e pareva volesse trattenere il suo corso, per restar fermo nel centro della volta celeste, Come Dante afferma in "Convivio", la vita è fatta ad immagine d'arco. E nel flusso e riflusso del perfetto collegamento della Vita nel Tutto, il sole riceve i deleteri influssi della Dimensione umana. Così oggi, per l'inquinamento, esso emana energia distonica, la quale, dalla Terra soprattutto, per via della Divina Legge Cosmica di "Causa-Effetto", viene inesorabilmente assorbita di rimando. (L'albero della Scienza, con la sua chioma riversa, rimanda la velenosa energia al suo punto di partenza). quando s'affisser, sì come s'affigge chi va dinanzi a gente per iscorta 108 se trova novitate o sue vestigge, così si fermarono, come fa la scorta, quando incontra qualcosa di nuovo o vestigia di novìtà, le sette donne al fin d'un'ombra smorta, qual sotto foglie verdi e rami nigri 111 sovra suoi freddi rivi l'alpe porta. le sette donne (che simboleggiavano la Vita, "il Tutto della Creazione", e che pertanto precedevano il carro) giunte ai limiti dell'ombra smorta (della umana cattiveria che respingeva il Celeste Messaggio d'Amore), come quell'ombra che le Alpi distendono sotto i rami neri e le verdi foglie, lungo i freddi fiumi. Dinanzi ad esse Ëufratès e Tigri veder mi parve uscir d'una fontana, 114 e, quasi amici, dipartirsi pigri. Dinanzi alle sette ninfe (che precedevano il Carro, con le sette fiamme di vita), mi parve vedere usicre da una fontana l'Eufrate e il Tigri, e, quasi fossero due amici, andavano lenti per il dispiacere di doversi dividere, Come dalla Genesi, i due fiumi erano, nel tempo antico, considerati sacri. L'Eufrate segnava i confini della Terra Promessa, mentre il Tigri, con la sua abbondanza di acqua, che si diceva proveniente dalla costellazione del Tauro e che discendeva dalle sorgenti del Tauro, simboleggiava la Sapienza di Dio. «O luce, o gloria de la gente umana, che acqua è questa che qui si dispiega 117 da un principio e sé da sé lontana?» «O luce, o gloria delle genti umane, che acqua è questa che qui si distende, da dove nasce, vien da lontano?» Per cotal priego detto mi fu: «Priega Matelda che 'l ti dica». E qui rispuose, 120 come fa chi da colpa si dislega, A tale domanda mi fu risposto: «Prega Matelda che te lo dica». E qui rispose, come a discolparsi, la bella donna: «Questo e altre cose dette li son per me; e son sicura 123 che l'acqua di Letè non gliel nascose». la bella donna (Metelda): «Questo e altre cose gli ho dette; e sono sicura che l'acqua del Leté non le ha cancellate dalla sua mente». E Bëatrice: «Forse maggior cura, che spesse volte la memoria priva, 126 fatt'ha la mente sua ne li occhi oscura. E Beatrice: «Forse se n'è dimenticato, avendo avuto maggior cura, per altre cose che ha vedute e udite. Ma vedi Eünoè che là diriva: menalo ad esso, e come tu se' usa, 129 la tramortita sua virtù ravviva». Ma vedi l'Eunoé che scorre laggiù: menalo ad esso, come tu usi fare con gli altri, affinché la sua tramortita forza prenda vigore». Come anima gentil, che non fa scusa, ma fa sua voglia de la voglia altrui 132 tosto che è per segno fuor dischiusa; Matelda (Angelo Custode dell'Umanità), anima gentile che fa suo il desiderio altui, obbedì subito al cenno di Beatrice; così, poi che da essa preso fui, la bella donna mossesi, e a Stazio 135 donnescamente disse: «Vien con lui». così, dopo che fui preso da lei, la bella donna invitò con grazia anche Stazio: «Vieni con lui». S'io avessi, lettor, più lungo spazio da scrivere, i' pur cantere' in parte 138 lo dolce ber che mai non m'avrìa sazio; Se io avessi, lettore, tempo e spazio da scrivere, tenterei di cantare almeno in parte la dolcezza che provai nel bere quell'acqua di cui mai sarei stato sazio; ma perché piene son tutte le carte ordite a questa cantica seconda, 141 non mi lascia più ir lo fren de l'arte. ma le carte, destinate alla seconda cantica del Purgatorio, sono già tutte piene e il freno dell'Arte non mi lascia più continuare. Io ritornai da la santissima onda rifatto sì come piante novelle rinnovellate di novella fronda, 145 puro e disposto a salire a le stelle. lo ritornai dalla "Santa Onda" rifatto come le piante novelle rinnovellate da novella fronda, purificato e pronto a salire al cielo. Così Dante volerà alle stelle.
 
     
paoloroiter
paoloroiter il 03/10/11 alle 05:56 via WEB
Canto XXXIII mercoledì 13 aprile Cielo X: Empireo, rosa dei Beati, spiriti trionfanti Dante, s. Bernardo, Maria Vergine Preghiera di s. Bernardo alla Vergine, perché interceda per Dante presso Dio; Dante penetra con lo sguardo nella luce di Dio, finchè le forze dell'intelletto gli vengono meno. L'anima di Dante si placa nella perfetta beatitudine e si unisce all'armonia universale di Dio. Comincia il canto trigesimoterzo del Paradiso. Nel quale discrive l'autore l'orazion fatta da san Bernardo, e come con lo sguardo penetrasse alla divina essenzia; e fa fine. Qui finisce la terza e ultima parte della Cantica, overo Comedia, di Dante Alighieri, chiamata Paradiso. «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'etterno consiglio, tu se' colei che l'umana natura nobilitasti sì, che 'l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l'amore, per lo cui caldo ne l'etterna pace così è germinato questo fiore. Qui se' a noi meridiana face di caritate, e giuso, intra ' mortali, se' di speranza fontana vivace. Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre sua disianza vuol volar sanz'ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontate. Or questi, che da l'infima lacuna de l'universo infin qui ha vedute le vite spiritali ad una ad una, supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi più alto verso l'ultima salute. E io, che mai per mio veder non arsi più ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi ti porgo, e priego che non sieno scarsi, perché tu ogne nube li disleghi di sua mortalità co' prieghi tuoi, sì che 'l sommo piacer li si dispieghi. Ancor ti priego, regina, che puoi ciò che tu vuoli, che conservi sani, dopo tanto veder, li affetti suoi. Vinca tua guardia i movimenti umani: vedi Beatrice con quanti beati per li miei prieghi ti chiudon le mani!». Li occhi da Dio diletti e venerati, fissi ne l'orator, ne dimostraro quanto i devoti prieghi le son grati; indi a l'etterno lume s'addrizzaro, nel qual non si dee creder che s'invii per creatura l'occhio tanto chiaro. E io ch'al fine di tutt'i disii appropinquava, sì com'io dovea, l'ardor del desiderio in me finii. Bernardo m'accennava, e sorridea, perch'io guardassi suso; ma io era già per me stesso tal qual ei volea: ché la mia vista, venendo sincera, e più e più intrava per lo raggio de l'alta luce che da sé è vera. Da quinci innanzi il mio veder fu maggio che 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio. Qual è colui che sognando vede, che dopo 'l sogno la passione impressa rimane, e l'altro a la mente non riede, cotal son io, ché quasi tutta cessa mia visione, e ancor mi distilla nel core il dolce che nacque da essa. Così la neve al sol si disigilla; così al vento ne le foglie levi si perdea la sentenza di Sibilla. O somma luce che tanto ti levi da' concetti mortali, a la mia mente ripresta un poco di quel che parevi, e fa la lingua mia tanto possente, ch'una favilla sol de la tua gloria possa lasciare a la futura gente; ché, per tornare alquanto a mia memoria e per sonare un poco in questi versi, più si conceperà di tua vittoria. Io credo, per l'acume ch'io soffersi del vivo raggio, ch'i' sarei smarrito, se li occhi miei da lui fossero aversi. E' mi ricorda ch'io fui più ardito per questo a sostener, tanto ch'i' giunsi l'aspetto mio col valore infinito. Oh abbondante grazia ond'io presunsi ficcar lo viso per la luce etterna, tanto che la veduta vi consunsi! Nel suo profondo vidi che s'interna legato con amore in un volume, ciò che per l'universo si squaderna: sustanze e accidenti e lor costume, quasi conflati insieme, per tal modo che ciò ch'i' dico è un semplice lume. La forma universal di questo nodo credo ch'i' vidi, perché più di largo, dicendo questo, mi sento ch'i' godo. Un punto solo m'è maggior letargo che venticinque secoli a la 'mpresa, che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo. Così la mente mia, tutta sospesa, mirava fissa, immobile e attenta, e sempre di mirar faceasi accesa. A quella luce cotal si diventa, che volgersi da lei per altro aspetto è impossibil che mai si consenta; però che 'l ben, ch'è del volere obietto, tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella è defettivo ciò ch'è lì perfetto. Omai sarà più corta mia favella, pur a quel ch'io ricordo, che d'un fante che bagni ancor la lingua a la mammella. Non perché più ch'un semplice sembiante fosse nel vivo lume ch'io mirava, che tal è sempre qual s'era davante; ma per la vista che s'avvalorava in me guardando, una sola parvenza, mutandom'io, a me si travagliava. Ne la profonda e chiara sussistenza de l'alto lume parvermi tre giri di tre colori e d'una contenenza; e l'un da l'altro come iri da iri parea reflesso, e 'l terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri. Oh quanto è corto il dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel ch'i' vidi, è tanto, che non basta a dicer 'poco'. O luce etterna che sola in te sidi, sola t'intendi, e da te intelletta e intendente te ami e arridi! Quella circulazion che sì concetta pareva in te come lume reflesso, da li occhi miei alquanto circunspetta, dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige: per che 'l mio viso in lei tutto era messo. Qual è 'l geomètra che tutto s'affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond'elli indige, tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convenne l'imago al cerchio e come vi s'indova; ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne. A l'alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e 'l velle, sì come rota ch'igualmente è mossa, l'amor che move il sole e l'altre stelle.
 
paoloroiter
paoloroiter il 05/10/11 alle 17:50 via WEB
Canto II del Purgatorio. Dante e Virgilio sono ancora sulla spiaggia limitrofa il monte del Purgatorio, quando intravedono una navicella, sospinta da un angelo di un biancore abbagliante. All'interno dell'imbarcazione si assiepano un centinaio di anime; tutte insieme cantano il salmo centoquattordici del Salterio, "In exitu Isräel de Aegypto". Non appena la barca approda alla riva, le anime scendono, dopo di ché la navicella si allontana veloce. È giorno, il sole splende. Le anime chiedono ai due poeti la strada per il Purgatorio. Virgilio risponde loro che essi pure sono pellegrini inesperti del luogo. Quando le anime ravvisano in Dante la presenza di uomo ancora vivo, si sgomentano. Nondimeno, per curiosità, si avvicinano, dimenticando lo scopo per cui sono giunte fin qui, quello cioè di emendare i propri peccati. Una delle anime abbraccia Dante, inducendolo a fare altrettanto. È così che il poeta si accorge purtroppo di abbracciare il proprio petto, mancando le anime di consistenza corporea. Dante riconosce tuttavia lo spirito che lo ha avvicinato. Si tratta del musico Casella. Di lui possediamo scarsi riferimenti storici: era amico di Dante e probabilmente musicava testi dottrinali; morì poco prima della fine del Duecento. Dante apprende da lui che le anime assegnate al Purgatorio si raccolgono alla foce del Tevere, avvalorando una leggenda nota nel Medioevo. "Amor che ne la mente mi ragiona" canta soavemente Casella, tanto che Dante avverte dentro di sé una intensa dolcezza. Il testo appartiene allo stesso poeta fiorentino ed è tratto dal Convivio. A questo punto, a interrompere l'assembramento di anime, interviene Catone, che le rimprovera e le sollecita a riprendere il loro cammino. A guisa di colombe impaurite, i pellegrini si allontanano lesti. Probabilmente il senso di questo secondo canto è da ravvisare nell'arricchimento dell'animo e della coscienza del poeta, che, pur amando la bellezza e il piacere terreni dell'Arte (simboleggiati dal canto di Casella che musica un suo stesso verso), scopre che la rettitudine, la salvezza e l'amore di Dio sono più importanti. Si stabilisce una sorta di nuova gerarchia di valori. Ancora una volta il paesaggio e il clima del Purgatorio divergono radicalmente dai corrispettivi dell'Inferno. Qui la dolcezza, il tepore e la luce ciclica e modulata del giorno, con le sue albe e i suoi tramonti costituiscono fenomeni sconosciuti alle desolate e impervie lande infernali.
 
sweet.karalis
sweet.karalis il 05/10/11 alle 17:55 via WEB
Non ho capito......che c'entra Dante con il mio blog?
 
 
paoloroiter
paoloroiter il 07/10/11 alle 17:43 via WEB
TU HAI PRESO UN PEZZO DEELA DIVINA COMMEDIA DEL V° CANTO DELL'INFERNO PAOLO E FRANCESCA.
 
   
sweet.karalis
sweet.karalis il 07/10/11 alle 22:35 via WEB
Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona.
 
paoloroiter
paoloroiter il 07/10/11 alle 17:44 via WEB
TI AUGURO UN BUON E BELLISSISMO FINE SETTMANA. BACI PAOLO ROITER DA MESTRE
 
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UN CALOROSO RINGRAZIAMENTO

ALLA MIA AMICA Jo776

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Pensieri.Matti

x questo premio

 

 

Un gradito regalo

da

Pensieri.Matti

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TANTI AUGURI BACI
Inviato da: gattoselavatico
il 18/06/2019 alle 19:17
 
TANTI AUGURI BACI
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il 18/06/2018 alle 19:43
 
Ciao amica ogni tanto è bello sentirsi , anche a me piace...
Inviato da: marziabel
il 22/09/2012 alle 00:58
 
KISSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS, PAOLO ROITER
Inviato da: francoroiter
il 19/09/2012 alle 18:35
 
BEELISSIMA FRASE DEL V° CANTO , PARLA DI PAOLO E FRANCESCA.
Inviato da: paoloroiter
il 19/09/2012 alle 18:30
 
 
 

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