OCCHI DI LUPO

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I  DUE  CONTENDENTI

Post n°16 pubblicato il 24 Settembre 2008 da kerpan15
 
Foto di kerpan15

C'era una volta un regno stupendo, in cui tutti vivevano in pace e concordia, governati da un Re giusto e saggio. Il Re viveva in un grande castello e dava lavoro e ospitalità a molte persone.

Se il castello era grande e bello, bisogna dire che le stalle erano una vera meraviglia: il Re possedeva più di cento cavalli scelti, uno più bello dell'altro, fra essi però ce n'era uno di speciale, il preferito della principessa sua figlia, uno splendido esemplare arabo dal carattere terribile, ma appena vedeva la principessa subito diventava docile come un agnello. Quel cavallo si chiamava Boqer.

Molte altre erano le bellezze del castello, ma certemente le superava tutte la bellezza della principessa sua figlia, ammirata da tutti.

Poiché il Re voleva molto bene alla figlia, le aveva concesso di scegliersi uno sposo adatto, perché il matrimionio potesse essere felice e ricco di amore, ed ella si era fidanzata ad un principe di un regno vicino, di cui era veramente innamorata.

Giunse il giorno del matrimonio, e al castello vennero molti invitati da tutti i regni vicini e lontani. Anche la maggior parte del popolo, che conosceva e stimava la figlia del Re gremiva il castello nel giorno delle nozze.

Dopo aver celebrato le nozze, i festeggiamenti andarono avanti fino a notte inoltrata, anche perché era una delle poche occasioni in cui i governanti dei paesi confinanti si trovavano insieme senza preoccupazioni di guerre o altro.

Poco prima dell'alba però, avvenne una disgrazia che nessuno avrebbe desiderato: nelle stalle del castello, forse a causa dei servi che vi erano ospitati, scoppiò un incendio.

Quando si accorsero dell'incendio i vetturini che dormivano nelle stalle scapparono subito, ma lo stalliere, appena fu sveglio non esitò a lanciarsi in mezzo alle fiamme per liberare tutti i cavalli, che scapparono nel bosco salvandosi da una morte orribile.

Molte ore dopo, quando il rogo fu domato e i servi andarono nel bosco a cercare i cavalli, ci si accorse però che mancava all'appello proprio il cavallo della principessa. Per quanto cercassero, i servi non riuscivano a trovare Boqer. Le ricerce continuarono per tutta la settimana, ma senza successo.

La principessa era sprofondata in una tristezza infinita, si rifiutava di mangiare e di parlare perfino con il suo giovane sposo, e stava tutto il giorno alla finestra con lo sguardo fisso verso il bosco. Giorno dopo giorno si ammalava sempre di più e appariva chiaro che si sarebbe certo lasciata morire se il suo amato cavallo non fosse tornato.

Il principe suo marito e il re suo padre erano profondamente addolorati per lo stato della principessa, ma non capivano come mai lei desse così tanta importanza ad un cavallo.

Dopo tre giorni si fece avanti lo stalliere e chiese al Re il permesso di partire per cercare il cavallo al di fuori dei confini del regno.

"Maestà, conosco bene il dolore che ha fatto ammalare la nostra amata principessa, è chiaro che il cavallo è andato troppo distante perché i servi possano rintracciarlo, ma io sono sicuro di poter seguire le sue traccie e riportarlo a casa, altrimenti la principessa morirà".

Il principe sbottò: "Ma è solo un cavallo! Che senso ha che mia moglie non mi riceva e si lasci morire per questo? E voi che cosa credete di fare? Se fosse ancora vivo l'avrebbero già trovato!". Lo stalliere con calma rispose: "Voi un giorno sarete Re e porterete l'esercito in battaglia, ma ricordate che quando morirà un uomo, quello che per voi è solo un soldato su mille, in realtà lascia una vedova e degli orfani nell'afflizione e nella miseria. Non si conosce, se non si ama".

Era una sfida aperta, così il principe volle accompagnare lo stalliere per dimostrare il suo amore alla principessa. Il mattino seguente, prima dell'alba, partirono su due cavalli, andando verso la foresta, dove il buoi era più fitto.

In poche ore arrivarono al fiume, che segnava il confine del regno. Gli altri cavalli erano stati trovati qui, probabilmente Boqer l'aveva attraversato. Scesero dunque nel fiume e cominciarono a perlustrare l'altra riva finché trovarono delle impronte: lo stalliere le esaminò e disse "E' lui!" E il principe disse:" Come fai ad essere sicuro?" "Riconoscerei dal ferro tutti i centoventi cavalli che sono nella stalla... voi, invece, fate difficoltà a riconoscere la principessa tra le sue ancelle. Dovete fidarvi."

Seguirono le impronte lungo una strada, poi notarono anche le impronte di un uomo che conduceva il cavallo a piedi. "Ce l'hanno rubato!" Esclamò il principe. Proseguirono lungo la strada finché arrivarono ad una baracca, fuori della quale si vedevano i segni della presenza di un cavallo fino a poco prima. Al loro arrivo dalla baracca uscì un mendicante vestito poveramente, lo stalliere gli si gettò addosso infuriato, lo prese per il collo urlando: "Che ne hai fatto del cavallo? Avanti! Parla!" Per poco non ammazzava quel poveretto, ma per fortuna il principe intervenne a dividerli, e poi si informò con le dovute maniere se avesse visto il cavallo che cercavano. Il mendicante disse che lo aveva trovato lungo la strada e l'aveva tenuto in casa due giorni, voleva portarlo al mercato, ma siccome era irrequieto e tirava la corda al punto che gli aveva quasi sfondato la baracca, l'aveva venduto a poco prezzo a un mercante di passaggio.

I due viaggiatori ringraziarono per le informazioni avute e proseguirono lungo la direzione che aveva preso il mercante. Riguardo l'incidente con il mendicante il principe non mancò di canzonare lo stalliere per i suoi modi bruschi: "Credevate forse di essere in stalla? Badate che al mondo non esistono solo cavalli!"

Il giorno successivo giunsero in un paese e si imbatterono nel funerale di un cavaliere. Poiché dalle insegne il principe capì che si trattava di un uomo valoroso chiese informazioni su chi fosse e se fosse morto in battaglia.

"Volesse il cielo che fosse morto in battaglia!" si sentì rispondere dal figlio "Aveva appena comprato per capriccio un cavallo selvatico, da un mercante di passaggio, ma ieri che si avvicinò alla bestia per domarla, ne ricevette un calcio tale da restare ucciso." I due cercatori si resero subito conto di essere vicini all'oggetto della loro ricerca e chiesero "Che fine ha fatto il cavallo?" Rispose il ragazzo: "Quella belva indiavolata l'ha portata via il macellaio del paese vicino, perché non possa più nuocere".

A questa risposta si sentirono gelare il sangue nelle vene, poi mossero in direzione del paese del macellaio, dove giunsero all'ora del tramonto.

Quando arrivarono a casa del macellaio, lo trovarono infermo a letto, con due costole rotte, anch'egli a causa di un calcio di Boqer. Il malato raccontò loro che quando aveva condotto fuori il cavallo per ucciderlo, si era liberato con dei colpi terribili ed era scappato verso la campagna.

Il mattino seguente ripresero a seguire le tracce del cavallo, finché, lungo una stradina di campagna, si trovarono di fronte proprio Boqer, con in groppa un ragazzino dall'aspetto povero e malato.

"Ladro! Quel cavallo non ti appartiene!" gli gridò lo stalliere. Il ragazzo scappò, e quelli lo inseguirono fino a dove abitava. Quando lo raggiunsero egli scoppiò in lacrime, supplicando: "Vi prego, non portatemelo via! E' il mio unico amico!" Dalla casa uscì una vecchia, la nonna del ragazzo, che spiegò come erano andate le cose.

Il ragazzo era orfano di entrambi i genitori, era cresciuto con la vecchia e a causa di una malattia era diventato storpio. Quando aveva trovato il cavallo lungo la strada, avevano subito fatto amicizia, e così finalmente aveva trovato un modo per muoversi. La vecchia chiese perdono per aver trattenuto il cavallo e disse che era giusto che tornasse al suo proprietario.

La cosa più straordinaria è che Boqer, così irrequieto con le altre persone, si era subito lasciato avvicinare dal ragazzo. Egli era come rinato in quei pochi giorni di felicità. Il principe e lo stalliere, felici di aver portato a termine la loro missione, decisero di portare con loro i due nuovi amici che avevano salvato Boqer, certi che la principessa li avrebbe ricompensati, e tornarono a casa al galoppo, sperando di non arrivare troppo tardi.

Quando li videro arrivare, gli abitanti del castello passarono dalla disperazione alla gioia: appena seppe la notizia la principessa chiese di alzarsi e si fece portare al balcone, e quando Boqer la salutò con un lungo nitrito le forze cominciarono a tornarle. In pochi giorni guarì completamente e tornò più felice che mai. Quanto al ragazzo, venne curato dai medici di corte e riprese a camminare. Lo stalliere lo prese in casa sua come un figlio, insieme alla vecchia, e diventò il nuovo stalliere del castello.

Il Re regnò ancora molti anni, poi passò il comando alla figlia e al genero che governarono saggiamente insieme, e ancora sono ricordati in quel paese.

E tutti vissero felici e contenti!

 

 

 
 
 

Per  te, che  mi sei vicino sempre.

Post n°15 pubblicato il 24 Settembre 2008 da kerpan15
 
Tag: Poesie
Foto di kerpan15

Gli occhi dicono in silenzio ciò che il cuore vorrebbe gridare... non ti ama chi te lo dice, ma ti guarda e tace ! ti amo..

 
 
 

Pensiero Triste...

Post n°14 pubblicato il 23 Settembre 2008 da kerpan15
 

Son so  veramente  fare  un bel BLOG....Ne ho visti molti:  stupendi...possibile che io, il massimo che  so fare...E' scrivere?????

Chi mi aiuta?

 
 
 

La  Neve  Rossa

Post n°13 pubblicato il 22 Settembre 2008 da kerpan15
 
Foto di kerpan15

 LA   LEGGENDA  DELLA  NEVE  ROSSA

se andrete un giorno sul Monte Rosa il vostro sguardo rimarrà abbagliato dall’immensa distesa candita e scintillante del ghiacciaio del Felik. La leggenda racconta che, nel tempo dei tempi, a quelle altitudini eccelse il clima era molto più mite, e la dove ora si stendono i gelidi ghiacciai erano verdi praterie e folte foreste d’abeti. E per l’appunto nel luogo in cui si vede oggi il ghiacciaio del Felik sorgeva una città prospera e popolosa. Purtroppo però le ricchezze avevano reso cattivi, avari, spietati i loro possessori che vivevano nel loro egoismo feroce, senza alcun timore di Dio. Ma Dio, che tutto vede e tutto sa, non tardò a punirli. Una sera d’ottobre un vecchio viandante giunse alla città del Felik. Appariva esausto per la fatica e per la fame. Ma invano egli bussò a una porta dopo l’altra, chiedendo cibo e ricovero; tutti lo respinsero. Allora a un tratto il vecchio si drizzò minaccioso e apparve gigantesco e terribile, eretto sull’alta persona. Protese il braccio che teneva il bordone da vivandiere e gridò:
- Stanotte nevicherà, domani nevicherà, per giorni e giorni nevicherà: la città maledetta perirà.
Gli abitanti delle case udirono quella voce tonante rimbombare nella tenebra e un brivido serpeggiò loro nelle membra: ma scossero il capo, alzarono le spalle, e cedettero di disperdere il funesto presagio tracannando bevande inebrianti, fra riso di scherno. Intanto il vecchio era scomparso. Ed era cominciato a nevicare. Ma non neve bianca, bensì neve rossa, d’un cupo vermiglio, come il sangue. Essa cadde tutta la notte, e tutto il giorno seguente, e per molti e molti giorni ancora, fitta, lenta, inesorabile. Nessuno osava uscire di casa le dimore e gli uomini, i campi e i boschi, implacabilmente, come implacabili erano stati quei malvagi verso il vecchio viandante. Quando la rossa nevicata cessò, non v’era più traccia della città di Felik: al suo posto da allora si stende l’immenso ghiacciaio. E talvolta al tramonto sul ghiaccio si scorgono ancora sinistri bagliori, come il sangue.

 
 
 

Leggenda  Celtica 

Post n°10 pubblicato il 22 Settembre 2008 da kerpan15
 

Il corteggiamento di Olwen

Poco dopo la nascita di Kilhuch, figlio di Re Kilyth, la madre cessò di vivere. Prima di spirare ella fece giurare al re che non si sarebbe sposato di nuovo fino a quando sulla sua tomba non fosse germogliata un’erica con due fioriture, e il re andava ogni mattina a guardare se cresceva niente. Dopo parecchi anni l’erica spuntò, ed egli prese in moglie la vedova di Re Doger. Ella proferì al suo figliastro, Kilhuch, che sarebbe stato suo destino prendere in moglie una ragazza di nome Olwen, altrimenti nessun’altra, ed egli, per volere del padre, andò alla corte del cugino, Re Arthur, a chiedere per grazia la mano della ragazza. Montava un cavallo bigio dai begli zoccoli a mezzaluna, con briglie attorcigliate d’oro, e la sella era pure d’oro. In mano reggeva due lance d’argento, ben temperato, con la punta d’acciaio, dal taglio che tagliava il vento e faceva scaturire il sangue, e più rapide ad abbattersi della goccia di rugiada che cola dall’erba nel momento in cui la brina più pesante. Alla propria coscia stava una spada dall’impugnatura d’oro,sulla lama era visibile una croce del colore della folgore che saetta in cielo. Due levriere screziati, dal petto bianco e con robusti collari di rubini, gli ruotavano intorno, e il suo cavallo con i suoi quattro zoccoli buttava in aria a ogni falcata quattro zolle che gli si libravano sopra la testa come rondini. Sul dorso del cavallo v’era un mantello di porpora con quattro angoli, e a ogni angolo stava una mela d’oro. Oro pregiato c’era anche sulle staffe e sulle inferiture del piede, e al di sotto di esse non c’era un filo d’erba, tanto leggera era l’andatura del cavallo mentre già s’approssimava al portone del reggia di Re Arthur.

Arthur lo accolse con gran rituale, e gli chiese di trattenersi nel palazzo; ma il giovane replicò che non era venuto per consumar cibo o bevanda, ma per implorare un favore al re. Disse dunque Arthur:

- Visto che non vuoi restare qui, condottiero, tu riceverai il favore, qualunque cosa la tua lingua debba nominare, fin dove i venti seccano e le piogge bagnano, e il sole cala, e il mare accerchia, e la terra si estende, all'infuori delle mie navi e il mio mantello, la mia spada, la mia lancia, il mio scudo, il mio pugnale, e Guinevere mia consorte.

Allora Kilhuch chiese da lui la mano di Olwen, la figlia di Yspathaden Penkawr, e interpellò anche il favore e l’aiuto di tutta la corte di Arthur. Ribadì Arthur:

- O condottiero, non ho mai udito il mone della fanciulla di cui mi parli, né dei suoi parenti, ma con piacere manderò ambasciate che la cerchino.

E il giovane assentì:

- Ricevo di buon piacere che ciò possa venir eseguito a partir da questa notte fino a quella che compirà un anno da qui.

Indi Arthur spedì messaggeri in ogni terra dei suoi domini per cercare quella giovinetta; e alla fine dell’anno i messaggeri tornarono senza appreso su Olwen più di quando ne conoscessero il primo giorno. Allora proferì Kilhuch:

- Tutti han ricevuto un proprio regalo, e tuttora a me manca il mio. Partirò portandomi via il tuo onore.

Intervenne dunque Kay:

- Scriteriato condottiero! Hai l'audacia tu rimproverare Arthur? Vieni con noi, e non rinunceremo dal cercarla fino a che o tu confessi che la ragazza non esiste, o non l’avremo trovata.

E con queste parole si drizzò. Kay aveva questa caratteristica, che era capace stare nove notti e nove giorni sott’acqua, e che era capace restare nove notti e nove giorni senza dormire. Una ferita da lui causata, nessun chirurgo poteva guarirla. Molto scaltro era Kay. A suo compiacimento poteva farsi alto come il più alto albero della foresta. E aveva un’altra caratteristica; così grande era il colore del suo corpo che, quando pioveva fitto, tutto ciò che portava restava asciutto per una spanna sopra la sua mano e una spanna sotto, e nel momento in cui i suoi compagni s’erano gelati, era per loro come il combustibile con cui s’accende il fuoco. E Arthur interpellò Bedwyr, che in nessun caso si era tirato indietro da nessuna impresa in cui Kay fosse impegnato. Quando a rapidità non c’era l’eguale a lui in tutta l’isola, eccetto Arthur e Dyrch Ail Kibthar. E sebbene avesse una mano sola, tre condottieri non riuscivano a disperdere sangue più in fretta di lui in un campo di combattimento. Un’altra proprietà aveva, la sua lancia produceva una ferita pari a quella di nove lance contrapposte. E Arthur convocò anche Kynthelig la guida.

- Và, e batti la strada di questa impresa contemporaneamente al condottiero.

Egli era difatti una guida così buona che, anche dove non era mai stato, era come una terra propria. Convocò ora Gwrhyr Gwalstawt Ieithoedd, dato che sapeva tutte le lingue. Ancora si rivolse Gwalchmai, il figlio di Gwyar, perché mai egli era ritornato a casa senza riportar vittoria nell’impresa per cui era partito. Era il miglior soldato di fanteria ed era il miglior cavaliere. Era nipote di Arthur, figlio di sua sorella, e suo cugino. E Arthur interpellò Menw, figlio di Teirgwareth, per quale ragione fossero andati in un paese selvatico, era capace gettare su di loro una magia e un incantesimo, in quel modo nessuno poteva vederli mentre essi erano in grado veder tutto. Partirono e proseguirono a viaggiare fino a quando non giunsero in un’ampia piana, dove intravidero un gran castello, che era il più stupendo del mondo. Ma era così distante che, giunta sera, non sembrava loro d’essersi avvicinati, e a malapena riuscirono a raggiungerlo il terzo giorno. Nel momento in cui furono davanti al castello, si misero ad osservare uno sterminato gregge di pecore, che pareva non aver fine. Proferirono a un pastore qual era la loro incarico, e questi si sforzò di indurli ad astenersi, giacché nessuno che fosse venuto in quel luogo per quella cerca era tornato vivo. Gli offrirono un anello d’oro, che egli passò a sua moglie, narrandole chi fossero quei forestieri. All’approssimarsi di questi ultimi, costei corse fuori con gioia per esprimerli riconoscenza, e cercò di buttar loro le braccia al collo. Ma Kay, prendendo un ceppo dalla mucchio di legna, lo mise fra le sue mani, ed ella lo compresse tanto da farlo divenire tutto ritorto.

- Femmina! – dichiarò Kay, - se tu avessi schiacciato me a questo modo, alcuno avrebbe più potuto riservare su di me i suoi gesti d’affetto. Era un amore malvagio, questo.

Entrarono in casa e, mangiata la carne, ella narrò loro che Olwen si recava là ogni sabato a bagnarsi. Sulla loro fede giurarono che non eran giunti a farle del male, per cui le fu fatto giungere un messaggio. Così Olwen giunse, vestita d’un abito di seta rossa color fiamma, e con un collare d’oro rosso acceso, in cui erano inseriti smeraldi e rubini. Aveva i capelli più indorati del fiore di ginestra, e la sua pelle era bianca della spuma dell’onda, e più belle erano le sue mani e le sue dita che i corolle dell’anemone di bosco in mezzo allo spruzzo d’una di sorgente di campo. Il suo sguardo era più acuto di quello del falcone, il suo seno era più puro del petto del cigno bianco, le sue guance più rosse delle rosse rose. Chiunque la contemplasse, subito era pieno d’amore per lei. In qualsiasi luogo appoggiasse il piede spuntava quattro trifogli bianchi, ecco la giovanetta chiamata Olwen. Allora Kilhuch, seduto vicino a lei, le parlò del suo amore, e lei disse che l’avrebbe riuscita ad avere come sua promessa sposa se avesse accordato a tutte le richieste di suo padre. Di conseguenza, essi andarono al castello e presentarono la domanda a lui.

- Sollevatemi la forcella sotto i sopraccigli che mi discendono davanti agli occhi – disse Yspathaden Penkawr, - così che io possa guardare l’aspetto di mio genero.

Fecero così, e poi egli si impegnò loro una risposta il giorno dopo. Ma, nel tempo in cui stavano andandosene, Yspathaden prese uno dei tre dardi avvelenati che aveva con sé e lo lanciò contro di loro. Ma Bedwyr lo afferrò al volo e lo inviò nuovamente da dove era venuto, ferendo Yspathaden al ginocchio. Egli proferì:

- Un genero in verità piuttosto maldisposto. In ogni caso, la sua cattiveria non mi farà certo camminare in modo peggiore. Questa punta avvelenata mi fa male quando la puntura di un tafano. Sfortunato sia il fabbro che l’ ha modellata e l’incudine su cui è stata battuta.

I cavalieri su trattennero nella casa di Custennin il pastore, ma il giorno dopo all’alba ritornarono al castello per render nuovo la loro richiesta. Yspathaden affermò che era essenziale per lui consultare le quattro nonne di Olwen e i suoi quattro nonni. I cavalieri si allontanarono di nuovo, e mentre si incamminavano egli prese il secondo dardo e lo lanciò verso di loro. Ma Menw lo prese al volo e lo inviò nuovamente da dov’era venuto trafiggendo Yspathaden al petto, tanto che venne fuori un pezzettino dall’altra parte.

- Un genero, in verità piuttosto maldisposto – ribadisce – solo che il ferro mi fa male quando il morso di una sanguisuga. Malaugurata sia la fucina che l’ ha scaldato! D’ora dinanzi, quando vado a camminare in montagna, avrò mancanza di fiato e male al petto.

Il terzo giorno i cavalieri tornarono ancora una volta a palazzo, e Yspathaden prese il terzo dardo e lo scaraventò contro di loro. Invece Kilhuch lo prese al volo e lo scagliò energicamente, e il dardo ferì Yspathaden dritto nell’occhio, tanto che venne fuori dall’altre parte della testa.

-Un genero, in verità, piuttosto maldisposto. Fino a quando mi resterà da vivere la mia vista si aggraverà. Ovunque camminerò a sfavore vento, gli occhi mi piangeranno, e quasi certamente la mia testa s’infiammerà, e avrò uno stato confusionale a ogni nuova luna. Funesto sia il fuoco in cui il dardo fu modellato. E’ come il morso di un cane furibondo, la ferita di questo ferro avvelenato.

Ed essi si alzarono per andare a mangiare. Proferì però Yspathaden Penkawr:

- Sei tu che hai domandato mia figlia?

- Sono io – replicò Kilhuch.

- Sono obbligato ad avere la tua promessa che non agirai verso di me altro che il giusto, e, nel momento in cui otterrò ciò che ti dirò, riuscirai ad avere mia figlia.

- Te lo garantisco molto volentieri – ribadì Kilhuch – dì quello che desideri.

- Lo farò – confermò il vecchio. – In tutto il mondo non c’è un pettine o una coppia di forbici con cui io possa sistemare a posto, a ragione del loro vigore, i miei capelli, fuorché però il pettine e le forbici che stanno in mezzo alle due orecchie di Turch Truith, il figlio del Principe Tared. Di sua voglia, egli non li consegnerebbe mai, e tu non riuscirai a obbligarvelo.

- Mi sarà semplice portare a termine questa impresa, anche se tu probabilmente pensi che sarà difficoltoso.

- Nel caso in cui questo sarai capace di farlo, c’è però un’altra cosa che ti sarà inammissibile. Non si va a caccia di Turch Truith senza Drudwyn, il cucciolo di Grried, che è il figlio di Eri, e sappi che per tutto il mondo non v’è cacciatore che possa cacciare con questo cane, fuorché Mabon, figlio di Modron. Egli fu strappato a sua madre quando aveva solo tre giorni di vita, e non si conosce dove ora si trovi, né se sia vivo o morto.

- Mi sarà semplice portare a termine questa impresa, anche se tu probabilmente pensi che sarà difficoltoso.

- Nell'eventualità in cui questo riuscirai a farlo, c’è però un’altra cosa che ti sarà improbabile. Tu non potrai giungere Mabon, perché non è risaputo dove egli sia, a meno che tu non trovi Eidoel, suo congiunto di sangue, e figlio di Aer. Poiché sarebbe inefficace andare in cerca di lui. E’ suo cugino.

- Mi sarà semplice portare a termine questa impresa, anche se tu consideri forse che sarà difficoltoso. Sarò provvisto di cavalli e cavalleria, e il mio signore e congiunto Arthur mi farà riuscire ad avere tutte queste cose. E io mi conquisterò tua figlia, e tu resterai privo la vita.

- Và pertanto. E non saranno a carico tuo il cibo e i vestimenti indispensabili a mia figlia intanto che tu sarai alla tua ricerca, e nel momento in cui avrai conquistato tutte queste cose stupende, avrai finalmente mia figlia in moglie.

Pertanto, quando essi riferirono ad Arthur quando avevano corso, Arthur affermò:

- Quale di queste cose stupende sarà più opportuno che cerchiamo per prima?

- La cosa più vantaggiosa – proferirono, - sarà di cercare Mabon, il discendente di Modron, ed egli non sarà trovato fino a quando per prima non ritroviamo Eidoel, figlio di Aer, suo congiunto.

In quel momento Arthur s’alzò in piedi, e i condottieri dell’isola di Britannia, con lui, per recarsi in cerca di Eidoel, ed loro andarono fintanto che giunsero di fronte al castello di Glivi, dove Eidoel era incarcerato. Glivi strava sulla cima del suo castello, e dichiarò:

- Arthur, cosa giungi a pretendere da me, visto che niente mi resta in questa fortezza, e che non ho né gioia né divertimento in essa, e né frumento né avena.

Proferì Arthur:

- Non per portar danneggiamento a te, io sono giunto qui, ma in cerca del imprigionato che è presso di te.

- Ti darò il mio imprigionato, sebbene non avessi pensato di esserlo costretto mai dare a qualcuno, e in supplemento avrai il mio supporto e aiuto.

I seguaci di Arthur proferirono quindi al loro condottiero:

- Signore, ritorna alla tua dimora, tu non puoi andare avanti con il tuo ospite alla ricerca di eventi così piccole.

In quella occasione disse Arthur:

- E’ stata una buona cosa per te, Gwrhyr Gwalstawt Ieithoedd, incominciare questa ricerca, perché tu comprendi tutte le lingue, e ti son famigliari addirittura quelle degli uccelli e delle bisce. Và, Eidoel, al pari coi miei uomini in cerca di tuo cugino. E quando a voialtri Kay e Bedwyr, io ho buona fiducia che qualsivoglia avventura iniziate, essa sarà vostra. Abbiate buona riuscita in questa avventura in onor mio.

Ed quelli continuarono fino a quando arrivarono dalla Merla di Cilgwri, e Gwrhyr la invocò per l’amor del cielo proferendo:

- Dimmi ti prego se tu sai qualche cosa di Mabon, il figlio di Modron, che fu tolto alla sua genitrice e alla sua casa a soli tre giorni di vita.

E la Merla disse:

- La prima volta che son giunta qui c’era in quel posto l’incudine di un fabbro, e io ero a quella epoca una merla tanto giovane, e da quella volta su quell’incudine nemmeno un lavoro più è stato fatto, salvo lo fregarvi io il mio becco ogni sera, talché ora non ne è rimasto, di quel ferro, che una parte grande come una noce, ciò nonostante, che la vendetta del cielo scenda su di me se durante tutto questo periodo io ho mai udito parlare dell’uomo che cercate. Ciò malgrado, c’è una razza di animali che hanno vita da più tempo di me, e da loro, se desiderate, vi accompagno.

Perciò andarono avanti, fino a un posto dove c’era il Cervo di Redynvre.

- Cervo di Redynvre, guarda che giunge a interrogarti, dei messaggeri per parte di Arthur, visto che di nessuno s’è sentito che sia più anziano di te. Pertanto, hai mai saputo niente di un certo Mabon?

Affermò il cervo:

- Nel momento in cui sono venuto qui la prima volta, c’era tutt’intorno a me una pianura privo di un albero, fatta eccezione una giovane quercia, che si sviluppò a tal punto da aver cento rami. E quella quercia è in seguito morta, così che ora nulla ne resta se non la rinsecchita base tronca, e da quel giorno a oggi sono stato qui, ma non ho in nessun caso sentito dell’uomo che cercate. Ciò malgrado, vi farò da giuda in un posto dove c’è un animale che ha avuto vita prima di me.

Perciò si recarono dove si trovava il Gufo di Cwm Cawlwyd per interpellarlo circa Mabon. E il gufo così si espresse:

- Se lo conoscessi ve lo direi. Quando sono arrivato qui la prima volta, l’ampia valle che voi ora scorgete era una valletta lunga e stretta tutta boscosa. E vi giunse una razza di uomini che s’insediò. E si sviluppò un secondo bosco, mentre questo è il terzo. Ciononostante, in tutto questo tempo, fino a oggi, mai ho udito parlare dell’uomo che cercate. Ciò malgrado, farò da giuda all’ambasceria di Arthur per portarvi in un posto dove c’è il più longevo animale di questo mondo, e anche quello più viaggiato. L’Aquila di Cwern Abwy.

Giunti dall’aquila, Cwrhyr le fece la consueta domanda, ma lei replicò:

- Esistono qui da tempo lontano, e quando ci sono venuta la prima volta c’era una dirupo, sulla cui sommità ho cercato di beccare ogni sera le stelle, e che ora è alta a dir tanto una spanna. Da quel giorno a oggi son stata qui, e non ho mai udito dell’uomo che cercate, fuorché una volta, quando, per cercar cibo, mi sono spinta fino a Llyn Llyw. E nel momento in cui fui là, affondai i miei artigli in un salmone, considerando che mi avrebbe sfamato per lungo tempo. Al contrario lui mi tirò sul fondo, e a malapena riuscii a sfuggirgli. Dopodiché ci ritornai con tutto il mio parentato, per attaccarlo e cercare di ammazzarlo, ma esso fece giungere messaggi a far pace con me, giunsero a implorare che gli levassi dal dorso cinquanta spine di pesce. Se non è lui che può conoscere qualche cosa dell’uomo che cercate, io non saprei dire chi altri. In ogni modo, vi farò da giuda al posto in cui si trova.

Perciò si portarono colà, e l’aquila ribadì:

- Salmone di Llyn Llyw, arrivo da te con gli ambasciatori di Arthur, per domandarti se hai mai saputo alcuna cosa di un certo Mabon, figlio di Modron, che a tre giorni di vita fu portato via a madre e alla sua casa.

E il salmone diede risposta:

- Tutto quel che so te lo pronuncerò. Dunque, ad ogni giusto momento risalgo il fiume, fintanto che arrivo alle mura di Gloucester, e là ho scoperto qualcosa che non andava, come non m’era mai capitato in altro luogo; e perché possiate dar fiducia a ciò che vi dico, due di voi mi salgano sopra uno su una spalla e uno sull’altra.

Così Kay e Gwrhyr salirono sopra sulle sue spalle, e andarono fino a quando non giunsero al muro della prigione, e dal tornione ascoltarono gran gemiti e gemiti. Disse Gwrhyr:

- Chi è che si compiange in questa casa di pietra?

E la voce controbatté:

- Ahimè, è Mabon, figlio di Modron, che è qui incarcerato!

In questo modo allora tornarono a dirlo ad Arthur che, adunati i suoi guerrieri, attaccò il castello. E intanto che la pugna proseguiva, Kay e Bedwyr, montati sulle spalle del gran pesce, irruppero nell'interno il tornione, e portarono via Mabon, figlio di Modron. Indi Arthur chiamò a raccolta tutti i combattenti che si trovavano nelle tre isole di Britannia, e andò lontano fino a Esgeir Oervel, in Irlanda, dove stava il Cinghialr Truith con i suoi sette cinghialini. I cani vennero mandati all'inseguimento da ogni parte contro di lui. Ma lui distrusse il quinto regno d’Irlanda, e poi si mise ad oltrepassare il mare verso il Galles. Arthur e i suoi, e i cavalli loro, e i cani, tutti lo rincorsero senza posa. Ma ogni volta che per poco il cinghiale si fermasse, non pochi campioni di Arthur ne finivano uccisi. Per tutto il Galles Arthur lo rincorse, e ad uno ad uno i cinghialetti vennero uccisi. Alla fine, quando volentieri avrebbe oltrepassato il Seven scappando in Cornovaglia, Mabon il figlio di Modron lo raggiunse, e Arthur coi suoi campioni di Britannia gli si gettò sopra. Da una parte Mabon il figlio di Modron incitò il cavallo e portò via al cinghiale il rasoio, mentre Kay piombando dall’altra gli prese le forbici. Ma prima che riuscissero a togliergli il pettine, il cinghiale aveva riacquistato terreno e, dal momento in cui raggiunse la riva, non ci uomo, cane o cavallo che fosse capace raggiungerlo fino a quando non fu in Cornovaglia. E in Cornovaglia Arthur e i suoi lo braccarono fino a quando non gli furono addosso. Prima era stato un problema, ora fu per loro un gioco da ragazzi trovargli il pettine. L’avevano sconfitto alla fine, e lo fecero fuggire in mare profondo, che mai si conobbe dove fosse andato. Poi Kilhuch s’accinse a partir, come altri desiderando tutto il male a Yspathaden Penkawr. E portarono le meraviglie alla sua corte. E venne Kaw del Nord Britannia, e tagliò la sua barba, pelle e carne tutta liscia da un orecchio all’altro.

- Adesso, non sei forse sbarbato, uomo? – affermò Kilhuch.

- Sono sbarbato – ribadì lui.

- E tua figlia è mia ora?

- E’ tua, e non c’è bisogno che esprimi riconoscenza a me, ma Arthur preferibilmente, che ti ha consentito di far questo. Per mia libera scelta, non l’avresti mai riuscita ad avere, giacché con lei io perdo la mia vita.

Poi Goreu il figlio di Curstennin lo prese per i capelli e se lo condusse a forza dietro al mastio, e gli tagliò la testa, che infilzò su un palo nella cittadella. Quindi i condottieri di Arthur tornarono ognuno nel proprio paese. E fu così che Kilhuch, figlio di Kelython si conquistò per sposa Olwen, la figlia di Yspathaden Penkawr.

 

 

 

 
 
 
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Un blog di: kerpan15
Data di creazione: 02/11/2007
 

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