MY WOR(L)D

Giornalismo e spettacolo


 "Scrivo da un paese che non c’è più" questo uno dei lead più noti nella storia giornalistica italiana. Lo scrisse il giovane Giampaolo Pansa inviato alla tragedia del Vajont nel 1963. Breve ma efficace, succinto e incisivo, queste le caratteristiche imposte da un nuovo giornalismo spettacolarizzato che deve fare i conti con la televisione e con media nuovi come internet.Ma dagli anni ’60 il giornalismo di strada ne ha fatta e i toni ancora smorzati del giovane Pansa  sono accresciuti, diventando talvolta esagerati.L’imperativo principale del buon giornalista è informare, ma l’informazione va consegnata con cautela. Il delitto di Cogne è stato un esempio lampante dell’abuso del dovere di cronaca da parte di molti.Informare è lecito ma non era necessario fornire troppi dati raccapriccianti su come la morte ha preso la giovane vita di Samuele.Accanimento, morboso compiacimento nel descrivere particolari, questa non è certo una parte "sana" del comunicare. E i fatti ritornano, Historia non est magistra vita. Parma, viene rapito un bambino di soli tre anni. All’inizio, con note di sensazionalismo si da la notizia poi si infittiscono pregiudizi e li si intrecciano con qualche dichiarazione e si comincia a incolpare il padre. Tommaso morirà ucciso dai suoi sequestratori ma non basta, bisogna dire che muore prima strangolato poi soffocato dopo essere stato seppellito sotto terra. I giornalisti devono scusarsi con il padre, accusato ingiustamente.Sembra proprio che nella mente degli italiani la censura della controriforma prima, del fascismo dopo abbiano impresso una sorta di smania di dire tutto, anche quello che non si dovrebbe. E poi c’è sempre il confronto con la tv, sempre più spregiudicata, nei film, ma anche al telegiornale, le immagini cruente vengono proposte, senza distinzione di fasce orarie.Tutto gratuitamente a discapito delle fasce più deboli: i bambini.Bambini che si trovano catapultati in un turbine di immagini e urla, restano frastornati da tutto questo caos. Il rimedio è quello di accompagnarli alla visione della tv, fare per loro da filtro, aiutarli a discernere realtà da finzione e a cambiare canale quando le scene diventano troppo forti.Non è giusto censurare, l’informazione è un diritto sacrosanto, ma sarebbe opportuno moderare i toni, ridurre il volume.La spettacolarizzazione non salverà la carta stampata, ma peggiorerà sia tv che giornali, coinvolti in una corsa allo spettacolo. È necessario cambiare tattica. Ormai la televisione non è più una novità da combattere come si faceva negli anni ’60; è ormai una realtà e la stampa non deve ne’ demonizzarla ne’seguirne passo passo tutti i tratti peggiori.