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''Il colore della libertà''


Dopo ''l'ultimo re di Scozia'' un altro film che racconta la storia africana attraverso gli occhi di un bianco, quelli di James Gregory (Joseph Fiennes), il carceriere di Mandela
( Dennis Haysbert). Un pezzo di storia lungo quasi trent'anni dal 1968 al 1994, ''un lungo cammino verso la libertà'' come recita il titolo della biografia del leader dell' African National Congress, raccontato in modo lineare, scorrevole, senza metafore o simbolismi, quasi come in una lezione di storia. Il problema è proprio questo, il film non emoziona, nonostante  l'argomento trattato. Girato interamente in Sud africa ( con bellissime immagini della costa) e scritto sulla autobiografia di Gregory: ''Nelson Mandela da nemico a fratello'',  è talmente solo descrittivo ( o illustrativo), che neanche il momento cruciale, l'inizio della crisi interiore che porterà il carceriere razzista a desiderare un paese libero dall' apartheid, viene approfondito. Eppure il materiale c' era ed era anche interessante, il rapporto unico e complicato che si stabilisce tra carceriere e carcerato in un perido di quasi trent'anni e la travagliata presa di coscienza dell' uomo bianco razzista potevano dare luogo ad un film introspettivo, come mai il regista Bille August si è limitato semplicemente a descriverli? Perchè rimanere ostinatamente legati ad una autobiografia fortemente criticata da Samson, biografo ufficiale di Mandela, in quale afferma che Gregory non avrebbe mai conosciuto il leader sudafricano in quanto addetto semplicemente al controllo della sua corrispondenza? Forse il film risponde solo ad un esigenza tutta occidentale di affievolire il senso di colpa verso un continente, l'Africa, che è stato solo sfruttato e le cui guerre fratricide non hanno mai interessato più di tanto e dove non era disponibile democrazia da esportare?