Relative

su quel paio di immagini, flash, che sembrano ancora lì, vividi


ci ho pensato un po' se scrivere questo post.mi sono anche chiesto se non rischi di inscriversi, in millesimi, a quel mainstream emozionale dove si mette in bella vista il dolore per un qualche lutto, di qualunque tipo e sorta. di come lo si è vissuto, trapassato, elaborato, masticato, digerito, metemspicosizzato. il tutto come se fosse un po' una sorta di consapevole vincita emotiva facile, e quindi qualcosa che associo ad una scorrettezza nei confronti di chi legge. me lo sono chiesto. e mi sono risposto che, questo post, scorrettezza non è. e che quindi va bene così. e che se per qualsiasi ragione mi è viene di scriverlo, non ve ne sono acciocché non debba farlo.e lo scrivo più o meno a quest'ora. quando non era già più il sedici ma non è ancora il diciassette. di novembre, ovvio. da allora ho usato questo piccolo trucchetto per cercar di non ancorare il momento in cui mio padre se n'è andato. era il sedici, ma la guardia medica arrivò dopo la mezzanotte, e sul certificato c'è scritto diciassette. così, da allora, il sedici [mi] dico che il giorno ufficiale è l'indomani. il diciassette [mi] dico che il giorno vero era quello prima.così. però c'è il momento del limbo, dove tutto si sfuma. che se ne sta in un qualche punto, più o meno come questo. che è quello del passaggio, che forse è l'inghippo di tutta la questione.cercavo di dormire, sul divano della sala. avevamo capito che probabilmente sarebbe stata una notte un po' agitata. mi appisolai, mentre pensavo che non mi sarei riuscito ad addormentare. mi svegliai di soprassalto e mi alzai di scatto all'arrivo mia madre, in lacrime. capii.mi disse che ad un certo punto si era girata nel letto accorgendosi non respirasse più.e quindi senza un momento preciso, ma attondolato in un gran insieme di momenti, non sappiamo quando se n'è andato. come lui non sapeva stesse andandosene. non sappiamo quando si passò dal momento dell'accudimento segreto [per lui] a casa sua, a quello del lutto, che lancia propaggini un po' a gittata lunga e quasi casuale. dal momento del sorriso tirato e respiro lungo per tranquillizzarsi a quello delle lagrime [io, peraltro, nemmeno una, fino all'altro giorno: ma da odg quasi non fa testo]. dal momento del figlio rompicazzo autodistanziante, a quello del consapevole erede [e su questo sono financo arrivato prima di odg].non lo sappiamo. rimante quel grumo di momenti tondi ma lancinanti. che questa volta ho voluto svangare guardandoli drittidritti. come a dire: non mi fate poi più così paura, o qualcosa di simile.ci sono due immagini, due flash. non sono in ordine cronologico. per quanto ravvicinatissime.la prima è quando entrai nella stanza. lo vidi di schiena. lui era appoggiato su di un fianco, quello destro, con le coperte fino alle spalle. guardava rilassato il muro esterno. quasi ogni sera mi viene di mettermi in quella posizione lì, appena mi adagio pacioso sul letto. probabilmente lo faccio da sempre. da quella sera mi torna in mente quella scena. e mi dico che va bene così. placidamente.la seconda è quando mi alzasi di soprassalto. e urtai la chincaglieria vetrosa dindontante che fa quel suono così rilassante e che sta - a volte - appesa sotto i lampadari, o le le luci, o quelle cose lì. da quel giorno quel suono, che prima probabilmente, mai mi aveva detto alcunché, ha smesso di piacermi. e tutte lo volte che qualcuno o qualcosa ha rimosso quella chincaglieria vetrosa mi è sovvenuto di quando non mi piacesse. per una serie di ragioni, un po' masochistiche, un po' vai a sapere perché quella cosa lì è rimasta appesa. quando ho deciso di pittare l'ho fatto anche per aver la scusa, travolto dall'impeto di rinnovamento, di levare quel cazzo di ninnolo chincaglioso dindondeggiante.l'ho tolto, l'ho nascosto. non l'ho ancora gettato via [sul perché, non ho voglia di psicopipponizzarmi]. credo questo post serva anche a spronarmi a far sì che, non appena torno colà, finisco il lavoro. con serena soddisfazione, peraltro.