Relative

hanno sparato al presidente


cinquant'anni fa spararono a jack. come oggi.io lo seppi da mia madre, qualche anno dopo, ovvio. ricrdo la sensazione di profondo dispiacere che mi pareva le ammantasse ancora quel ricordo. l'eccezionalità di un presidente che sembrava così normale, e assieme così una speranza per il mondo che poteva svoltare. anche di krucev, che sbatteva le scarpe all'assemblea dell'onu, era ammantato di quella fiducia nel divenire. jack e nikita. che avevano salvato il mondo dalla guerra nucleare. e in mezzo pure il papa, il giuanòn. un po' banale, occhei. ma io ero tutto sommato piccolo. troppo affascinato dal mito americano [per quanto di terza mano] e lei ancora riverberava del profumo della gioventù dei suoi sixties.l'avevano ammazzato. occhei. uno solo: il collaborazionista dei cubani. aveva fatto fuori il presidente cattolico, bello, giovane, incorrotto. la stella che avrebbe potuto brillare per molto tempo e cambiare le cose.vent'anni fa diedero jfk in prima tv. come oggi.oliver stone mi aveva un po' lasciato perplesso con platoon. chissà com'era questo di filme. quella sera mangiai una mozzarella che lasciò un sacco di acqua, mentre litigavo al telefono col prete oratoriano, che allora era la seconda casa, approccio uterino di quando tornavo sul lago nei uichend. erano una di quelle litigate da nevrotiche un po' isteriche. io con la mia componente femminile elevata e fottutissimo orgoglio ricattatorio, lui con un affetto soffocante che chissà cos'altro era. lo vidi a casa della mia amica simona. lei studiava filosofia. mi corteggiava nemmeno troppo vestigialmente. attendeva che io facessi una qualche mossa. lei mi piaceva. o forse ero incuriosito da quella lusinga parrino-verginale. ci sfiorammo le mani una volta solamente. non la sera del filme. filme che invece fu una rivelazione fulminante. una botta. un "uau". oggi avrei detto: "jfk, spacca".l'avevano ammazzato. era stata una congiura. il procuratore garrison fa un accorato appello di voler perseguire la verità. come ragione esistenziale. e sa che la verità è qualcosa che stanno nascondendo ma a cui lui è andato vicino. è verso la fine del filme, è l'arringa finale al processo. mi colpì, anche per l'effetto cinematografico che costruirono attorno. colpì anche l'amico itsoh, con cui dividevo la stanza allora. lui se lo vide da solo. io a casa dell'amica simona. il giorno dopo ci raccontammo l'emozione di quella visione. jack, nel filme, è una sorta di icona sacrificata. ed intorno il marcio. il violento. l'opacità di un ganglio diffuso. e pochi buoni e valorosi che si battono per far luce su quello che stone-garrison definiscono un colpo di stato. mito americano decisamente ridimensionato.poi venne un giorno in libreria della stazione centrale. c'è un mito mondadori, 7900 lire. c'è kennedy in copertina. è spesso. lo compro. da lì a poco andrò a far l'interrail, avrò molto tempo per leggere. poco dopo mi viene in mente che ne aveva giusto parlato a lezione sandrino pellò. docente di copywriting al master fuffa. lui, il pellò, uno dei pochi che si salva dalla fuffa. "ellroy è il più grande romanziere vivente", sostiene.il ricordo di mia madre. il filme di stone. e quindi l'epifania ellroyana. jack è un puttaniere, l'america che gli sta intorno è insulsa, violenta, meschina. agenti doppio, triplogiochisti, la mafia, gli anticomunisti. in quel libro, moralmente, non si salva in pratica nessuno. la Storia è usata come un ordito marcilento per costruirci sopra la storia che affascina, cattura, smitizza, avvince, conquista. quel cazzo di master è stata l'ultima vacanza della mia vita. l'interrail quel girovagare al bordo di un qualcosa che non sarebbe mai tornato. non a caso furono praticamente le ultime foto in pellicola che feci. a galway, irlanda occidentale, il punto più lontano del mio viaggio, entrai in una chiesa. vidi un mosaico rappresentante jack. aveva l'aureola. fu un piccolo orgasmo intellettivo pensare alla distanza tra quell'invezione agiografica, mosaicizzata, e quella raccontata nel libro. come il preliminare al piacere che da lì a breve mi sarei rimesso a leggere il libro.non sarebbe stato un fottuto interrail senza quel fottuto "american tabloid".ecco. no. a proposito. c'è pete, bondurant, il canadese enorme cattivissimo e violentissimo. quelli che sembra lui la storia de "l'america non è mai stata innocente. abbiamo perso la verginità sulla nave durante il viaggio di andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto". pete. il peggiore di tutti, forse. che però, grazie alla catarsi che si fa corpo e anima di una donna [il corpo con un fluentissimo pelo rossiccio, peraltro] si eleva su tutti gli altri protagonisti. e si tifa per lui. e a suo modo si salva. e lo fa vivendo con sgomento l'arrivo dei colpi di cui sa, che lo paralizzano, di cui intuisce la crudele disumanità. quelli con cui si chiude il romanzo. cinquant'anni fa. come oggi.