Relative

[banali] madeleine nel caffè [amaro]


sì.era stata una relazione breve. però sottilmente intensa.molto carbonara, in pochissimi a sapere, un piccolo appartamento in cortile antico come temporanea alcova.il letto in fetto battuto e l'enorme specchio nel bel mezzo del mobile antico.un po' licenzioso-romantico.era estate, faceva caldo, anche il temporale a volte a rendere più peculiari i fugaci incontri.lei era più anziana, meno giovane.lui mezza generazione più giovane di lei. mezza generazione più anziana delle sue figlie.quelle figlie un po' presenza costante in molti dei discorsi di lei. molto madre e anche un po' invidiosa del loro starsene al principio d'essere desiderate. come continuava a volerlo anche lei: sapersi desiderata. donna e femmina. quasi a volersi divincolare da quella parte, dal suo di estremo del bilancino anagrafico.lei un po' piccolo borghese, divorziata, delusa dagli uomini che aveva incrociato.lui una specie di cane sciolto, idiosincrasico a farsi conquistare fino giù in fondo.scopavano, sì.e qualcosa in più.lei era molto mamma coccolona, dopo.lui molto più disinibito, prima.in mezzo nessuna età a dividerli.fuori i discorsi un po' da constestualizzare.lui che pontifica bohemien disilluso. lei che ascolta un po' colpita e che dà il suo parere. lei che si sente la sua donna.una sera, nell'appartamento carbonaro, prima di prendersi vicendevolmente lei prepara un caffè."quanto zucchero?", chiede lei."un cucchiaino raso", risponde lui."io invece lo prendo amaro"."interessante... come mai?""ho cominciato per una scommessa, da allora ho scoperto di apprezzarlo di più bevendolo amaro. non sopporto più il sapore di caffè dolce".bevono il caffè.e il sapore forte e amaro sembra quasi faccia da ossimoro a quella sensazione di dolce e succoso che evoca l'incontrarsi in profondità di lì a poco. un controltare gusto-emotivo.i primi baci che sanno di caffè: dolce e amaro assieme. a mischiarsi: come la mente protesa a volere l'altro, il sudore, le membra, gli umori, il respiro, l'emozione.dal caffè alle coccole. passando più volte per il via.poi la storia finisce. breve, appunto.lui fugge, più che altro. un po' annoiato dalla piccola borghesia che traspare. molto attento a non farsi conquistare fino giù in fondo.
però il ricordo di quel caffè, quella volta rimane. la versione minimalissima e banalizzata della madeleine proustiana.il caffè che qualcuno prende amaro.lui poi, un giorno, incontra la figlia. una delle figlie. in ambiti meta professionali. lei non sa nulla, quasi sa appena che lui esiste. la madre ha indirizzato lui da lei. un incontro formalmente informale, per questioni quasi di professione.è bella, la figlia, come doveva esserlo la madre alla sua età. desiderata da molti uomini, probabilmente. è bella, sì. ma lui la osserva piuttosto distaccato.ad un certo punto dell'incontro lei chiede: "caffè?".e lui: "sì, grazie, volentieri".lei gli porge la tazzina con lo zucchero.lui le chiede. "tu, niente zucchero?".e lei. "no. lo prendo amaro".la personalissima madeleine proustiana fa "plop", inzuppata.è un attimo. uno scatenarsi di sensazioni. ricordi. niente nostalgia. però una carellata di cose assaporate in un piccolo anfratto di tempo, tempo addietro.lui chiede: "e come mai?"e lei: "ho cominciato pian piano a non zuccherarlo più. e ho scoperto di apprezzarlo di più bevendolo amaro. ora non riesco più a berlo dolce".il discorso si sospende per pochi, lunghissimi attimi, nella testa di lui.l'effetto della madeleine che ha fatto "plop", inpuzzata.il finale è una battuta mai detta.un refolo di fiato che dovrebbe dar voce a quello che invece rimarrà per sempre sospeso a metà strada. sospeso tra il pensiero e l'espressione di una considerazione, di secondaria importanza. roba apparentemente da pour parler e niente più."capisco.... come tua madre, quindi..."