Creato da odisseando il 31/10/2006

Relative

poi a un tratto l'amore scoppiò dappertutto

 

 

madiba

Post n°1285 pubblicato il 05 Dicembre 2013 da odisseando

c'è un concetto fugacissimo che mi rimbalza tra le sinapsi da qualche tempo. qualche anno, via. una specie di intuzione in sedicesimi, un'epifania de noartri, una folgorazione in miniatura. ma che è lì piantata nella testa, e non se ne va.

è una cosa che si potrebbe riassumere così: l'umanità sta progredendo in maniera inesorabile ed inevitabile. come una specie di cervello condiviso che sta imparando. tante sinapsi che via via si strutturano. e si diventa più intelligenti. prima persona plurale per intendere tutta l'umanità: humankind, rende al meglio il concetto, nella pragmatica degli anglosassoni.

il fatto è che certe sinapsi, fondamentali per stabilire nuovi circuiti neuronali nuovi progressi che poi diventano patrimonio acquisito comune, prendono vita grazie a neuroncini, che sono neuroncini più di altri.

ecco, madiba è uno di quelli.

è la prima cosa cui ho pensato appena ho saputo se ne fosse andato. una convinzione talmente profonda e riconoscente che accompagna questa sensazione lieve, che mi sento dentro. come fossi un po' unito - neuroncino de noarti - a tutti gli altri neuroncini che sono scossi, colpiti, emozionati dalla stessa notizia. quasi appia  strano che uno come lui possa semplicemente non esserci più. forse perché quello che continuerà ad esserci è la pietra angolare che ha posato - immortale - nella storia del suo paese. e nella storia della humankind.

era un pugile. era uno che combatteva, anche con violenza. era uno che incassava. e poi è diventato l'uomo della pacificazione. probabilmente è questa tenacia ruvida da neuroncino inscalfibile che lo rende così amabile e amato.

se n'è andato. ma ormai la cosa pare ormai già un dettaglio, ad essere sinapticamente consapevoli, e grati: tutti quelli che voglion esser neuroncini con quanto comunque ci lascia. roba viva. roba molto viva.

 
 
 

de proteggimentis [sui post pipponici che mica se ne vanno]

Post n°1284 pubblicato il 25 Novembre 2013 da odisseando

ho smesso di analizzar le cause. odddddddio, smesso: diciamo che mi ci arrovello di meno.

dev'essere la pragmatica delle contingenze che si fanno più pregne di interesse, ma osservo le conseguenze. e come mi ci infilo negli interstizi del flipp[er]amento di queste ore che vengono. al termine di un uichend intenso, molto intenso, pure troppo. quando le emozioni son piene di grumi poi vengon via mica tanto fluide, e la viscosità, appunto, si percepisce tutta tutta nella sua melassosa opacità.

e quindi ho percepito questa rassicurante presenza dello ore notturne, qui attorno. non solo un'ambiente dove esalo il mio starmene solingo sempre più placido. ma pure nella quiete del cuore della notte. insomma: solo e pure riparato.

protetto. ecco, sì: protetto.

roba che si tira un po' più in là il momento dove si va a letto. che saranno pure sogni, con tutta la loro oneiristica complicazione e coinvolgimento. ma poi, azzzz, viene mattino.

che poi sarebbe anche il momento dove forse sarebbe cosa buona et giusta esser svegli, ed pragmaticamente pronti.

e invece mi riparo nella notte.

fluidificherà, prima o poi.

 
 
 

hanno sparato al presidente

Post n°1283 pubblicato il 22 Novembre 2013 da odisseando

cinquant'anni fa spararono a jack. come oggi.

io lo seppi da mia madre, qualche anno dopo, ovvio. ricrdo la sensazione di profondo dispiacere che mi pareva le ammantasse ancora quel ricordo. l'eccezionalità di un presidente che sembrava così normale, e assieme così una speranza per il mondo che poteva svoltare. anche di krucev, che sbatteva le scarpe all'assemblea dell'onu, era ammantato di quella fiducia nel divenire. jack e nikita. che avevano salvato il mondo dalla guerra nucleare. e in mezzo pure il papa, il giuanòn. un po' banale, occhei. ma io ero tutto sommato piccolo. troppo affascinato dal mito americano [per quanto di terza mano] e lei ancora riverberava del profumo della gioventù dei suoi sixties.

l'avevano ammazzato. occhei. uno solo: il collaborazionista dei cubani. aveva fatto fuori il presidente cattolico, bello, giovane, incorrotto. la stella che avrebbe potuto brillare per molto tempo e cambiare le cose.

vent'anni fa diedero jfk in prima tv. come oggi.

oliver stone mi aveva un po' lasciato perplesso con platoon. chissà com'era questo di filme. quella sera mangiai una mozzarella che lasciò un sacco di acqua, mentre litigavo al telefono col prete oratoriano, che allora era la seconda casa, approccio uterino di quando tornavo sul lago nei uichend. erano una di quelle litigate da nevrotiche un po' isteriche. io con la mia componente femminile elevata e fottutissimo orgoglio ricattatorio, lui con un affetto soffocante che chissà cos'altro era. lo vidi a casa della mia amica simona. lei studiava filosofia. mi corteggiava nemmeno troppo vestigialmente. attendeva che io facessi una qualche mossa. lei mi piaceva. o forse ero incuriosito da quella lusinga parrino-verginale. ci sfiorammo le mani una volta solamente. non la sera del filme. filme che invece fu una rivelazione fulminante. una botta. un "uau". oggi avrei detto: "jfk, spacca".

l'avevano ammazzato. era stata una congiura. il procuratore garrison fa un accorato appello di voler perseguire la verità. come ragione esistenziale. e sa che la verità è qualcosa che stanno nascondendo ma a cui lui è andato vicino. è verso la fine del filme, è l'arringa finale al processo. mi colpì, anche per l'effetto cinematografico che costruirono attorno. colpì anche l'amico itsoh, con cui dividevo la stanza allora. lui se lo vide da solo. io a casa dell'amica simona. il giorno dopo ci raccontammo l'emozione di quella visione. jack, nel filme, è una sorta di icona sacrificata. ed intorno il marcio. il violento. l'opacità di un ganglio diffuso. e pochi buoni e valorosi che si battono per far luce su quello che stone-garrison definiscono un colpo di stato. mito americano decisamente ridimensionato.

poi venne un giorno in libreria della stazione centrale. c'è un mito mondadori, 7900 lire. c'è kennedy in copertina. è spesso. lo compro. da lì a poco andrò a far l'interrail, avrò molto tempo per leggere. poco dopo mi viene in mente che ne aveva giusto parlato a lezione sandrino pellò. docente di copywriting al master fuffa. lui, il pellò, uno dei pochi che si salva dalla fuffa. "ellroy è il più grande romanziere vivente", sostiene.

il ricordo di mia madre. il filme di stone. e quindi l'epifania ellroyana. jack è un puttaniere, l'america che gli sta intorno è insulsa, violenta, meschina. agenti doppio, triplogiochisti, la mafia, gli anticomunisti. in quel libro, moralmente, non si salva in pratica nessuno. la Storia è usata come un ordito marcilento per costruirci sopra la storia che affascina, cattura, smitizza, avvince, conquista. quel cazzo di master è stata l'ultima vacanza della mia vita. l'interrail quel girovagare al bordo di un qualcosa che non sarebbe mai tornato. non a caso furono praticamente le ultime foto in pellicola che feci. a galway, irlanda occidentale, il punto più lontano del mio viaggio, entrai in una chiesa. vidi un mosaico rappresentante jack. aveva l'aureola. fu un piccolo orgasmo intellettivo pensare alla distanza tra quell'invezione agiografica, mosaicizzata, e quella raccontata nel libro. come il preliminare al piacere che da lì a breve mi sarei rimesso a leggere il libro.

non sarebbe stato un fottuto interrail senza quel fottuto "american tabloid".

ecco. no. a proposito. c'è pete, bondurant, il canadese enorme cattivissimo e violentissimo. quelli che sembra lui la storia de "l'america non è mai stata innocente. abbiamo perso la verginità sulla nave durante il viaggio di andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto". pete. il peggiore di tutti, forse. che però, grazie alla catarsi che si fa corpo e anima di una donna [il corpo con un fluentissimo pelo rossiccio, peraltro] si eleva su tutti gli altri protagonisti. e si tifa per lui. e a suo modo si salva. e lo fa vivendo con sgomento l'arrivo dei colpi di cui sa, che lo paralizzano, di cui intuisce la crudele disumanità. quelli con cui si chiude il romanzo. cinquant'anni fa. come oggi.

l'america non è mai stata innocente

 
 
 

su quel paio di immagini, flash, che sembrano ancora lì, vividi

Post n°1282 pubblicato il 16 Novembre 2013 da odisseando

ci ho pensato un po' se scrivere questo post.

mi sono anche chiesto se non rischi di inscriversi, in millesimi, a quel mainstream emozionale dove si mette in bella vista il dolore per un qualche lutto, di qualunque tipo e sorta. di come lo si è vissuto, trapassato, elaborato, masticato, digerito, metemspicosizzato. il tutto come se fosse un po' una sorta di consapevole vincita emotiva facile, e quindi qualcosa che associo ad una scorrettezza nei confronti di chi legge. me lo sono chiesto. e mi sono risposto che, questo post, scorrettezza non è. e che quindi va bene così. e che se per qualsiasi ragione mi è viene di scriverlo, non ve ne sono acciocché non debba farlo.

e lo scrivo più o meno a quest'ora. quando non era già più il sedici ma non è ancora il diciassette. di novembre, ovvio. da allora ho usato questo piccolo trucchetto per cercar di non ancorare il momento in cui mio padre se n'è andato. era il sedici, ma la guardia medica arrivò dopo la mezzanotte, e sul certificato c'è scritto diciassette. così, da allora, il sedici [mi] dico che il giorno ufficiale è l'indomani. il diciassette [mi] dico che il giorno vero era quello prima.

così. però c'è il momento del limbo, dove tutto si sfuma. che se ne sta in un qualche punto, più o meno come questo. che è quello del passaggio, che forse è l'inghippo di tutta la questione.

cercavo di dormire, sul divano della sala. avevamo capito che probabilmente sarebbe stata una notte un po' agitata. mi appisolai, mentre pensavo che non mi sarei riuscito ad addormentare. mi svegliai di soprassalto e mi alzai di scatto all'arrivo mia madre, in lacrime. capii.

mi disse che ad un certo punto si era girata nel letto accorgendosi non respirasse più.

e quindi senza un momento preciso, ma attondolato in un gran insieme di momenti, non sappiamo quando se n'è andato. come lui non sapeva stesse andandosene. non sappiamo quando si passò dal momento dell'accudimento segreto [per lui] a casa sua, a quello del lutto, che lancia propaggini un po' a gittata lunga e quasi casuale. dal momento del sorriso tirato e respiro lungo per tranquillizzarsi a quello delle lagrime [io, peraltro, nemmeno una, fino all'altro giorno: ma da odg quasi non fa testo]. dal momento del figlio rompicazzo autodistanziante, a quello del consapevole erede [e su questo sono financo arrivato prima di odg].

non lo sappiamo. rimante quel grumo di momenti tondi ma lancinanti. che questa volta ho voluto svangare guardandoli drittidritti. come a dire: non mi fate poi più così paura, o qualcosa di simile.

ci sono due immagini, due flash. non sono in ordine cronologico. per quanto ravvicinatissime.

la prima è quando entrai nella stanza. lo vidi di schiena. lui era appoggiato su di un fianco, quello destro, con le coperte fino alle spalle. guardava rilassato il muro esterno. quasi ogni sera mi viene di mettermi in quella posizione lì, appena mi adagio pacioso sul letto. probabilmente lo faccio da sempre. da quella sera mi torna in mente quella scena. e mi dico che va bene così. placidamente.

la seconda è quando mi alzasi di soprassalto. e urtai la chincaglieria vetrosa dindontante che fa quel suono così rilassante e che sta - a volte - appesa sotto i lampadari, o le le luci, o quelle cose lì. da quel giorno quel suono, che prima probabilmente, mai mi aveva detto alcunché, ha smesso di piacermi. e tutte lo volte che qualcuno o qualcosa ha rimosso quella chincaglieria vetrosa mi è sovvenuto di quando non mi piacesse. per una serie di ragioni, un po' masochistiche, un po' vai a sapere perché quella cosa lì è rimasta appesa. quando ho deciso di pittare l'ho fatto anche per aver la scusa, travolto dall'impeto di rinnovamento, di levare quel cazzo di ninnolo chincaglioso dindondeggiante.

l'ho tolto, l'ho nascosto. non l'ho ancora gettato via [sul perché, non ho voglia di psicopipponizzarmi]. credo questo post serva anche a spronarmi a far sì che, non appena torno colà, finisco il lavoro. con serena soddisfazione, peraltro.

 
 
 

prima dei miei sogni d'oro, scrivo del genetliaco della viburna.

Post n°1281 pubblicato il 12 Novembre 2013 da odisseando

diciamo che è un po' batto la fiacca, in questa specie di caro diario sui generis. non voglio continaure così, continuare a farmi del male.

il fatto è che per tornare, valutando se mi si nota di più a non venire [scrivendo], oppure a venire [scrivendo] ma standomene in un angolino [postico]: bisogna pur trovare motivazione valida.

ecco. in effetti potrei continuare a scriver di quando giro, oppure delle gente che vedo, di come mi muovo, o delle cose che faccio. oppure di quanto è buono il muffin budinoso, simile a quello che amava mio padre. [quanto è buono, il budino, diceva...].

ma non v'è dubbio che il genetliaco viburnico merita altro che un post. quindi c'è da rimettersi qui dentro, a scrivere.

la viburna, giusto per gli sbadati, è una persona importante. di quelle cose che danno un nuovo senso al novembre. e per me vivrei tutta la vita in aprile, e che notoriamente novembre lo detesto [o forse lo detestavo] non è mica cosa da poco. son dettagli che però, come le parole, sono importanti.
d'altro canto la viburna ed io, di parole, ce ne scambiamo ad libitum. è vero, spesso ci sentiamo un po' accerchiati, nel nostro essere degli autarchici [della psicopippa]. anche se, pervicacemente, con la sensazione di credere nelle persone, ma di non credere alla maggioranza delle persone [ad esempio, per dire: la viburna ed io non abbiamo mai creduto veramente che d'alema - che non ci è mai piaciuto - fosse di sinistra]. così come pure spesso notiamo il nostro essere tutto sommato simili, cioè: siamo diversi ma siamo uguali agli altri, ma siamo diversi. che forse è anche snob, occhei. ma poi perché la cosa ci puzza ce diciamo pure che forse è meglio venir fuori da 'sta cosa. e che è invece cosa buona et giusta andarsene da quella casa [snob], e volerlo un po' superare [questa sorta di] complesso di Edipo [snob].

ovviamente capita che ci si scazzi, e ci mancherebbe. a volte è perché è come se [mi] sgorgasse una voglia di litigare con qualcuno, ovvio non arrivo mica a quegli estremi tracotanti di voler picchiare qualcuno, Sì, è un pensiero che in effetti non ho mai. a volte, altresì, scazziamo perché ha ragione lei, però ce l'ho anch'io. e le piccole derive emozionali ci prendono il sopravvento, e sfuggono da quel calmieramento razionale di cui ce sfonniamo. [poi quando ho ragione io, magnanimamente, non glielo faccio notare troppo. anche perché non è mai successo. e comunque lei lo scriverebbe prima di me].

resta il fatto che, comunque, qualunque cosa succeda, la viburna riesce a darmi, a suo modo, quella sensazione come quando affiora un ricordo, un'eco trascolorata in bello [che ne so: la felicità di quando era l'ora delle merendine quand’ero bambino, che è come se fosse ancora lì, e tornasse quella sensazione, una sensazione bianca].

resta il fatto che, nel flusso di quelle parole imparo un sacco di cose, anche solo ascoltandola scrivere, tipo quando parla di astrofisica, o di biologia, ed io l'ascolto, perché non parlo di cose che non conosco. ma soprattutto è bello ascoltarla. ed imparare un po' di riflesso. fino a superare le difficoltà, come una palombella, che ne so: nel comprendere le possibilità offernte dalla morfologia derivazionale.

resta il fatto che, è anche grazie a lei, lei col suo tocchetto personale, che sto facendo un po' pace con la storia che la mia vita è bella perché sono [stato] molto amato. e di come possa ritenermi fortunato.

a riguardo mi son chiesto, addirittura, come sarebbe se fossimo amanti. nel senso copulantico del termine dico. probabilmente placherebbe l'anzia prestazionale con tutti i corollari attorno [no, da codina della gaussiana qual sono non quelli normali, ne ho altri]. ma penso che potrei perdermi dei pezzi della parte migliore della situazione interlocutoria viburnica [a proposito di morfologia derivazionale].

quindi va bene così. perché la felicità è una cosa seria no? [e quindi dovrebbe essercene una assoluta]. e senza sbrodolar in paroloni un po' troppo roboanti, faccio sommessamente notare di quanto sia bello che ci sia. e continui ad interloquire. così ed ancora meglio di così. per quanto sarà.

aggià. a proposito di novembre. resta il fatto che, è anche grazie a lei, lei col suo tocchetto personale, mediante cui imparo a non detestare più di tanto novembre. con tutto quello che si porta dietro tutto ciò. che sembra quasi l'abbia fatto apposta per nascervi: ecce viburna. cosa che, peraltro, mi permette comunque di ribadire che per qualche mese so' pure più giovane. ma pur avvolto dalla sensazione piacevole che, nonostante si gridino cose orrende e violentissime e gli altri possano sembrar imbruttiti, io grido pur cose giuste e scrivo che rimane una splendida trentenne.

auguri belli vibù.

se n'è accorto anche il signor libbbero

[img: se n'è accorto anche il signor libbbbero. guarda che lo sapevo, signor digiland... tze]

 
 
 

SMIDOLLATI, MIDOLLATEVI....

Sich. Non son riuscito a convincere nessuno.
[al momento, quanto meno...]

Giornata di sensibilizzazione alla donazione del midollo osseo

 

JE T'AIME LIBBBERO


glitterizzati pure tu...
 

ANGOLO [ANTI]CENSURA

Libero dalla censura? Per nulla...

libero si fa solo per dire?
"...la nostra piattaforma è libera da censure, ma ci sono delle regole da rispettare, che tutti sottoscrivete all'atto della registrazione..." come il conferencemaster si è premurato di farmi sapere?

elenco [aggiornabile, con il contributo di chiunque] delle operazioni censorie in cui mi son inciampato peregrindando al di fuori della provincia denuclearizzata. a memento.
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Red Lady e la sua "locanda Almeyer"

 

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