L'Olimpia di Jay

THE UNDERDOGS


Ovvero, i sottovalutati.Partiamo così, da una domanda che mi frulla in testa dall’inizio dei Playoff.Chi sono, in queste serie che stiamo disputando, i veri Underdog?Biella e Teramo, oppure noi?Da quale punto di vista è lecito e giusto osservarci?Siamo noi quelli che hanno il blasone, quelli che si chiamano Olimpia Milano e hanno speso un signor budget sul mercato, a essere i favoriti, oppure sono (state) Teramo e Biella?Capiamoci.Io credo che questa Olimpia, oggi, in una serie playoff – nella configurazione senza Sow e Rocca –  non possa essere favorita contro nessuno.Da Siena a Treviso, da Bologna a Roma, da Biella a Teramo.Siamo una squadra che non sviluppa un gioco offensivo accettabile, che soffre in modo assoluto a rimbalzo, atleticamente inferiore a tutti i roster, con una guida tecnica che ancora non ha definito una gerarchia assoluta. Abbiamo un fattore campo spesso poco influente e non godiamo di arbitraggi non si dice compiacenti, ma nemmeno casalinghi.Chi mi vuole fare credere che il fischio dei 5 secondi a Moss è stato un omicidio, dice una sciocchezza sesquipedale.E nonostante tutto, oltre ogni singolo rilievo, questa Olimpia 2008/2009 è a una vittoria dall’unico scudetto che sia realmente in palio quest’anno: quello della finalista sacrificale.Io credo che i veri sottovalutati siano i nostri avversari.Perché trattarli con la condiscendente simpatia delle belle favole di provincia non rende giustizia a loro, ma nemmeno a noi, che stiamo giocando un Playoff di proporzioni cosmiche.Con attributi incredibili, con una voglia e una concentrazione commoventi, con una partecipazione favolosa da parte di giocatori epurati (Thomas), giustiziati preventivamente (Hall) e oggettivamente al capolinea (Marconato).In ogni partita o quasi abbiamo visto quintetti dissennati, sofferenti in quasi tutti gli accoppiamenti, andare sotto di brutto a rimbalzo.Abbiamo visto avversari andare prestissimo in bonus e capitalizzare, o provare a farlo, dalla lunetta.Eppure, eppure per 5 volte su 7 a uscirne vincenti siamo stati noi.Croce e delizia, piuttosto preventivabile per una squadra destinata, mediamente, a non vincere né perdere con ampi scarti.Troppo poco attacco e troppo brutte esecuzioni per segnare parziali che stacchino gli avversari; troppe palle, troppo sudore per farsi seminare.Ripeto: noi saremo anche Milano, quella che secondo tanti polemisti da bar avrebbe ricevuto una bella mano dal Palazzo, fornitore di revolver per terne in grigio col compito di spianarci la strada.Ma noi la strada ce la stiamo spianando da soli, contro avversari che di sicuro non sono mai partiti con il pronostico a sfavore, checchè addetti ai lavori e giornalisti beoni ne ciancino.Tutt’al più, saranno state e sono serie in equilibrio, ma è corretto dire – anzi, urlare – che la differenza la stanno facendo quelle intangibles di cui siamo dotati oltre misura.La stanno facendo le palle, la voglia, la concentrazione, non certo i pick’n’roll, i giochi o le esecuzioni pulite.Le volte in cui ho visto questi ragazzi eseguire in modo sopraffino un gioco, con tempi e modi giusti si contano sulle dita di una mano. E hanno avuto come terminale sempre Mo Taylor.Il resto è la meraviglia pulsante di David Hawkins, godiamoci quel che ne resta.Il resto è la follia, il purissimo istinto, di Mike Hall.Le mani dolcissime di Price.Ne manca ancora una, ma fino ad oggi, cosa vogliamo chiedere di più a un gruppo che 8 mesi fa partiva tra mille dubbi, molti dei quali anche giustificati (e non risolti)?Il primo articolo di questa stagione lo scrissi parlando di Break Even Point: cosa avrebbe dovuto fare questa squadra per raggiungere il punto di parità tra “costi” e “ricavi”, metaforicamente parlando?Al tempo ci siamo limitati a convenire che lo avremmo scoperto strada facendo.Ora, mi sento di dire che comunque vada a finire, il ricavo è infinitamente superiore al costo.E di equivoci da risolvere, dubbi da dissipare, errori cui rimediare abbiamo un’estate di tempo per parlarne.Se questa stagione ha insegnato una cosa, è che Livio Proli ebbe pienamente ragione a dire che per fare parte del progetto fosse indispensabile essere persone serie.A volte gli uomini, più che i giocatori, ti portano lontano.