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TI SCATTERÒ UNA FOTO

Post n°100 pubblicato il 31 Maggio 2007 da JayVincent


Eccola lì, nitida, perfetta, dai contorni precisi.
La partita di ieri sera è l’istantanea di quello che in questa stagione siamo stati, siamo e sempre saremo, fino a quando durerà.
Se a qualcuno serviva una base per tirare le somme, nel brutto della sconfitta c’è il bello di poter tramandare una Polaroid che riassume i controsensi e le problematiche di una stagione intera.
C’è la fotografia di una batteria di esterni troppo molle, imprecisa, altalenante.
C’è Bulleri a sprazzi, il Bulleri che vediamo da ottobre: ficcante o distratto, chirurgico o nefasto, infortunato.
Perché nel momento chiave della partita ce lo ritroviamo sdraiato da un paio di botte, non so quanto preoccupanti in termini di prosecuzione della serie.
C’è il Dante Calabria consumato dai problemi fisici, quel giocatore che sembra avere smarrito il suo colpo migliore, quel tiro in transizione che tanto male ha fatto in passato e che quest’anno è stato nulla più di un’arma spuntata.
C’è Garris con tutti i suoi controsensi e le sue letture, con i suoi palleggi insistiti, le sue giocate di esperienza e le ingenuità impensabili. Il fosforo che doveva portare e troppo spesso è stato latitante.
C’è Green con le sue montagne russe, giocate di adrenalina e sciocchezze di una pochezza disarmante.
Ma, lo sostengo da mesi, è lui il grande equivoco di questa squadra: è il creativo mandato a fare il travet, il rocker in un gruppo di ballo liscio.
Nate Green è un equivoco perché gli si possono chiedere minuti per cambiare il passo, non gli si può mettere la palla in mano e abbandonarlo alle proprie lune.
Continuando a guardare la Polaroid, c’è il pacchetto lunghi più pesante e tonnellato del Campionato, che troppo spesso è una coperta corta. O una catena con il raggio troppo scarso.
Fare la voce grossa contro i fuscelli di Varese è cosa buona e giusta, ma quando Markovski piazza un quintetto piccolissimo con Vukcevic in 4 e Giovannoni in 5, noi restiamo con le mani in mano.
O ci affidiamo a Schultze, che deve cantare e portare la croce in un crescendo di pretese che non sono onestamente avanzabili.
Se poi il quarto lungo sta a marcire in panchina, per ripicca, è chiaro che il reparto ha solo uno sbocco, offensivo, che soffre ogni volta in cui si trova davanti il lungo atletico che esce e tira fuori dalla pitturata.
Tipologia di lungo sempre più diffuso, sempre più determinante, che testimonia come la nostra batteria sia stata allestita in assoluta controtendenza.
Se poi si vuole considerare Gallinari come ala forte in pectore, le cose vanno leggermente meglio, perché Danilo in quello spot può avere mismatch e soluzioni anche immarcabili.
Solo un’obiezione: il piccolo Gallo è un tre, cercare di riciclarlo con sempre maggiore continuità dimostra debolezza, pigrizia, incapacità di trovare soluzioni serie al taglio di Tusek.
E comunque risolve un problema per spalancarne un altro.
Perché se lui gioca da 4 si scopre lo spot di ala piccola, lasciando la patata nelle mani di Sasha DJ, costretto a ricadere nel solito triangolo delle Bermude Green-Calabria-Gigena.
In conclusione: quello che nella foto vedete in piedi, là vicino alla panchina, è il nostro coach.
O meglio, quello che studia per essere un coach e non è nemmeno certo di volerlo diventare.
Quello che ieri sera, così come tutto l’anno, non mi ha convinto nelle rotazioni e nelle letture, quello che ieri è stato invitato da Markovski a giocare a scacchi e ci ha perso abbastanza seccamente.
Quel Sasha Djordjevic che di certo ha il problema di una squadra che non lo segue, o con cui ha problemi di comunicazione; perché troppo spesso la squadra esce male da un time out, eseguendo giochi in modo pessimo o trovandosi addirittura discorde nel difendere.
Quel Sasha Djordjevic che ha sempre la parola pronta per definire l’arbitraggio ma non ne ha altrettante per prendersi le sue responsabilità: io mi sarei anche stufato di sentire sempre le solite manfrine, i piagnistei sotterranei.
Per vincere bisogna prima di tutto essere più forti dell’avversario, semplicemente, o provare a esserlo.
Non c’è niente di male nel perdere contro una squadra più forte o che gioca a pallacanestro meglio, non dobbiamo avere il complesso di Corbelli, quello per cui siamo più forti, più belli e più intelligenti a prescindere.
Ieri abbiamo perso perché la Virtus ha girato a velocità doppia, tecnica, tattica e mentale.
E perché noi siamo stati esattamente quelli che siamo da otto mesi.

Durante un match di boxe, uno dei due pugili le sta prendendo di brutto, non reagisce, l’avversario lo sta massacrando.
Tra il pubblico c’è la madre, seduta accanto a un prete.
La signora implora: padre, la scongiuro, preghi per mio figlio.
Padre, per favore, un’orazione per lui.

E il prete, dopo un po’: signora, io prego, se però suo figlio inizia a tirare qualche pugno è meglio.

 
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