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IL TEATRO SAN SECONDIANO

Post n°24 pubblicato il 20 Novembre 2011 da MariaAlfonsinaArrigo
 

LE DONNE NEL TEATRO DI ROSSO DI SAN SECONDO

La donna per Rosso di San Secondo - seguendo la sua natura di uomo siciliano, passionale, polemico - è il ful­cro delle sue contraddizioni. Da una parte la donna per lui è l'oggetto del piacere, della passione; dalla'altra èla creatura oppressa dai pregiudizi, dalle passioni ma­schili o meglio dalla cupidigia e dall'arroganza maschili, ed è nobilitata soltanto dalla maternità. Quindi i tre volti della donna < sgualdrina, vitima, madre ) non recano sol­lievo all'autore sia come maschio sia come uomo.
Nel primo caso è schiavo della sensualità, si vede come una bestia, costretto a soddisfare le proprie pulsioni erotiche, incapace di controllo; infatti considera il sesso una triste e disgustosa faccenda fisiologica come si può constatare leggendo l'atto unico "L'uomo di successo ", anche se ricalca in certi punti Baudelaire nel suo " Diario intimo ".
Nel secondo caso si sente umiliato dovendo calpestare la personalità femminile che ha una grande dignità che lo guarda mentre lui si abbrutisce in quei momenti che dovrebbero essere d'amore e invece talvolta sono tristi esempi di corruzione e vizio. Ecco quindi perché i due amanti de " La danza su di un piede " si martirizzano inutilmente per purificare il loro amore da ogni traccia di passione sensuale oppure c'è la rabbiosa velleità di procreare con la mente espressa da uno dei suoi più polemici personaggi, Saverio Prassi, in " Una cosa di carne ". Essendo il sesso una triste necessità c'e nel protagonista una viva ripugnanza ad avvilire la donna ingravidandola, specie quella che ha una grande finezza di spirito e un nobile sentire. Pertanto solo la donna ottusa, incapace di distinguere l'obbrobrio di cui è vittima può rendere il suo senso di colpa accettabile.
Nel terzo caso abbiamo la donna che divenendo madre e rimanendo fedele al suo ruolo fino sacrificio estremo di sé può elevarsi e per ottenere ciò deve rinunciare a essere donna con desideri che nella società dipinta da Rosso sono inconciliabili con gli impulsi materni. In compenso una donna che è madre proprio per questo stato profondo, primitivo riscatta la propria infamia e si pone talvolta delle scelte dolorose che accetta come una naturale conseguenza (La Bella Addormentata, Una cosa di carne, Amara ).
Come chiara espressione di queste contraddizioni sansecondiane alcune donne del suo teatro sono perfide, ciniche, cupamente passionali (Alda in Tra vestiti che ballano, Melina ne L'ospite desiderato, Silvia la protagonista di Calura ); altre donne invece sono creature candide, oneste che per reazione scelgono la verginità, la solitudine del cuore, l'abnegazione.
L'evidente ingiustizia dello stato di oppressione femminile, di cui come rappresentante maschile è responsabile anche lui, spinge l'autore a pensare soluzioni radicali, a mettersi dalla parte della donna. Il femminismo di Rosso di San Secondo è un aspetto interessante che è stato poco messo in risalto.
Le sue eroine preferite sono creature giovani, candide, pure o comunque donne che giungono ad una verginità spirituale ( La Bella Addormentata, Nora ne Lo Spirito della morte, la cugina della protagonista La danza su di un piede, I peccati di gioventù ). La loro presenza in scena crea conflitto perché in nome di questa virtù scardinano l'ordinamento sociale e i pregiudizi. In Micaela di " Una cosa di carne " c'è il trionfo della maternità che la rende una persona, in Amara c'è un crudele conflitto fra la donna e la madre. Un falso annuncio della morte del figlio abbandonato scatena la sua fol­lia e la porta all'uccisione del figlio avuto dall'amante. Ed è una forma di catarsi, infatti Amara distrutta riprende il suo posto accanto al marito e al figlio. A noi può disturbare che Rosso di San Secondo abbia fatto una specie di distinzione di figli, tra quello legittimo che rappresenta la maternità e quello illegittimo che rappresenta la colpa. Uno amato alla follia e l'altro mal sopportato fin dall'inizio, ma c'è un motivo ben preciso in questo: una frase della protagonista lo chiarisce. Lei si lamenta infatti di essere divenuta madre ancora una volta, perché voleva essere soltanto donna, madre lo era già. Non era fuggita dal marito abbandonando il figlio per essere stordita dal pianto di un altro bambino e dalle rimostranze di Gabriele Fara, l'amante di non essere abbastanza materna. L'epilogo non può che essere uno che è salvezza e dannazione insieme: l'amante la riporta a casa sua dal marito e dal figlio abbandonato che in realtà è vivo. In questo dramma non abbiamo il trionfo della maternità in senso gioioso e intimo, ma soltanto la sconfitta della donna rinchiusa suo malgrado nella trappola della maternità.
La signora Faulkener " e un opera particolare, in cui viene evocato il dramma vissuto da una madre ricca, anziana che per le sue bizzarrie viene portata in tribunale dai figli per essere interdetta.
Un dramma che riassume perfettamente tutte le tesi sulla maternità di Rosso di San Secondo è " La scala ". In esso Clotilde, la protagonista, lascia l'amante, accetta il ricat­to del marito, si fa passare per mantenuta al solo scopo di rivedere la figlia. Ma la figlia è morta. Eppure lei rimane con il marito proprio per il suo ricordo che può condivi­dere solo con lui.
Anna del dramma " Tra vestiti che ballano " e anche lei una madre che combatte contro chi le vuole portare via il diritto di essere la vera madre della sua bambina morta.
Rosso di San Secondo ha a mio avviso il difetto, che in fondo era quello del suo tempo, di considerare insanabile il conflitto tra donna e madre. Questo dualismo, esasperato per ragioni sceniche, rendono datate le sue opere e sebbene ciò sia un po' limitante non per questo la nostra sensibilità è sorda del tutto alle istanze dell'autore. Anzi, egli carezza la nostra emotività in maniera incisiva.
Come donna apprezzo Rosso di San Secondo di essersi fatto portavoce di quei primi movimenti d'opinione favorevoli alla donna, rifacendosi alla lezione esemplare di Ibsen. Nel teatro sansecondiano c e in fondo una rivalutazio­ne del personaggio femminile degno della tragedia e non soltanto destinato ai ruoli leggeri, frivoli della pochade francese.
Un regista teatrale moderno ha detto che quando la donna è entrata nel teatro come attrice si è persa la tragedia. E' una grave accusa, discutibile quanto si vuole, ma in effetti è vera. I ruoli della donna sono stati per troppo tempo quelli equivoci, frivoli, ipocriti di una certa produzione francese. Si è dovuto arrivare ad Ibsen per dare spessore scenico e di contenuto alla donna. Così l'attrice ha smesso di essere quell'animaletto grazioso, ipocrita e corrotto - che si divide allegramente tra due uomini nel solito menagè à trois - e ha assunto vesti tragiche degne dell'antico teatro.
Rosso di San Secondo ha seguito la lezione di Ibsen e di altri e ha apportato una sua nota originale al teatro espressionista di Strindberg, al teatro grottesco di Chiarelli o a quello ironico e filosofico di Pirandello immettendo una forte carica emotiva personale nelle sue opere teatrali.
Il personaggio femminile non è solo la cavia di un esperimento stilistico ma anche un soggetto pensante e sensibile capace di rimpiangere la perduta felicità del paradiso e di tornarvi a suo modo. La razionalità ibseniana è completata insomma dall'elemento passionale tipico di Rosso di San Secondo.

 

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