OLTRE LE RIGHE

LA GRANDE GUERRA 1915-1918 SULLE DOLOMITI


 
E’ difficile pensare che in uno spettacolare mondo di pietra come quello rappresentato dalle vette dolomitiche possa essere stata combattuta una guerra. Eppure nel periodo dal maggio 1915 all’ottobre 1917 centinaia di migliaia di soldati scavarono trincee e ricoveri e vissero giorno per giorno su queste montagne: facevano parte dell’esercito italiano e di quello austro-ungarico che si fronteggiarono su queste cime durante la prima guerra mondiale. Il 24 maggio 1915 l’Italia entra in guerra contro l’Austria-Ungheria: il confine di stato attraversava un territorio prevalentemente montuoso, soprattutto in Trentino dove le cime superano i 2000 metri e, a volte, anche i 3000.  
La mancanza di uno sbalzo offensivo italiano costrinse gli eserciti a combattere una guerra di posizione in alta montagna, nell’impervio territorio dolomitico, difficilissimo da presidiare, soprattutto nei mesi invernali e proibitivo da superare se ben difeso da postazioni scavate nella roccia munite di cannoni e mitragliatrici. Per gli italiani la guerra si trasformò in una serie di tentativi per occupare le cime più alte dalle quali poter poi ridiscendere nei fondovalle ed aggirare le linee nemiche più avanzate. Ma il territorio si rivelò molto difficile: fitte reti di reticolati, mitragliatrici, cannoni e lanciabombe ben protetti in postazioni in caverna erano in grado di vanificare qualsiasi avanzata. Per entrambi gli eserciti fu necessario presidiare un gran numero di avamposti, anche nelle zone più esposte ed impervie: era fondamentale controllare metro per metro l’intero territorio lungo la linea del fronte ed impedire che i reparti di montagna italiani o austriaci, provetti alpinisti, potessero arrampicarsi su posizioni dominanti dalle quali poter aggirare la loro linea di difesa. Tale presidio doveva rimanere anche nei rigidi mesi invernali per evitare di ritrovare in primavera la posizione occupata dal nemico con tutti i problemi di rifornimento che ne sarebbero conseguiti.
La guerra in montagna impone una vita di privazioni e di solitudine estrema; richiede una certa sicurezza per poter camminare in terreni accidentati e pericolosi e una grande resistenza fisica per sopravvivere per mesi al freddo, al vento, alla neve all’interno di ricoveri di fortuna, appostati nelle trincee o in postazioni di vedetta. In questo settore del fronte il maggior numero di caduti è da attribuire alle difficoltà ambientali piuttosto che al fuoco nemico. Spesso ci si affidava ad azioni di pattuglie che avanzavano di nascosto con il favore dell’oscurità o della nebbia per attaccare postazioni nemiche utilizzando difficili percorsi di accesso in modo che l’avversario fosse colto di sorpresa: più che il fucile erano utili la bomba a mano, in grado di snidare il nemico dai suoi rifugi nascosti dietro le rocce. Solo così era possibile conquistare le difficili postazioni di alta montagna ma si trattava pur sempre di risultati di rilevanza locale non di grado di influire, se non in rari casi, sullo sviluppo generale del fronte.  Per approfondire l'argomento guarda il video sottostante: