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Post N° 87

Post n°87 pubblicato il 27 Marzo 2008 da eureka.anna

 

L'ERUZIONE COSIDDETTA DELLE "POMICI DI AVELLINO"

 

È senza dubbio la più importante eruzione di tipo pliniano della storia del Somma-Vesuvio insieme a quella, più famosa, avvenuta nel 79 d.C. che distrusse Pompei, Ercolano e Stabia. L'eruzione è denominata delle "Pomici di Avellino" dalla direzione prevalente di caduta dei lapilli, che avvenne, appunto, verso Avellino. Il materiale eruttato (blocchi, lapilli e cenere vulcanica) si depositò su un'area di circa 2.000 chilometri intorno al vulcano. Queste furono le fasi principali dell'eruzione. La fase iniziale, altamente esplosiva, fu caratterizzata da una gigantesca colonna di gas e particelle vulcaniche, che, per alcune ore, si stabilizzò fino a circa 25 chilometri di altezza, per poi elevarsi fino a 36 chilometri. I venti prevalenti alle alte quote spinsero la colonna verso Nord-Est, provocando una pioggia di ceneri e lapilli (questi ultimi prima bianchi e poi grigi), particolarmente intensa nell'area di Nola ed in quella tra Avellino e Benevento, dove cadde circa 1 metro di pomici. In una fase successiva si ebbe un cambiamento nella meccanica dell'eruzione: la colonna ebbe un collasso, formando dei "flussi piroclastici" che scorrendo al suolo ad elevata temperatura, si riversarono nelle zone poste immediatamente sotto la bocca del vulcano. Subito dopo si ebbero esplosioni violentissime: nubi di vapore e particelle di magma (surge piroclastico) si propagarono ad elevata velocità verso Nord e Nord-Ovest, per circa 25 chilometri, lasciando depositi di ceneri nelle zone tra Napoli, Marigliano e Casoria.

La scoperta del villaggio del bronzo a Nola è avvenuta mentre si stavano gettando le fondamenta per la costruzione di un supermercato. Affiorarono i resti di diverse capanne e moltissimi reperti ceramici. Il villaggio di Via Polveriera venne sigillato da un'eruzione del Vesuvio avvenuta nel corso dell'età del Bronzo Antico, fra il XIX ed il XVII secolo a.C. Gli scavi hanno messo in luce ben tre grosse capanne orientate in direzione NO-SE, al margine di un'area nella quale erano presenti una vasta aia, alcuni forni, una gabbia in argilla e legno nella quale sono stati rinvenuti gli scheletri di 9 capre, tutte gravide. Vi era poi una sorta di stalla dove trovavano posto altri animali, come testimoniato dalle impronte degli zoccoli nel terreno.
Le capanne avevano una forma a ferro di cavallo con apertura al centro di uno dei lati lunghi e struttura fatta di paletti di legno. L'interno era a due navate. La capanna più lunga misura ben 15,60 x 4,60 m con un'altezza di 4,40 m. Le altre due capanne sono leggermente più piccole.
Nelle capanne sono stati ritrovati più di 200 vasi alcuni dei quali contenevano cibo. Anche nei pressi del forno della capanna 4 sono stati ritrovati piatti, tazze, e vasi, di cui uno ancora sulla soglia.
L'eccezionalità della scoperta sta anche nel fatto che, dopo la caduta di pomici dovuta all'eruzione, l'area venne seppellita da uno strato di fanghiglia cineritica che consolidò le strutture delle capanne, conservandole in maniera eccezionale fino ad oggi. In questo modo è stato possibile scavare per la prima volta delle capanne quasi integre verificando anche l'organizzazione degli spazi sociali del villaggio. Un risultato insomma molto simile a quello di Ercolano e Pompei, sebbene diversa sia stata la modalità di seppellimento. Un caso unico, insomma, che fa del villaggio di Nola una struttura senza eguali.
Gli scavi potrebbero fornire ancora interessanti dati. Al di sotto delle capanne, un saggio effettuato ha mostrato la presenza del pavimento di una struttura preesistente, rasa al suolo per costruire le nuove capanne. E poco lontano da questo scavo, in località Masseria Rossa, è stato individuato un altro abitato successivo a questo, probabilmente il risultato del ritorno degli indigeni in queste zone dopo l'eruzione.

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