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Platone Teeteto18(42) non siamo schiavi dei discorsi, ma sono i discorsi a essere come servi nostri e ciascuno di essi attende di essereconcluso quando paia a noi.Del resto non c'è giudice o spettatore a sovrintendere presso di noi, come presso i poeti, a muovere critiche e a darciordini.SOCRATE: Parliamo dunque, come è naturale, poiché a te così piace, dei corifei: per qual motivo infatti unodovrebbe parlare di quelli che con ogni leggerezza si occupano della filosofia. Quelli invece che sono veramente filosofianzitutto fino da giovani non conoscono la strada per la piazza, né dove si trova il tribunale, la sede del consiglio, né dialcun altro consesso della città. Non studiano nè ascoltano leggi o provvedimenti divulgati oralmente o scritti.Intrallazzi di associazioni per le cariche pubbliche, riunioni, pranzi e feste con le auletridi non avviene loro di fareneppure in sogno. Se uno in città ha origini nobili o meno, se uno ha qualche ombra come nascita da parte deiprogenitori, sia del padre come della madre, sono cose che a lui, filosofo, sfuggono di più di quelli che siano i bicchierid'acqua che, si dice, si trovano nel mare. E non sa nemmeno di non saperle tutte queste cose. E non si tiene neppurelontano da esse per ottenere buona fama: soltanto il suo corpo abita nella città e qui ha la sua residenza, ma la suaanima, considerando tutte queste cose meschine e da nulla e considerandole con disprezzo, si lascia portare, secondo ildetto di Pindaro,(43) ovunque, fino «nelle profondità della terra» e ne misura le superfici: ora invece «in alto nel cielo»,a scoprire le leggi del firmamento, e indaga per intero tutta la natura degli esseri, ciascuno nella sua interezza, senza mairipiegare se stessa su alcuna delle cose vicine.TEODORO: Come mai dici questo, Socrate?SOCRATE: Come anche di Talete si racconta, o Teodoro, che mentre mirava gli astri e guardava in su, cadde nelpozzo: e una servetta di Tracia, piuttosto in gamba e carina, prendendolo in giro gli disse che lui desiderava conoscere ifenomeni celesti, ma si lasciava sfuggire quelli che aveva davanti a sé e sotto ai suoi piedi.Questo motteggio è ben appropriato a tutti coloro che si occupano di filosofia. In realtà a chi è tale non solo sfuggechi è presso di lui, e cosa fa il vicino, ma quasi è incerto se è un uomo o qualche altra creatura. Ma cosa mai è l'uomo ecosa a una tal natura conviene fare o subire, a differenza degli altri esseri, egli ricerca e di tale attività si occupa. Misegui, ora, Teodoro, o no?TEODORO: Io sì e tu dici bene.SOCRATE: Dunque, amico mio, quando un simile individuo, in privato o in pubblico, come dicevamo all'inizio, siimbatte in qualcuno, e quando in tribunale o altrove è costretto a parlare di quello che ha tra i piedi o sotto gli occhi,offre materia di riso non solo alle donne di Tracia e a tutta la restante moltitudine, ma cade nel pozzo e in ogni sorta didifficoltà per inesperienza, perché la sua balordaggine è inusitata e offre l'immagine di ogni inettitudine. Infatti nelleingiurie, poiché non conosce nessuna macchia di nessuno, per il fatto che non se n'è mai occupato, non ha alcunacapacità di ingiuriare direttamente nessuno, e trovandosi così incerto, diviene ridicolo. Ma durante le lodi ed esaltazioniattribuite ad altri, non per simulazione, ma facendosi vedere ridere schiettamente, sembra essere un motteggiatore. Equando viene elogiato un tiranno o un re come un pastore, egli ritiene di udire che costui venga lodato perché comeallevatore di porci, o di pecore o di mucche, munge molto latte: egli pensa però che essi mungano e pascolino unanimale più difficile a trattarsi e più pericoloso di quelli e che è necessario che questo tale diventi rozzo e incolto pertutti i suoi traffici non meno dei pastori, proteggendosi tutto intorno da un muro, come da un recinto i pastori inmontagna. E quando sente dire che uno è proprietario di una quantità immensa di terra, perché ne possiede diecimilapeltri (44) e anche di più, crede di sentir parlare di una inezia, abituato com'è a considerare tutta la terra. E quandocompongono inni sulle stirpi sostenendo che uno è nobile perché può mostrare sette antenati ricchi, egli ritiene chequesto elogio è proprio di coloro che vedono poco e ottusamente, e che per la loro ignoranza non sono in grado diabbracciare con lo sguardo il tutto, né di considerare che ciascuno di avi e di progenitori ne ha un numero sterminato,nel quale si trovano i ricchi e i poveri, i re e gli schiavi, i Greci e i barbari, e ciascuno può averne ripetutamente uninfinità. Ma per quelli che si esaltano per un catalogo di venticinque antenati e che riportano la loro ascendenza a Eraclefiglio di Anfitrione (45) tutto questo a lui appare alquanto strano e di grande piccineria, e se la ride di costoro che nonriescono a comprendere che il venticinquesimo rampollo da Anfitrione in su e quello dei cinquanta di quelli venuti dalui furono tali e quali la sorte li combinò, e così non sono neanche in grado di allontanare la vuota alterigia della loroanima dissennata. In tutte queste situazioni dunque un uomo come questo viene deriso dai più, sia perché, come sembra,ha un atteggiamento insolente, sia perché ignora quel che ha tra i piedi e perde la bussola in ogni circostanza.TEODORO: Tu dici proprio quel che avviene, o Socrate.SOCRATE: Ma quando lo stesso ha la capacità di elevare in alto qualcuno, e questo qualcuno vuole, per tenerglidietro, portarsi lontano da problemi come «in che cosa io ho fatto ingiustizia a te e tu a me?», per volgersi invece allaconsiderazione della giustizia in sé e dell'ingiustizia, che cosa è peculiare dell'una e dell'altra, e in che cosa differisconoda tutte le cose e fra di loro, o si tiene lontano da problemi quale «se il re è felice» e se lo è «chi ha accumulato moltooro», per volgersi a considerare la condizione regale e più in generale la felicità e l'infelicità umana, quali mai sonol'una e l'altra, e in che modo giova alla natura dell'uomo avere parte dell'una e tenersi lontano dall'altra, quando su tuttequeste questioni debba a sua volta dar conto quello che abbiamo definito piccolo d'animo, scaltro e cavilloso, a suavolta rende al filosofo il controcanto. Perché, appeso dall'alto e in preda alle vertigini, e guardando così sospeso dall'altoin giù, per mancanza di abitudine è spaventato e si trova in difficoltà e incespica nel parlare e offre materia di riso nonalle Tracie, nè a un altro qualunque ignorante, che non si rendon neppure conto, ma a tutti coloro che sono cresciuti incondizione diversa da quella degli schiavi. Questo, Teodoro, è il tenore di vita dell'uno e dell'altro, l'uno, quello chechiami filosofo, per essere in realtà stato tirato su nella libertà e nell'ozio può dare l'apparenza di essere senza vergogna,